Illegalità , corruzione , criminalità organizzata , politici e funzionari disonesti , sprechi di pubblico denaro e di risorse pubbliche .
VERGOGNA !! ORA BASTA , VOGLIAMO ONESTA' , ONESTA' , ONESTA' E LEGALITA' , GIUSTIZIA !
MILIARDI RUBATI AI CITTADINI ITALIANI , AI POVERI , AI DISOCCUPATI , AI VERI INVALIDI , A TUTTE LE PERSONE ONESTE , RISPETTOSE DELLE LEGGI DELLO STATO , AL FUTURO DEI GIOVANI
ONESTA’ , LEGALITA’ , GIUSTIZIA
In Italia , il buon esempio dovrebbe venire dall’alto , ma così non è ; anzi viene dimostrato il contrario ; il rispetto dei valori di onestà , legalità e di giustizia , dovrebbe essere provato nei fatti , ma così non è , da coloro che ricoprono cariche politico-istituzionali , che sono responsabili della gestione politica, economica e sociale del Paese e dai quali discendono le decisioni legislative più idonee ed efficaci per contrastare e combattere il fenomeno della criminalità , specialmente quella organizzata , la corruzione e la evasione in campo fiscale .
Mali , questi , ormai talmente diffusi , anche in posizioni apicali e nel territorio , nei più diversi comportamenti relazionali sia in campo politico che in campo socio-economico , che hanno colpito e continuano a ferire in misura assai grave e allarmante , spesso e progressivamente in modo letale, le residue attività di una economia sana e produttiva di questo nostro Paese , peraltro già in difficoltà a causa di fattori critici di natura globale.
Della gravità di tutto ciò dovrebbero prendere coscienza tutti i cittadini italiani , pretendendo , in maniera forte e plateale , di poter usare urgentemente , in modo pieno e libero , i propri diritti costituzionali in ordine alle legittime scelte politiche , necessarie e indispensabili onde evitare in tempo conseguenze drammatiche e irrimediabili , sul futuro e per la stabilità del sistema democratico, sul mantenimento dei diritti fondamentali di libertà e di sicurezza e di giustizia sociale.
INCHIESTE E SCANDALI
Funzionari pubblici, Guardia di Finanza: “In sei mesi bruciati tre miliardi tra sprechi, ruberie e corruzione”
Il report pubblicato sul Corriere e su Il Giornale fotografa le voragini provocate dai dipendenti "infedeli" e dai mancati controlli. Soltanto nella sanità 800 milioni di buco
Sono politici, medici, impiegati e funzionari. Sono 4.835 dipendenti pubblici che in soli sei mesi hanno alleggerito (sperperando o rubando) le casse dello Stato di tre miliardi di euro. E adesso sono stati chiamati dalla Corte dei conti per restituire i soldi della collettività. E’ quanto emerge dal rapporto della Guardia di Finanza sui danni erariali contestati tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2015, pubblicato dal Corriere della Sera e da Il Giornale dove balza agli occhi un dato: le casse pubbliche hanno perso oltre un miliardo solo con la mala gestione del patrimonio immobiliare. Il quotidiano di via Solferino scrive che sono 1.290 le segnalazioni inviate dalla magistratura ordinaria o dalle Fiamme gialle ai giudici contabili. Un aumento di contestazioni – che vale un miliardo e 357 milioni di euro – pari al 13 per cento in più rispetto ai primi sei mesi del 2014, che dimostra sia una crescita dei comportamenti scorretti dei dipendenti “infedeli” (nella maggior parte dei casi accusati di corruzione, concussione, truffa, turbativa d’asta), sia dei controlli degli 007 della Finanza.
Guadagni che si trasformano in perdite
Un intero capitolo del dossier riguarda i mancati guadagni sugli immobili da cui lo Stato non solo non ricava un euro, ma addirittura ci rimette soldi. Come sulle case popolari, che spesso e volentieri si trasformano in merce per scambi elettorali. Emblematico il caso di Roma, dove vengono affittate a 7 euro al mese, ricorda il Corriere. In provincia di Bolzano, invece, un Comune ha perso 350mila euro per la mancata riscossione dell’affitto per l’occupazione di suolo pubblico.
Un intero capitolo del dossier riguarda i mancati guadagni sugli immobili da cui lo Stato non solo non ricava un euro, ma addirittura ci rimette soldi. Come sulle case popolari, che spesso e volentieri si trasformano in merce per scambi elettorali. Emblematico il caso di Roma, dove vengono affittate a 7 euro al mese, ricorda il Corriere. In provincia di Bolzano, invece, un Comune ha perso 350mila euro per la mancata riscossione dell’affitto per l’occupazione di suolo pubblico.
Sanità, una voragine da 800 milioni
Anche la sanità pubblica si conferma una voragine. Qui, tra macchinari comprati e mai utilizzati, appalti truccati e medici che scappano dal lavoro per andare a operare in strutture private, il danno accertato è di 800 milioni, mentre 2.325 persone sono state arrestate o denunciate dalla Finanza e 264 pratiche sono state aperte. Le indagini svolte in 18 regioni hanno smascherato 83 dirigenti della sanità infedeli che hanno danneggiato le casse pubbliche con un buco da 6 milioni. All’ospedale di Gallarate, Varese – come raccontato da ilfattoquotidiano nei mesi scorsi – l’appalto per i lavori della manutenzione sarebbero stati aumentati causando “ltre 2,5 milioni di danno erariale”. La spesa è balzata da 15 milioni e mezzo di euro a 36 milioni. Soldi che secondo l’accusa sono serviti ai manager dell’azienda sanitaria per aggiudicarsi una generosa “cresta”. A Cosenza – scrive Il Giornale – a Cosenza 700mila euro sono svaniti tra nomine e consulenze esterne. L’Asl di Napoli ha letteralmente regalato 32 milioni di euro perché per anni i fornitori sono stati pagati due volte per gli stessi servizi.
Anche la sanità pubblica si conferma una voragine. Qui, tra macchinari comprati e mai utilizzati, appalti truccati e medici che scappano dal lavoro per andare a operare in strutture private, il danno accertato è di 800 milioni, mentre 2.325 persone sono state arrestate o denunciate dalla Finanza e 264 pratiche sono state aperte. Le indagini svolte in 18 regioni hanno smascherato 83 dirigenti della sanità infedeli che hanno danneggiato le casse pubbliche con un buco da 6 milioni. All’ospedale di Gallarate, Varese – come raccontato da ilfattoquotidiano nei mesi scorsi – l’appalto per i lavori della manutenzione sarebbero stati aumentati causando “ltre 2,5 milioni di danno erariale”. La spesa è balzata da 15 milioni e mezzo di euro a 36 milioni. Soldi che secondo l’accusa sono serviti ai manager dell’azienda sanitaria per aggiudicarsi una generosa “cresta”. A Cosenza – scrive Il Giornale – a Cosenza 700mila euro sono svaniti tra nomine e consulenze esterne. L’Asl di Napoli ha letteralmente regalato 32 milioni di euro perché per anni i fornitori sono stati pagati due volte per gli stessi servizi.
Mancati controlli: va in pensione, viene riassunto e intasca 700 mila euro
Nel report grande risalto ai mancati controlli. A Catanzaro il dipendente di un ente ha intascato stipendio e pensione per sette anni, insieme. Pochi giorni dopo il congedo “ha presentato domanda di riammissione in servizio presso la sua azienda confidando che le esigenze di organico gli avrebbero consentito di tornare immediatamente al proprio posto, cosa che è effettivamente accaduta”. Nessuno tra i dirigenti ha però ha segnalato la nuova assunzione all’Inps e l’impiegato ha potuto così incassare illecitamente 700 mila euro. In Sicilia, invece, sono stati bruciati 47 milioni di euro tra il 2006 e il 2011 per corsi di formazione finanziati con soldi pubblici che però non si sono mai tenuti.
Nel report grande risalto ai mancati controlli. A Catanzaro il dipendente di un ente ha intascato stipendio e pensione per sette anni, insieme. Pochi giorni dopo il congedo “ha presentato domanda di riammissione in servizio presso la sua azienda confidando che le esigenze di organico gli avrebbero consentito di tornare immediatamente al proprio posto, cosa che è effettivamente accaduta”. Nessuno tra i dirigenti ha però ha segnalato la nuova assunzione all’Inps e l’impiegato ha potuto così incassare illecitamente 700 mila euro. In Sicilia, invece, sono stati bruciati 47 milioni di euro tra il 2006 e il 2011 per corsi di formazione finanziati con soldi pubblici che però non si sono mai tenuti.
A Bari manager Ferrovie comprano, vendono e ricomprano carrozze
Da Bari arriva il gioco di prestigio dei manager delle Ferrovie Sudest. Prima hanno speso 912mila euro per comprare 25 carrozze passeggeri. Poi le hanno rivendute a una società polacca “incaricata di eseguire interventi di ristrutturazione per 7 milioni di euro”. Salvo poi riacquistarle a 22milioni e mezzo di euro. La Corte dei conti calcola che il danno provocato alla società ferroviaria è di oltre 11 milioni di euro pubblici.
Da Bari arriva il gioco di prestigio dei manager delle Ferrovie Sudest. Prima hanno speso 912mila euro per comprare 25 carrozze passeggeri. Poi le hanno rivendute a una società polacca “incaricata di eseguire interventi di ristrutturazione per 7 milioni di euro”. Salvo poi riacquistarle a 22milioni e mezzo di euro. La Corte dei conti calcola che il danno provocato alla società ferroviaria è di oltre 11 milioni di euro pubblici.
Latina: aste truccate, arrestati giudice e moglie, indagata la suocera
Ed ecco l'articolo del Corriere della Sera che riportava la vicenda del giudice Lollo nel dicembre scorso:
"Un sistema di corruzione consolidato all'interno del tribunale fallimentare di Latina: è quanto scoperto dalle procure della Repubblica di Perugia e Latina, dopo mesi di indagini, anche di carattere patrimoniale, che hanno portato all'arresto - tra carcere e domiciliari - di otto persone: tra loro un giudice del tribunale e a moglie. Le ordinanze sono state eseguite dalla squadra mobile pontina guidata da Tommaso Niglio.
Carcere per il giudice della fallimentare Antonio Lollo, per il consulente del tribunale Vittorio Genco, per i commercialisti Marco Viola e Massimo G. (quest'ultimo non ancora raggiunto formalmente dalla polizia). Ai domiciliari la cancelliera Rita Sacchetti, l'imprenditore calabrese Luca Granato, un maresciallo della guardia di Finanza e la moglie di Lollo, Antonia Lusena. Indagata per riciclaggio, e in odore di arresto, anche la suocera del giudice.
Spiega la questura di Latina:«I reati contestati vanno dalla corruzione, alla corruzione in atti giudiziari, alla concussione, all'induzione indebita a dare o promettere denaro od altra utilità, alla turbativa d'asta, al falso ed alla rivelazione di segreto nonché all'accesso abusivo ad un sistema informatico e telematico aggravato dalla circostanza di rivestire la qualità di pubblico ufficiale. Le indagini - spiega la nota - coordinate dalle autorità giudiziarie del capoluogo pontino ed umbro, erano state avviate in seguito ad una denuncia presentata presso la procura della Repubblica di Latina, in cui si prospettavano fatti di bancarotta nell'ambito di un concordato preventivo. Ben presto lo sviluppo dell'attività investigativa, delegata alla squadra Mobile di Latina, ha portato alla luce un consolidato sistema corruttivo, grazie al quale i consulenti nominati dal giudice nelle singole procedure concorsuali, abitualmente corrispondevano a quest'ultimo una percentuale dei compensi a loro liquidati dal giudice stesso»."
MAXI TRUFFE ALL’ I N P S
Nelle notizie
La Stampa - 2 giorni fa
www.strettoweb.com/2015/09/reggio-truffa-allinps...in.../325996/
25 set 2015 - Una meticolosa attività info-investigativa dei Finanzieri reggini a tutela della spesa pubblica ha portato alla luce una truffa ai danni dell'INPS.
www.strill.it/.../castrovillari-cs-operazione-easy-allowancetruffa-allinps-p...
3 giorni fa - L'importo complessivo della truffa ai danni dell'INPS è stato quantificato in circa € 4.700.000,00, ed è stato determinato dalla illegittima ...
www.gazzettadelsud.it/ricerca.jsp?q=truffa%20inps
Cinque persone sono state arrestate ed altre sei sono state sottoposte all'obbligo di firma in una operazione della Guardia di finanza di Sibari per una truffa ...
www.ilquotidianoweb.it/news/cosenza/.../Maxi-truffa-all-Inps-e-all.html
3 giorni fa - Questo il bilancio dell'operazione "Easy allowance" messa a segno dalla Guardia di finanza di Sibari per una truffa all'Inps e all'Inail scaturita ...
tv.ilfattoquotidiano.it › ilFattoTV › Giustizia & impunità
17 lug 2015 - Palermo, maxi truffa all'Inps. Falsi invalidi: “Non voglio lavorare, lo Stato mi deve campare”. Bastava rivolgersi a loro per ottenere, dietro ...
www.tgcom24.mediaset.it/.../crotone-truffa-all-inps-denunciati-22-falsi-b...
20 lug 2015 - Crotone, truffa all'Inps: denunciati 22 falsi braccianti e un imprenditore - Operazione della guardia di finanza: i coinvolti hanno ottenuto ...
TANGENTI A.N.A.S.
www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/CRONACA/anas.../1635231.shtml
22 ott 2015 - Anas, tangenti per appalti a Roma: arrestati dirigenti e l'ex ... Truffa al'Anas, l'uffcio della "dama nera" la base logistica della. ... Blitz all'Anas.
www.ilquotidianoweb.it/news/cronache/.../Tangenti-all-Anas--la-.html
3 giorni fa - Maxi truffa all'Inps e all'Inail nel Cosentino Cinque arresti, c'è un ex dipendente dell'ente ... Tangenti all'Anas, la "Dama nera" rifiuta
www.ilquotidianoweb.it/news/.../Lamezia-Terme--truffa-all-Unione.html
08 lug 2015 - Tangenti all'Anas, libero l'avvocato catanzarese ... Lamezia Terme, truffa all'Unione Europea Tra gli indagati anche un funzionario della ...
www.repubblica.it/online/cronaca/anas/anasdue/anasdue.html
12 feb 2003 - Appalti truccati all'Anas arrestate trentuno persone. Le accuse: turbativa d'asta aggravata, corruzione e truffa. Simulavano frane sulle strade ...
www.cn24tv.it/.../terremoto-all-anas-in-manette-dirigenti-funzionari-e-u...
22 ott 2015 - Un'altra truffa all'Inps: denunciata una coop e 99 braccianti “fantasma” ... Terremoto all'Anas: in manette dirigenti, funzionari e un ex ...
SCANDALO SUI BENI CONFISCATI ALLA MAFIA
www.si24.it/2015/10/08/inchiesta-sui-beni...alla-mafia-di.../132976/
08 ott 2015 - Sei in: Cronaca > Inchiesta sui beni confiscati alla mafia | Di Vitale: “Il Csm intervenga senza indugi” ... trasferimento d'ufficio 5 giudici palermo csm ... Csm in seguito allo scandalo sulla gestione dei beni confiscati alla mafia.
www.affaritaliani.it/.../scandalo-beni-confiscati-pino-maniaci-382485.ht...
10 set 2015 - Beni confiscati alla mafia, Pino Maniaci: "Si vada fino in fondo" - A ... A Palermo indagata Silvana Saguto, presidente della sezione che ... Ad eseguirli e' stata la Guardia di Finanza, su ordine della Procura di Caltanissetta.
MAFIA CAPITALE - TRUFFE COOPERATIVE -
www.ilfattoquotidiano.it › Giustizia & Impunità
09 giu 2015 - Gli stipendi del Pd di Roma pagati coi soldi di Mafia Capitale. E i rapporti tutti da chiarire tra Mafia Capitale e il Pd alla Regione Lazio, il cui ...
www.repubblica.it/.../gli_affari_della_coop_di_mafia_capitale_appalti_sui_...
26 set 2015 - Gli affari della coop di Mafia capitale: appalti sui migranti anche dopo l' ... a un anno e sei mesi in primo grado per lo scandalo mense a Bari.
www.repubblica.it/.../roma_ex_coop_dell_inchiesta_mafia_capitale_vince_...
03 ott 2015 - Roma, coop dell'inchiesta Mafia capitale vince l'appalto per i servizi dell ... Quando scoppiò lo scandalo di Mafia capitale, il Cns espulse Buzzi ...
SCANDALO SU OSPEDALE ISRAELITICO DI ROMA
www.unionesarda.it › Cronaca
21 ott 2015 - 21/10/2015 - L'Unione Sarda.it: Cronaca - Scandalo all'Ospedale Israelitico di ... Ciclismo, Di Rocco a Cagliari: "La Sardegna è in crescita" ..... di un'indagine che ipotizza i reati di falso e truffa in danno della sanità pubblica.
TRUFFA ALL’OSPEDALE SAN RAFFAELE DI MILANO
milano.repubblica.it/.../milano_truffa_da_28_milioni_all_ospedale_san_raf...
L'ospedale: "Interventi a regola d'arte". di EMILIO RANDACIO. 16 giugno 2015. Milano, truffa da 28 milioni: nove indagati tra primari e dirigenti del San Raffaele ...
SCANDALI IN SARDEGNA
lanuovasardegna.gelocal.it/.../scandalo-igea-indagati-politici-e-sindacalist...
21 dic 2014 - Scandalo Igea, indagati politici e sindacalisti ... turbata libertà degli incanti, truffa e voto di scambio, reati collegati alla società in house della ...
lanuovasardegna.gelocal.it/.../scandalo-igea-inchiesta-bis-altri-venti-inda...
12 feb 2015 - Il nuovo filone è stato aperto dagli agenti del Corpo forestale che indagavano ... e a indagare 66 persone per peculato, truffa e turbativa d'asta.
www.itenovas.com/...sardegna/1344-banda-larga-internet-truffa-sardegn...
25 mar 2015 - Nuovo scandalo in Sardegna, stavolta per una truffa legata agli appalti sulla banda larga per internet con quattro persone indagate nell'isola e ...
www.itenovas.com/...sardegna/1387-appalti-pubblici-pilotati-arresti-sard...
28 apr 2015 - IteNovas | In Sardegna stamattina 24 arresti per appalti pubblici pilotati, coinvolti ... Giornalismo: Odg sardo contro i corsi truffa ... Scoppia lo scandalo nei comuni Sardi, finora coinvolti 13 centri nel nuorese e nel cagliaritano, ...
www.lastampa.it › Cronache
28 apr 2015 - Nell'indagine sono coinvolti anche due vice e altre 17 persone tra ... Sardegna, sgominata la cupola degli appalti: in manette sindaci e tecnici comunali ... Tangenti e voto di scambio, scandalo all'Anas: arrestati dirigenti e l'ex ...
TRUFFE SU GRANDI OPERE : Mose , Expo , Tav .
www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=58834...Mose...truffe...
04 giu 2014 - Mose, Expo, Tav: grandi opere, truffe giganti. Preoccupa il sistem
Corruzione, Mose Expo e Mafia Capitale: il 2014 anno dei grandi scandali
Giustizia & Impunità
Il "classico" di grandi opere e imprenditori a Venezia, il ritorno di Tangentopoli a Milano e la "quinta mafia" a Roma. Mentre l'Italia diventa primatista in tutta Europa, sorpassando anche Grecia e Bulgaria nella classifica di Transparency
di F. Q. | 30 dicembre 2014
Più informazioni su: Appalti, Corruzione, Criminalità Organizzata, Expo 2015, Mafia, Matteo Renzi, Mose, Roma, Transparency International
La mazzette non finiscono mai. E i “tangentari” di destra e di sinistra ritornano e, in alcuni casi, diventano “mafiosi”. Il 2014 è stato un anno contraddistinto da tre grandi scandali: Mose (Venezia), Expo (Milano) e Mafia Capitale (Roma). Ed è stato anche l’anno in cui l’Italia ha raggiunto il triste primato per il reato di corruzione in Europa, sorpassando anche Grecia e Bulgaria, secondo la speciale classifica di Transparency. L’inchiesta veneziana è un classico delle bustarelle made in Italy: grande opera e imprenditori che foraggiano la politica per ottenere appalti. Quella milanese ha riportato in carcere, anche se per poco tempo, alcuni personaggi storici della Tangentopoli anni ’90 come il compagno G., Primo Greganti, o l’ex Dc, Gianstefano Frigerio. L’indagine romana invece ha rivelato l’esistenza a Roma di quella che potrebbe essere considerata la quinta mafia d’Italia.
Italia prima nella classifica della corruzione di Transparency davanti a Grecia e Bulgaria
A giugno è deflagrato il caso Mose: 35 arresti, tra cui il sindaco Pd Giorgio Orsoni, e la richiesta del carcere per l’ex ministro Fi Giancarlo Galan. A sei mesi dalle misure cautelari e gli avvisi di garanzia i pm di Venezia stanno per chiudere l’indagine e nel registro degli indagati sono finiti anche i deputati democratici Mognato e Zoggia. All’ex primo cittadino, che è stato sentito nei giorni scorsi in Procura, il gup ha respinto il patteggiamento mentre per l’ex governatore del Veneto il gip ha disposto gli arresti domiciliari. Quello che sarà sull’indagine sugli appalti del sistema di dighe anti-acqua alta e sul finanziamento illecito ai partiti si vedrà nei prossimi mesi.
Invece la prima parte dello scandalo Expo, esplosa a maggio, si è già chiusa con patteggiamenti e poco carcere per i principali imputati. Il gup Milano ha accolto, tra le altre, le richieste dell’ex segretario della Dc milanese all’epoca di Tangentopoli Gianstefano Frigerio, dell’ex cassiere di Pci e Pds Primo Greganti e dell’ex senatore Fi Luigi Grillo. Pena massima, 3 anni e 4 mesi. E così sei dei sette imputati, già liberi o ai domiciliari, potranno accedere in tempi brevi alle misure alternative. E la grande politica è rimasta fuori dal registro degli indagati. Almeno per ora. Altre inchieste sono aperte. Da registrare, in una fase così delicata, l’esautorazione del coordinamento del dipartimento per i reati contro la pubblica amministrazione dell’aggiunto Alfredo Robledo da parte del procuratore capo Edmondo Bruti Liberati.
In fase di chiusura l’indagine Mose, patteggiamenti e poco carcere per corrotti e corruttori dell’inchiesta Expo
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C’è poi Mafia Capitale, l’inchiesta sul “mondo di mezzo”, che ha svelato l’esistenza di un’organizzazione, considerata mafiosa dagli inquirenti di Roma, capace di intimidire, corrompere politici di ogni schieramento e metter le mani sugli appalti del Campidoglio e della Regione Lazio. Un’indagine, quella coordinata dal ex procuratore capo di Palermo e Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, che ha portato a tre tranche di arresti e all’iscrizione nel registro degli indagati per 416bis anche l’ex sindaco della Capitale, Gianni Alemanno. Un gruppo, quello guidato da Massimo Carminati ex banda della Magliana ex terrorista Nar ora al 41bis per ordine del ministro della Giustizia, capace di infiltrarsi e fare business nella gestione dei centri accoglienza per immigrati e dei campi nomadi, di manipolare le nomine e indirizzare le scelte politiche dell’amministrazione, finanziare cene e campagne elettorali, affiliare imprenditori e usare la forza. Tanto da far scrivere al New York Times che non “c’è angolo di Itali immune dalla criminalità”.
A chiudere l’anno l’inchiesta su Mafia Capitale, capace di corrompere politici di destra e di sinistra, inquinare appalti e affiliare imprenditori
Il clamore per le inchieste ha spinto il governo di Matteo Renzi ad aprire prima una discussione in estate e poi ad approvare qualche giorno fa nuove norme contro la corruzione. Ma i provvedimenti sono stati criticati con forza dall’Associazione nazionale magistrati e anche dal procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti. Era stata chiesta, anche da Pignatone e dal presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, l’estensione degli strumenti che si utilizzano per combattere la mafia ai reati dei colletti bianchi come i “premi” per i pentiti. Richiesta allo stato rimasta inascoltata. E così Mose, Expo, Mafia Capitale, probabilmente, non resteranno un unicum nel paese che non si lascerà mai alle spalle Mani pulite. Sia per gli appalti e le gare per l’Esposizione universale (ci anche altre indagini ancora parte), sia per l’inchiesta dei pm Roma gli accertamenti non sono ancora terminati e la sensazione che il 2015 potrebbe essere un anno ancora da record in negativo per il nostro paese.
La Repubblica della corruzione, 20 anni di scandali dopo Mani Pulite
di Redazione IBTimes Italia 05.06.2014 16:32 CEST
Abolizione del finanziamento pubblico, bloccato in Senato Reuters
Ogni anno questo paese 'ricorda' l'arresto di Mario Chiesa, che nel febbraio 1992 diede il via alla valanga Tangentopoli che pensionerà la Prima Repubblica. Da allora sotto i ponti sono passate decine di leggi salva-questo e salva-quello, ma soprattutto una quantità infinita di scandali. Dimostrazione che se la storia è maestra, in Italia non si impara mai niente.
IL MEDIATORE. Il fondatore del principale partito politico della Seconda Repubblica, Marcello Dell'Utri, è considerato da una sentenza passata in giudicato il mediatore del patto di protezione stretto negli anni Settanta tra i vertici di Cosa nostra e quello che diventerà 'l'anima' di questo ventenni, Silvio Berlusconi. Il quattro volte presidente del consiglio, evasore fiscale, imputato per corruzione con l'accusa di aver comprato senatori a suon di milioni di euro, condannato in primo grado per concussione e prostituzione minorile.
FURBETTI E 'GNORRI'. I vertici dei DS D'Alema e Fassino finiscono intercettati mentre parlano con uno dei 'furbetti del quartierino', quel Giovanni Consorte protagonista della scalata BNL sostenuta senza se e senza ma dal centrosinistra. "Abbiamo una banca" diventerà uno slogan-boomerang, che riemergerà prepotente nel caso Monte dei Paschi di Siena scoppiato un anno fa. E che dire del 'sistema Sesto' messo su da Filippo Penati, uno che faceva il capo della segreteria politica di Pierluigi Bersani, salvato dalla prescrizione e dalla Ex-Cirielli, legge ad personas e ammazza-processi che il centrosinistra si è sempre guardato bene dal cancellare? Lo stesso centrosinistra che oggi scarica il sindaco di Venezia arrestato per lo scandalo MOSE, ma non si accorge che 24 ore prima il sempreverde Fassino, nel frattempo diventato sindaco di Torino, metteva la mano sul fuoco sulla sua onestà. Come non si è accorto di aver dato la tessera a Primo Greganti, tre volte pregiudicato durante Mani Pulite, ma di nuovo in prima fila sull'affare Expo.
CARICHE DELLO STATO. In vent'anni abbiamo avuto ministri come Claudio Scajola, oggi in galera per aver favorito la latitanza di un ex deputato colluso con la 'ndrangheta. Sottosegretario all'Economia è stato Nicola Cosentino, al suo secondo soggiorno in cella, stavolta per estorsione, dopo l'accusa di concorso esterno in associazione camorristica. Abbiamo avuto l'onore di annoverare tra i ministri Cesare Previti, due volte condannato per corruzione in atti giudiziari. O Umberto Bossi, leader di una Lega entrata in Parlamento al grido di Roma ladrona e che ne stava quasi uscendo un anno fa dopo lo scandalo Belsito. Nicola Mancino, oggi imputato per falsa testimonianza nel processo sulla trattativa stato-mafia, noto per aver estromesso dai propri ricordi l'incontro con un tal Paolo Borsellino, è stato presidente del Senato. Come Renato Schifani, da tempo indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, oggi fa la stampella di Renzi assieme al NCD di cui è presidente.
LE REGIONI. Giancarlo Galan ha governato il Veneto per quindici anni e su di lui pende una richiesta di arresto per lo scandalo MOSE. Roberto Formigoni ha guidato la Lombardia per 17 anni e oggi è imputato per corruzione nell'inchiesta sulla sanità lombarda. Giuseppe Scopelliti, già sindaco del primo Comune capoluogo che sarà sciolto per mafia due anni dopo il suo addio, condannato in primo grado a sei anni per averne falsificato i bilanci, è stato subito ricandidato alle Europee. Raffaele Fitto, recordman di preferenze lo scorso 25 maggio, quattro anni in primo grado per corruzione, avendo ricevuto un finanziamento illecito da mezzo milione di euro in cambio di appalti quando era governatore della Puglia. Ottaviano Del Turco, 9 anni in primo grado per corruzione, concussione e associazione a delinquere nell'ambito dell'inchiesta sulla sanità privata in Abruzzo. In Sicilia i predecessori di Crocetta sono rispettivamente in galera per favoreggiamento a Cosa nostra (Cuffaro) e condannato in primo grado per concorso esterno (Lombardo). Senza dimenticare le mutande verdi di Cota pagate dai contribuenti, come milioni e milioni di euro dello scandalo spese pazze che travolge i consigli regionali dello Stivale. O il caso Durnwalder (Trentino), lo scandalo che ha travolto la Polverini (Lazio), il coinvolgimento di Cappellacci (Sardegna) nell'inchiesta P3. E ci scusiamo per tutti quelli che non abbiamo citato.
GRANDI OPERE. Expo e MOSE sono gli ultimi tasselli di un puzzle della paura. Sistemi, potentati, associazioni a delinquere quasi sempre bipartisan, chiamati a ingollare pezzi sempre più grandi di torte milionarie. Ed ecco le risate preventive al telefono, mentre l'Aquila non ha ancora smesso di tremare, di chi si immagina gli affari sulla ricostruzione. Oppure Guido Bertolaso, in quei giorni descritto come se fosse il Messia, e il 'sistema gelatinoso' sugli appalti del G8 alla Maddalena. I grandi affari sulla sanità, settore in cui spendiamo meno degli altri paesi europei ma una fetta finisce nelle tasche di privati corruttori o pubblici corrotti. O il TAV di Firenze per cui è finita agli arresti l'ex governatrice dell'Umbria Lorenzetti. O il business dell'eolico, che ha visto tornare in scena vecchi personaggi della Prima Repubblica come Flavio Carboni. Fortuna che hanno stoppato il Ponte sullo Stretto.
AZIENDE DI STATO. A partire dallo scandalo che travolse Lorenzo Necci, allora numero uno delle Ferrovie dello Stato, per arrivare a Mauro Moretti, oggi imputato di disastro colposo, uno "spiacevole episodio" (parole sue) che a Viareggio si portò via 33 persone. Oggi Moretti guida Finmeccanica, uno spaccato della Seconda Repubblica per le mille inchieste che la vedono protagonista (commesse indiane, brasiliane, sistema di tracciabilità dei rifiuti, etc) e che ha 'perso per scandalo' due degli ultime tre AD: prima Guarguaglini, poi Orsi. ENI è stata guidata per quasi un decennio da un reo confesso di Mani Pulite, quel Paolo Scaroni (oggi indagato per corruzione in merito ad una commessa Saipem, controllata Eni, in Algeria) sostituito da Emma Marcegaglia, la cui azienda di famiglia aveva utilizzato tra il '94 e il 2004, negli acquisti di materie prime, "società off-shore, creando fondi neri su 17 conti esteri, intestati a Steno Marcegaglia e ai figli Antonio ed Emma. La parte che riguarda l'evasione fiscale viene archiviata perché quei capitali sono stati condonati e scudati" (Report).
Vent'anni fa Tangentopoli ci presentò il conto: una manovra lacrime e sangue del governo Amato, con tanto di prelievo forzoso sui conti correnti. Oggi stiamo a 'pettinare le bambole', come direbbe qualcuno, su una riforma della Costituzione che non era nell'agenda di nessun partito fino a 15 mesi fa e ora viene spacciata per una questione di vita o di morte. Sul fronte corruzione (per non parlare di evasione fiscale e mafia, tre tumori che si alimentano a vicenda) solo chiacchiere. In attesa che arrivi il conto. Quello definitivo.
Scandalo formazione, richiesta di arresto
per il deputato Pd Francantonio Genovese
per il deputato Pd Francantonio Genovese
Messina , 15 gennaio 2015
Ordine di custodia cautelare in carcere per l'onorevole democratico di Messina accusato di aver sottratto sei milioni alla formazione professionale. Come avevamo scritto sull'Espresso, Genovese coltiva in Sicilia i suoi interessi economici: decine di società, con bilanci milionari
di Lirio Abbate
In questa legislatura la prima richiesta di arresto arriva per un deputato del Pd. Lui è l'onorevole Francantonio Genovese, di Messina, per il quale la procura ha chiesto ed ottenuto dal gip l'arresto che adesso è stata trasmessa alla Camera per l'autorizzazione a procedere.
Il provvedimento del Giudice ipotizza il reato di associazione per delinquere, riciclaggio, peculato e truffa, e se la Camera accoglie la richiesta ne dispone gli arresti in carcere. L'atto è stato già notificato da Guardia di finanza e da agenti della squadra mobile della Questura di Messina alla presidenza della Camera.
L'inchiesta punta sulle erogazioni pubbliche destinate al finanziamento di progetti formativi tenuti da numerosi centri di formazione professionale che erano di fatto riconducibili a Genovese e alla sua famiglia. Oltre ai già noti Lumen, Aram, Ancol sono finiti sotto inchiesta anche gli enti Enfap, Enaip, Ial, Training service L&C Learning e consulting, Cesam, Ecap, Esofop, Apindustria e Reti.
Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto, Sebastiano Ardita, e dai sostituti, Camillo Falvo, Liliana Todaro, Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti, avrebbero permesso di accertare che i soggetti indagati, attraverso gli Enti di formazione e società appositamente create, grazie a prezzi gonfiati per l'acquisto di beni e servizi o, addirittura, a prestazioni totalmente simulate, sottraevano a loro vantaggio i fondi assegnati per lo svolgimento dei corsi di formazione. La gran parte degli indagati sono risultati tra loro legati da vincoli di parentela e di assoluta fiducia.
Nelle scorse settimane l'Espresso aveva pubblicato una propria inchiesta giornalistica su Genovese da cui era emerso che tutti i mesi si mette in tasca lo stipendio da deputato. E, mentre a Roma siede in Parlamento, in Sicilia coltiva interessi economici. Una rete di decine di società, con bilanci milionari, che operano in tutti i campi: immobiliare, trasporti, servizi, telecomunicazioni e formazione professionale in Sicilia. È un politico potente Francantonio Genovese, esponente del Pd, ex sindaco di Messina, con un passato nella Democrazia cristiana e poi nella Margherita di Francesco Rutelli. È stato segretario regionale del Pd, appoggiato allora dall’ex ministro delle Comunicazioni Salvatore Cardinale.
Il provvedimento del Giudice ipotizza il reato di associazione per delinquere, riciclaggio, peculato e truffa, e se la Camera accoglie la richiesta ne dispone gli arresti in carcere. L'atto è stato già notificato da Guardia di finanza e da agenti della squadra mobile della Questura di Messina alla presidenza della Camera.
L'inchiesta punta sulle erogazioni pubbliche destinate al finanziamento di progetti formativi tenuti da numerosi centri di formazione professionale che erano di fatto riconducibili a Genovese e alla sua famiglia. Oltre ai già noti Lumen, Aram, Ancol sono finiti sotto inchiesta anche gli enti Enfap, Enaip, Ial, Training service L&C Learning e consulting, Cesam, Ecap, Esofop, Apindustria e Reti.
Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto, Sebastiano Ardita, e dai sostituti, Camillo Falvo, Liliana Todaro, Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti, avrebbero permesso di accertare che i soggetti indagati, attraverso gli Enti di formazione e società appositamente create, grazie a prezzi gonfiati per l'acquisto di beni e servizi o, addirittura, a prestazioni totalmente simulate, sottraevano a loro vantaggio i fondi assegnati per lo svolgimento dei corsi di formazione. La gran parte degli indagati sono risultati tra loro legati da vincoli di parentela e di assoluta fiducia.
Nelle scorse settimane l'Espresso aveva pubblicato una propria inchiesta giornalistica su Genovese da cui era emerso che tutti i mesi si mette in tasca lo stipendio da deputato. E, mentre a Roma siede in Parlamento, in Sicilia coltiva interessi economici. Una rete di decine di società, con bilanci milionari, che operano in tutti i campi: immobiliare, trasporti, servizi, telecomunicazioni e formazione professionale in Sicilia. È un politico potente Francantonio Genovese, esponente del Pd, ex sindaco di Messina, con un passato nella Democrazia cristiana e poi nella Margherita di Francesco Rutelli. È stato segretario regionale del Pd, appoggiato allora dall’ex ministro delle Comunicazioni Salvatore Cardinale.
SCANDALO TANGENTI ALLA R.T.I.
Palermo , 29 ottobre 2015
Il libro mastro delle tangenti dell’operazione Black list, che ha fatto scattare gli arresti domiciliari il dirigente di Rete Ferroviaria italiana e presidente dell'Azienda siciliana trasporti Dario Lo Bosco.
Secondo l'accusa, ha ricevuto tangenti "per evitare intoppi" in lavori da 26 milioni.
Ordinanza di custodia cautelare ha portato ai domiciliari anche Salvatore Marranca e Giuseppe Quattrocchi, funzionari del corpo forestale accusati di avere intascato tangenti per un maxi appalto sulla nuova linea di radiocomunicazioni della forestale.
L’ imprenditore di Agrigento Massimo Campione consegnava la tangente a Dario Lo Bosco per il tramite del Quattrocchi e Marranca, con i quali il Lo Bosco intratteneva rapporti. Al numero uno di Rfi, Campione avrebbe elargito mazzette per 58.650 euro, nell’ambito del progetto relativo al cosiddetto gancio ferroviario, un’apparecchiatura tecnologica a distanza.
Mafia, camorra, ‘ndrangheta: la mappa dei clan regione per regione (FOTO)
Pubblicato il 18 agosto 2014 08:51 | Ultimo aggiornamento: 18 agosto 2014 08:51 di Redazione Blitz
ROMA – Mafia, ‘ndrangheta, camorra: la nuova mappa dei clan. L’ultima relazione semestrale della Dia, organo investigativo del Ministero dell’Interno, indica i loro nomi e le loro zone di influenza.
La Dia fa sapere che nel secondo semestre 2013 alcune collaborazioni tra famiglie, anche di diversi mandamenti, hanno smussato qualche contrasto e vecchio rancore. Mentre la necessità di proiettarsi fuori regione ha indotto l’intera organizzazione a concorrere con altri gruppi criminali di ‘ndrangheta, camorra o Sacra Corona Unita per trovare appoggi.
Il traffico di droga si conferma business in crescita, anche in considerazione dei maggiori rischi legati all’attività estorsiva, sempre molto praticata in provincia ma non più agevole, considerata la maggiore propensione degli imprenditori a denunciare le vessazioni subite.
Di seguito la mappa dei principali gruppi criminali che operano in Campania, Calabria e Sicilia.
11 nov 2015
ARRESTI A “ MESSINAMBIENTE “
1657 12 0
LA CONFERENZA STAMPA DI QUESTA MATTINA IN PROCURA – FOTO EDG
Stamane la Sezione di Polizia Giudiziaria-Aliquota Polizia di Stato della Procura di Messina, unitamente a personale del locale Nucleo Investigativo del Comando Provinciale CC di Messina, ha dato esecuzione ad una misura cautelare con cui il Gip presso il Tribunale di Messina Giovanni De Marco, su richiesta del Procuratore Agg. Sebastiano Ardita e del Sost. Proc D.ssa Stefania La Rosa, ha disposto gli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico nei confronti di 5 persone, tra Dirigenti di Messinambiente ed Imprenditori.
Il provvedimento scaturisce da una complessa e articolata indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Messina, avviata nel 2013 dalla quale è emersa la sistematica violazione della normativa prevista dal codice degli appalti per quel che concerne l’acquisizione di servizi e forniture da parte di enti e società pubbliche.
I Nomi degli arrestati: Armando Di Maria, liquidatore della società Messinambiente, gli imprenditori Marcello De Vincenzo, titolare della società MEDITERRANEA A. S.r.l. e Francesco Gentiluomo, titolare della società GENTILUOMO S.r.l., il broker assicurativo e titolare della società BCM INSURANCE BROKER S.r.l. con sede in Barcellona, Antonino Buttino e il funzionario amministrativo-contabile della società Messinambiente Nino Inferrera.
Ad entrare nel dettaglio il Procuratore Capo Dr Guido Lo Forte, che all’inizio della conferenza stampa ha dichiarato che a dare l’input alle indagini sono state le denunce del Sindaco Renato Accorinti.
ANTONINO INFERRERA – FOTO E. DI GIACOMO
Avrebbero intascato tangenti per oltre centomila euro i funzionari di Messina Ambiente, la società’ che gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti nella città’ dello Stretto. Agli arresti domiciliari, in una indagine condotta dal nucleo investigativo dei carabinieri del comando provinciale e dalla sezione di polizia giudiziaria presso la Procura, sono finite cinque persone tra dirigenti della società’ e imprenditori. Il provvedimento, emesso dal gip su richiesta del procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, riguarda l’amministratore unico di Messina Ambiente, Armando Di Maria e il funzionario contabile della società’ Antonino Inferrera, la vera mente della combine che avrebbe favorito imprenditori amici nell’affidamento di servizi.
L’affare più cospicuo quello dell’associazione dei mezzi di MessinaAmbiente affidata senza alcuna gara a evidenza pubblica.
Dal 2011 al 2014 il broker assicurativo Antonino Buttino, anche lui ai domiciliari, avrebbe ricevuto da Messina Ambiente più di 350 mila euro per individuare l’associazione più idonea per gli autocompattatori, versando una tangente di oltre 50.000 euro. Ai domiciliari anche i titolari di altre due aziende, Francesco Gentiluomo e Marcello De Vincenzo, che avrebbero ugualmente pagato mazzette per ottenere, senza gara, i servizi di riparazione dei mezzi di Messina Ambiente.
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Sanità lombarda, tangenti e spettro della 'ndrangheta
Dalle carte rispunta Pezzano, ex Asl, coinvolto nell'inchiesta antimafia Infinito. Poi archiviato. Era il collaboratore di Canegrati, la lady degli appalti dentistici.
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17 Febbraio 2016
Pietro Gino Pezzano, detto dottor Dobermann, ex direttore dell'Asl di Milano 1.
Da una parte il Dobermann, dall'altra Mandrake, in mezzo il ricco business dell'odontoiatria pubblica in Regione Lombardia, tra appalti pilotati, tangenti e un servizio pubblico scadente, a detta degli stessi indagati nelle intercettazioni.
Sembra un fumetto della Marvel, è in realtà l'inchiesta Smile della procura di Monza che ha portato in carcere oltre al padre della riforma sanitaria lombarda Fabio Rizzi, uomo di fiducia del governatore Roberto Maroni, anche Maria Paola Canegrati detta Paoletta, titolare di una miriade di aziende con appalti negli ospedali da Milano a Brescia fino a Desio e Bergamo.
DOBERMANN E MANDRAKE. Il dottor Dobermann è Pietro Gino Pezzano da Palizzi.
Paoletta è invece Mandrake, come si definisce in un'intercettazione contenuta nell'ordinanza di custodia cautelare.
I due, a quanto pare, facevano coppia anche in privato.
Lui non è indagato, ma compare spesso nelle carte degli investigatori.
Lei invece è in carcere con l'accusa di associazione a delinquere, turbativa d'asta e riciclaggio.
AFFARI DA 400 MILIONI DI EURO. In questi anni insieme hanno portato avanti un giro d'affari da 400 milioni di euro, prima sotto la Giunta di Roberto Formigoni, dopo sotto quella di Roberto Maroni, questa volta usando un cavallo nuovo come quello di Rizzi o come Mario Longo, responsabile odontoiatria del Carroccio.
Scrive il gip di Monza: «Insieme a lui la Canegrati gestiva tutte le attività connesse con la gestione dei centri odontoiatrici e tutti i rapporti con le pubbliche amministrazioni conferenti gli appalti».
Sembra un fumetto della Marvel, è in realtà l'inchiesta Smile della procura di Monza che ha portato in carcere oltre al padre della riforma sanitaria lombarda Fabio Rizzi, uomo di fiducia del governatore Roberto Maroni, anche Maria Paola Canegrati detta Paoletta, titolare di una miriade di aziende con appalti negli ospedali da Milano a Brescia fino a Desio e Bergamo.
DOBERMANN E MANDRAKE. Il dottor Dobermann è Pietro Gino Pezzano da Palizzi.
Paoletta è invece Mandrake, come si definisce in un'intercettazione contenuta nell'ordinanza di custodia cautelare.
I due, a quanto pare, facevano coppia anche in privato.
Lui non è indagato, ma compare spesso nelle carte degli investigatori.
Lei invece è in carcere con l'accusa di associazione a delinquere, turbativa d'asta e riciclaggio.
AFFARI DA 400 MILIONI DI EURO. In questi anni insieme hanno portato avanti un giro d'affari da 400 milioni di euro, prima sotto la Giunta di Roberto Formigoni, dopo sotto quella di Roberto Maroni, questa volta usando un cavallo nuovo come quello di Rizzi o come Mario Longo, responsabile odontoiatria del Carroccio.
Scrive il gip di Monza: «Insieme a lui la Canegrati gestiva tutte le attività connesse con la gestione dei centri odontoiatrici e tutti i rapporti con le pubbliche amministrazioni conferenti gli appalti».
L'inchiesta antimafia Infinito del 2010 e il modello Formigoni
(© Imagoeconomica) Il governatore della Regione Lombardia Roberto Maroni e il suo predecessore Roberto Formigoni.
Lo chiamavano appunto «dottor Dobermann» Pezzano.
E lui nel mondo della sanità lombarda non ha mai smesso di ringhiare evidentemente, anche dopo le dimissioni dalla direzione dell’Asl più importante della regione, quella di Milano 1.
Nato in provincia di Reggio Calabria, ha fatto carriera in quel ''modello Lombardia'' tanto caro a Formigoni.
L'OMBRA DELLE 'NDRINE. Prima le esperienze da medico a Desio, poi la guida dell’Asl di Monza da commissario, fino alla contestatissima nomina e successiva riconferma all’Asl 1 di Milano nel 2011, nel mezzo di una stagione che ha sancito il definitivo interesse della ‘ndrangheta per la sanità lombarda.
Nel luglio 2010 l’operazione antimafia Infinito scivolata sull’asse Milano-Reggio Calabria aveva colpito un altro re di denari del sistema sanità, Carlo Antonio Chiriaco, calabrese anche lui, allora direttore sanitario dell’Asl di Pavia.
LA DDA INDAGÒ PEZZANO PER DUE ANNI. Nella stessa inchiesta il tributarista Pino Neri, accusato e poi condannato a 18 anni per associazione mafiosa, intercettato parlava più di una volta di Pezzano.
«È uno potente, fa favori a tutti».
Che Neri millanti o meno non è dato sapere: la Direzione distrettuale antimafia (Dda) ha indagato Pezzano per due anni e a dicembre del 2011, a pochi mesi dalla riconferma dell’incarico all’Asl milanese, la sua posizione è stata archiviata.
Fatto sta che, cristallizzato nella sentenza d’Appello del tribunale di Milano, si legge a chiare lettere che Pezzano risulta essere uno dei soggetti con cui «intrattenevano rapporti» gli uomini della locale di ‘ndrangheta di Desio.
E lui nel mondo della sanità lombarda non ha mai smesso di ringhiare evidentemente, anche dopo le dimissioni dalla direzione dell’Asl più importante della regione, quella di Milano 1.
Nato in provincia di Reggio Calabria, ha fatto carriera in quel ''modello Lombardia'' tanto caro a Formigoni.
L'OMBRA DELLE 'NDRINE. Prima le esperienze da medico a Desio, poi la guida dell’Asl di Monza da commissario, fino alla contestatissima nomina e successiva riconferma all’Asl 1 di Milano nel 2011, nel mezzo di una stagione che ha sancito il definitivo interesse della ‘ndrangheta per la sanità lombarda.
Nel luglio 2010 l’operazione antimafia Infinito scivolata sull’asse Milano-Reggio Calabria aveva colpito un altro re di denari del sistema sanità, Carlo Antonio Chiriaco, calabrese anche lui, allora direttore sanitario dell’Asl di Pavia.
LA DDA INDAGÒ PEZZANO PER DUE ANNI. Nella stessa inchiesta il tributarista Pino Neri, accusato e poi condannato a 18 anni per associazione mafiosa, intercettato parlava più di una volta di Pezzano.
«È uno potente, fa favori a tutti».
Che Neri millanti o meno non è dato sapere: la Direzione distrettuale antimafia (Dda) ha indagato Pezzano per due anni e a dicembre del 2011, a pochi mesi dalla riconferma dell’incarico all’Asl milanese, la sua posizione è stata archiviata.
Fatto sta che, cristallizzato nella sentenza d’Appello del tribunale di Milano, si legge a chiare lettere che Pezzano risulta essere uno dei soggetti con cui «intrattenevano rapporti» gli uomini della locale di ‘ndrangheta di Desio.
Quegli incontri con uomini delle cosche contestati a Pezzano
(© Ansa) Il palazzo della Regione Lombardia.
In mezzo, tra le indagini e l’archiviazione, ci sono le foto con i boss di Desio e un incontro con Paolo Martino, ritenuto da anni il referente delle cosche reggine al Nord.
«LA MOGLIE STAVA MALE». Sul boss rispondeva che «la moglie stava male, mi hanno chiesto una mano», mentre sul secondo, «il nome non mi dice niente, non mi ricordo di questo appuntamento. Se è stato rilevato dai carabinieri, ci sarà stato».
Fatto sta che nel corso dei processi la pm di Milano Alessandra Dolci non è mai stata tenera con la figura di Pezzano, in particolare per l’episodio della moglie che stava male.
APPUNTAMENTO AL BAR. L’incontro che avenne tra lo stesso Pezzano e il boss Candeloro Polimeni non fu a casa dove stava male la moglie, ma in un bar della città.
«Suppongo», disse il pm, «che quando si chiama un medico perché qualcuno sta male il medico vada a casa, non vada a parlare al bar».
I giudici di primo grado rincararono la dose nella sentenza: «L’incontro non è certamente determinato da problemi di salute della moglie di Polimeni».
LA DIFESA E LE DIMISSIONI. Per contro l’ex direttore si è sempre difeso: «Sono un cittadino che mi dicono di essere stato indagato. Non ne ho mai saputo niente. Prendo atto di quello che è stato riferito sul mio conto. Ma se ci fosse stato qualche comportamento non legale avrei dovuto rispondere delle mie azioni».
Dopo una mozione di sfiducia del Consiglio Regionale nei suoi confronti decise di lasciare l’incarico.
«Mi dimetto», dichiarò, «per salvaguardare la mia professione, chi lavora con me e la mia famiglia. Preferisco togliere dall’imbarazzo il Pirellone, anche se contro di me si è mossa la macchina del fango».
«LA MOGLIE STAVA MALE». Sul boss rispondeva che «la moglie stava male, mi hanno chiesto una mano», mentre sul secondo, «il nome non mi dice niente, non mi ricordo di questo appuntamento. Se è stato rilevato dai carabinieri, ci sarà stato».
Fatto sta che nel corso dei processi la pm di Milano Alessandra Dolci non è mai stata tenera con la figura di Pezzano, in particolare per l’episodio della moglie che stava male.
APPUNTAMENTO AL BAR. L’incontro che avenne tra lo stesso Pezzano e il boss Candeloro Polimeni non fu a casa dove stava male la moglie, ma in un bar della città.
«Suppongo», disse il pm, «che quando si chiama un medico perché qualcuno sta male il medico vada a casa, non vada a parlare al bar».
I giudici di primo grado rincararono la dose nella sentenza: «L’incontro non è certamente determinato da problemi di salute della moglie di Polimeni».
LA DIFESA E LE DIMISSIONI. Per contro l’ex direttore si è sempre difeso: «Sono un cittadino che mi dicono di essere stato indagato. Non ne ho mai saputo niente. Prendo atto di quello che è stato riferito sul mio conto. Ma se ci fosse stato qualche comportamento non legale avrei dovuto rispondere delle mie azioni».
Dopo una mozione di sfiducia del Consiglio Regionale nei suoi confronti decise di lasciare l’incarico.
«Mi dimetto», dichiarò, «per salvaguardare la mia professione, chi lavora con me e la mia famiglia. Preferisco togliere dall’imbarazzo il Pirellone, anche se contro di me si è mossa la macchina del fango».
Dottor Dobermann era il tramite della Zarina Canegrati
L'imprenditrice Maria Paola Canegrati, al centro del sistema di tangenti insieme a Fabio Rizzi.
Ma Pezzano a quanto pare continuava a operare indisturbato sulla sanità lombarda.
Era il tramite, secondo le accuse, proprio della Canegrati che poi si confrontava con Rizzi e Longo per gli appalti pubblici della regione.
La Zarina, vertice del sistema di corruzione tra una miriade di società private e alcune scatole cinesi, è chiamata a rispondere delle accuse ai magistrati giovedì 18 febbraio 2016 a San Vittore.
RAPPORTI CONFIDENZIALI. Le indagini, si legge negli atti, «hanno permesso di accertare come sussistano rapporti altamente confidenziali tra Longo e Canegrati, risalenti quantomeno al 2012, anno di costituzione della Sytcenter s.r.l. (...) della quale risulta amministratore (oltre a essere socio occulto) unitamente a Canegrati».
IL MATERIALE SCADENTE. L'uomo dello staff di Rizzi, il responsabile odontoiatria per conto di Euopolis, partecipata della Regione, secondo i magistrati di Monza risulta «essere in grado di pilotare gli appalti in favore di Canegrati da cui, in cambio, riceve lauti compensi sotto svariate forme».
Paoletta Mandrake non accettava critiche. «Non si lamenta nessuno dei miei... anche perché se no li prendo a sberle», disse parlando con Giuseppe ('Nuccio') Nachiero, consigliere di amministrazione di una delle sue società che gli faceva presente le lamentele di alcuni dipendenti rispetto all'uso di materiali «diversi e più scadenti» da lei proposti rispetto a quelli utilizzati solitamente al Policlinico di Milano dove il sistema Canegrati aveva esteso i tentacoli.
ORDINI IN CAMBIO DI ASSUNZIONI. Giorgio Alessandri, medico della clinica odontoiatrica dell'ospedale di via Francesco Sforza e anche lui tra gli arrestati del 16 febbraio, avrebbe favorito una delle società dell'imprenditrice per forniture di materiale per ortodonzia e di protesi, pur scadente, «effettuando consistenti ordini».
In cambio avrebbe ottenuto denaro e l'assunzione della propria compagna in una delle strutture della Canegrati.
La piovra era ovunque.
Era il tramite, secondo le accuse, proprio della Canegrati che poi si confrontava con Rizzi e Longo per gli appalti pubblici della regione.
La Zarina, vertice del sistema di corruzione tra una miriade di società private e alcune scatole cinesi, è chiamata a rispondere delle accuse ai magistrati giovedì 18 febbraio 2016 a San Vittore.
RAPPORTI CONFIDENZIALI. Le indagini, si legge negli atti, «hanno permesso di accertare come sussistano rapporti altamente confidenziali tra Longo e Canegrati, risalenti quantomeno al 2012, anno di costituzione della Sytcenter s.r.l. (...) della quale risulta amministratore (oltre a essere socio occulto) unitamente a Canegrati».
IL MATERIALE SCADENTE. L'uomo dello staff di Rizzi, il responsabile odontoiatria per conto di Euopolis, partecipata della Regione, secondo i magistrati di Monza risulta «essere in grado di pilotare gli appalti in favore di Canegrati da cui, in cambio, riceve lauti compensi sotto svariate forme».
Paoletta Mandrake non accettava critiche. «Non si lamenta nessuno dei miei... anche perché se no li prendo a sberle», disse parlando con Giuseppe ('Nuccio') Nachiero, consigliere di amministrazione di una delle sue società che gli faceva presente le lamentele di alcuni dipendenti rispetto all'uso di materiali «diversi e più scadenti» da lei proposti rispetto a quelli utilizzati solitamente al Policlinico di Milano dove il sistema Canegrati aveva esteso i tentacoli.
ORDINI IN CAMBIO DI ASSUNZIONI. Giorgio Alessandri, medico della clinica odontoiatrica dell'ospedale di via Francesco Sforza e anche lui tra gli arrestati del 16 febbraio, avrebbe favorito una delle società dell'imprenditrice per forniture di materiale per ortodonzia e di protesi, pur scadente, «effettuando consistenti ordini».
In cambio avrebbe ottenuto denaro e l'assunzione della propria compagna in una delle strutture della Canegrati.
La piovra era ovunque.
CASERTA – 13 settembre 2016
Venti arresti “eccellenti” a Caserta. Con l’accusa di corruzione e di appalti truccati nella gestione dei rifiuti, la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha disposto sette arresti domiciliari e tredici in carcere. Fra gli arrestati c’è il presidente della provincia di Caserta Angelo Di Costanzo, di Forza Italia.
Di Costanzo è anche sindaco di Alvignano, Comune dove sono stati arrestati anche un assessore e il comandante della polizia municipale. Custodia cautelare anche per Vincenzo Cappello, sindaco di Piedimonte Matese, del Pd, per Pietro Cappella, presidente del consorzio di bonifica Sannio-Alifana, e per l’ex sindaco di Casagiove.
Gli arresti colpiscono in particolare la zona del Matese e, oltre ai politici, si concentrano su imprenditori e funzionari.
Ad eseguire le misure sono la Guardia di finanza di Caserta, coordinata dal generale Giuseppe Verrocchi e i carabinieri diretti dal colonnello Giancarlo Scafuri. L’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere, guidata dal procuratore capo Maria Antonietta Troncone, durava da oltre un anno e aveva nel mirino presunte dazioni di danaro “e una serie di altre utilità” in cambio di assegnazioni di lavori nel settore dello smaltimento dei rifiuti. In particolare, la Procura sottolinea in una nota di aver portato alla luce “un vero e proprio sistema criminale finalizzato all’assegnazione illecita di appalti milionari in diversi Comuni del casertano“.
Sempre secondo l’accusa, gli arrestati avrebbero ottenuto l’assunzione di amici e parenti, oltre a buoni benzina, auto di lusso e altri regali: ad elargire favori e assunzioni sarebbe stato il Gruppo Termotetti, una ditta della zona che si occupa dello smaltimento dei rifiuti, che in cambio avrebbe così ottenuto l’assegnazione degli appalti.
Grandi Opere, nella maxi-retata arrestati anche il progettista e il manager del ponte sullo Stretto
Lobby
Proprio un mese fa, nel giorno in cui Matteo Renzi rilanciava il progetto, Michele Longo ed Ettore Pagani erano al suo fianco. Da ieri sono agli arresti nell'ambito dell'inchiesta che ha portato in manette anche il figlio dell'ex ragioniere dello Stato Monorchio e in cui è finito indagato Lunardi jr. Il premier minimizza: "Processo sia rapido. Stiamo parlando di arresti legati a vicende del passato"
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A un mese esatto dal roboante annuncio del rilancio del progetto del Ponte sullo Stretto, la maxi-retata di mercoledì 26 ottobre ha tolto dalla circolazione alcuni di quelli che erano gli uomini chiave del progetto e che erano proprio di fianco al premier Matteo Renzi a Milano nel giorno dell’annuncio. Si tratta del presidente e del vice-presidente del Consorzio Cociv, Michele Longo ed Ettore Pagani. Due uomini espressione del gruppo Salini-Impregilo. Il primo, Longo, ne è una delle figure apicali essendo general manager domestic operation e avendo quindi la responsabilità non solo delle opere del cosiddetto Terzo Valico, ma anche di tutte le altre operazioni italiane che coinvolgono il gruppo. Di più, è l’uomo del Ponte, colui con il quale lo Stato deve parlare se l’argomento è la maxi opera tra Sicilia e Calabria. E Pagani è il suo braccio destro, nonché “responsabile del progetto Ponte sullo Stretto” per conto di Impregilo, come recita il suo curriculum.
Le misure di custodia cautelare sono scattate nell’ambito di un’operazione sulle Grandi Opere, dove – secondo i magistrati – non c’è solo la solita gigantesca corruttela, ma anche e soprattutto la sistematica violazione delle normative di sicurezza, con lavori non fatti a regola e uso di materiali scadenti (“il cemento sembrava colla”, intercettano gli inquirenti). Opere costosissime, spesso inutili e soprattutto pericolose. Opere su cui il governo Renzi si è esposto molto. L’annuncio del rilancio del progetto del Ponte il premier lo ha fatto il 27 settembre intervenendo alla festa per i 110 anni del gruppo Salini-Impregilo che si è svolta alla Triennale di Milano. Accanto a lui, l’amministratore delegato del gruppo, Pietro Salini (più volte citato nelle intercettazioni dell’inchiesta), l’ambasciatore degli Stati Uniti e molti top manager, tra cui, come detto, gli stessi Longo e Pagani. “Non accetteremo che si possano spendere 6-7 miliardi per la Torino Lione, 1,2 per la Variante di Valico e poi se facciamo un’infrastruttura al Sud non si può perché rubano. O siamo italiani sempre o siamo italiani mai”, ha detto Renzi giusto qualche giorno fa. Ora che gli uomini del Ponte sono finiti nei guai lui minimizza: “Mi auguro un processo equo e rapido. Il punto centrale è che non sono le regole che fanno l’uomo ladro. E in ogni caso stiamo parlando di arresti legati a vicende del passato”.
Se le storie sono antiche, gli uomini però sono sempre gli stessi. Ma chi sono veramente Longo e Pagani e chi è il “terzo uomo”, Pier Paolo Marcheselli, di cui si parla tanto in queste ore? Riguardo a Longo e Pagani le carte dei pm riportano soprattutto due contestazioni: “Longo e Pagani decidevano di affidare l’appalto a “Grandi Lavori Fincosit spa” nonostante tale società avesse previsto nell’ambito delle spese generali un costo per la sicurezza aziendale interna senz’altro incongruo (93mila euro, un ottavo dei concorrenti, ndr)”. C’è poi la gara per realizzare la viabilità per smaltire il materiale di scavo: “Longo, Pagani e Giulio Frulloni (quest’ultimo remunerato dall’imprenditore Marciano Ricci mediante l’offerta di serate con “escort”) prima dell’indizione della gara promettevano allo stesso Ricci l’affidamento dell’appalto… e fornivano loro informazioni sul progetto che sarebbe andato in gara”.
Ci sono molti fili che legano le grandi opere italiane. Parti dal Terzo Valico e arrivi molto lontano. Al Ponte, ma non solo. La grande opera tra Milano e Genova ha già collezionato molti record. Giudiziari, prima che ingegneristici. Per non parlare dei costi: “Eravamo partiti da 3.200 miliardi di lire per 127 chilometri e siamo arrivati a 6,2 miliardi di euro per 54 chilometri”, racconta Stefano Lenzi, responsabile delle Relazioni Istituzionali del Wwf. Le rogne cominciano negli anni ‘90 quando il pm genovese Francesco Pinto indaga sui tunnel pilota. Si parlava di una truffa da 100 miliardi di lire. Gli indagati – Luigi Grillo, Ercole Incalza, Marcellino Gavio e Bruno Binasco – ne uscirono puliti: furono tra i primi a beneficiare della ex Cirielli sulla prescrizione. La storia del Terzo Valico era cominciata nel 1991. Poi le inchieste, il silenzio. Se ne riparla con il ritorno di Silvio Berlusconi nel 2001. E già allora si ritrovano nomi di oggi. Nel marzo 2005 Andrea Monorchio aveva terminato il mandato di Ragioniere Generale dello Stato e trovato altre prestigiose poltrone. Tra le altre quelle di presidente di Infrastrutture Spa e della Consap (Concessionaria dei Servizi Assicurativi Pubblici). Disse allora Monorchio Senior: “La delibera Cipe ha individuato la cifra necessaria per realizzare il Terzo Valico, 4,7 miliardi di euro, noi siamo pronti a finanziare l’opera”.
A questo punto ecco che entra in scena Giandomenico Monorchio, citato nell’inchiesta fiorentina del 2015 su Ercole Incalza (archiviato). Di Monorchio jr. (arrestato ieri nella nuova inchiesta) parla nelle intercettazioni l’imprenditore Giulio Burchi: sostiene che si “…stanno negoziando le ultime direzioni lavori… il Cociv… il Milano-Genova ce l’aveva il figlio di… nella spartizione fantastica di queste direzioni lavori commissionate dai general contractor… che sono una delle vergogne grandi di questo Paese”. Spiegano i magistrati: “Si ricorda che, di recente, il Consorzio Cociv ha affidato a Giandomenico Monorchio la direzione dei lavori per il Terzo Valico”. Ma dalle carte dell’inchiesta romana di oggi, sul Terzo Valico, potrebbero emergere altri dettagli sul ruolo di Monorchio jr. Il retroscena del Terzo Valico non viene solo dalle inchieste. Dietro il Terzo Valico c’è anche l’abbraccio tra banche e governi. Perché era Intesa (attraverso Biis, Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo) che si occupava del project financing privato. Ai vertici di Biis c’era chi parlava di un finanziamento che doveva costare 374 milioni l’anno. Mentre le Ferrovie prevedevano un ricavo da 40 milioni. Ma ecco che con Monti i banchieri vanno al Governo: Corrado Passera, ex numero uno di Intesa, finisce allo Sviluppo Economico e alle Infrastrutture. Viceministro è Mario Ciaccia, il numero uno di Biis che finanziava l’opera. Il progetto riparte. E in un attimo la spesa si riversa sulle spalle pubbliche. E ci sarebbero anche da contare le previsioni del traffico merci: si era detto di 5 milioni di container l’anno. Siamo a 1,8 e la linea attuale ne regge 3. C’è poi chi, come il Wwf, ricorda che i costi (115 milioni a chilometro) sono superiori dell’800% a quelli affrontati in Spagna. Chi sottolinea che dopo 53 chilometri la nuova linea finirebbe nel nulla.
Ma c’è chi continua a crederci. Di sicuro la ‘ndrangheta, come ha rivelato l’inchiesta Alchemia: “Dalle intercettazioni – raccontò il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho – rileviamo l’interesse di imprenditori prestanome delle cosche a sostenere finanziariamente il movimento Sì Tav per creare nell’opinione pubblica un orientamento favorevole all’opera”.
C’è poi ò’ultimo tassello: la nomina del presidente del Porto di Genova. Perché il Terzo Valico servirebbe proprio allo scalo ligure. Ormai è questione di ore: il nuovo presidente sarà Paolo Emilio Signorini, già delfino di Ercole Incalza. Il suo nome è stato proposto da Giovanni Toti. L’opposizione, soprattutto di centrosinistra, tace. Si cerca un accordo sulla figura del Segretario dell’Autorità Portuale. Altra poltrona cardine per il Porto (e il destino del Terzo Valico). Si profila un’intesa con il Pd.
INCHIESTA SU CONSIP
Corruzione nell’ambito dell’inchiesta su Consip, la società del ministero del Tesoro che si occupa di controllare e gestire gli appalti per il pubblico. E’ questa l’accusa con cui la Procura di Roma ha arrestato l’imprenditore di origini campane Alfredo Romeo, che proprio oggi compie 64 anni. L’indagine che ha portato al provvedimento di custodia cautelare in carcere ai danni di Romeo è la stessa, partita da Napoli e arrivata a Roma, in cui sono stati iscritti nel registro degli indagati, seppur con ipotesi di reato diverse, il ministro dello Sport Luca Lotti, Tiziano Renzi (il padre dell’ex premier), il generale Tullio Del Sette (comandante dei carabinieri) e il generale Emanuele Saltalamacchia (comandante dei carabinieri della Toscana).
Alfredo Romeo è stato arrestato dal comando Carabinieri tutela ambiente, dai militari dell’Arma di Napoli e dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Napoli. L’episodio contestato all’imprenditore campano è quella della presunta corruzione (per funzione) di Marco Gasparri, direttore Sourcing Servizi e Utility di Consip, in pratica il settore che si occupa delle gare per l’acquisto dei servizi per tutte le amministrazioni. Secondo gli inquirenti, il manager pubblico riceveva da Alfredo Romeo (a Napoli indagato anche per associazione per delinquere) consistenti somme di denaro in cambio di informazioniprivilegiate in grado di favorire le società di Romeo nell’assegnazione di alcuni bandi di gara. In mattinata, è stato anche disposto il sequestro patrimoniale di 100mila euro: secondo gli investigatori si tratta del provento della corruzione di Gasparri, dal 2013 a oggi. Quest’ultimo, difeso dall’avvocato Alessandro Diddi, non è stato arrestato perché ha collaborato con gli inquirenti e ha fornito molti particolari utili al prosieguo delle indagini. Eseguite anche alcune perquisizioni nelle abitazioni di altri indagati nell’ambito della stessa inchiesta. In tal senso, gli investigatori hanno fatto visita all’ex parlamentare di An e del Pdl Italo Bocchino, consulente di Romeo, e all’imprenditore farmaceutico toscano Carlo Russo. Quest’ultimo, molto vicino sia a Romeo che a Tiziano Renzi (indagato con Russo per concorso in traffico di influenze), come dimostrato da Il Fatto Quotidianonel 2015 è stato raccomandato dal ministro Lotti a Michele Emiliano. A rendere nota la vicenda è stato lo stesso governatore pugliese, che per questo motivo nella giornata di oggi era atteso in procura per riferire i particolari della questione in qualità di persona informata sui fatti. L’appuntamento, però, non ci sarà: gli ultimi sviluppi di cronaca hanno fatto slittare l’interrogatorio.
L’inchiesta, come detto, è nata da un’indagine avviata nei mesi scorsi dalla Procura di Napoli per presunte irregolarità nelle assegnazioni di alcuni appalti. Un’indagine condotta dai pm della Dda, John Woodcock e Celeste Carrano: il fatto che il procedimento sia condotto dai magistrati dell’Antimafia è motivato dal presunto collegamento ai clan di alcuni dipendenti della ditta di pulizia, che fa capo al gruppo Romeo, che ottenne l’appalto per svolgere tale servizio all’ospedale Cardarelli di Napoli. Dagli accertamenti svolti dai magistrati emerse un presunto sistema di tangenti in riferimento sia all’appalto nell’ospedale Cardarelli che per altri lavori pubblici a Napoli. Gli sviluppi più importanti dell’indagine sono collegati alle intercettazioni telefoniche ed ambientali ed altre attività, come sequestri e perquisizioni (a Roma furono trovati in una discarica dei pizzini sui quali secondo l’accusa Romeo avrebbe annotato importo e destinatari delle mazzette) che hanno portato all’apertura del filone sugli appalti della Consip, la centrale di spesa della pubblica amministrazione. Ciò ha comportato una trasmissione, per competenza territoriale, di buona parte degli atti, alla Procura di Roma che sta operando in stretto contatto con i colleghi della Procura partenopea.
L’inchiesta Consip è stata svelata dal Fatto Quotidiano il 22 dicembre dell’anno scorso. Nel mirino dei pm c’è l’appalto più grande d’Europa: Fm4, cioé facility management, la gara indetta nel 2014 da Consip per l’affidamento dei servizi gestionali degli uffici, delle università e dei centri di ricerca della Pubblica amministrazione. La convenzione vale 2 miliardi e 700 milioni di euro per una durata complessiva di 36 mesi e corrisponde all’11,5 per cento della spesa annua della Pubblica amministrazione. L’appalto è diviso in lotti e Alfredo Romeo era in pole per un bando da quasi 700 milioni di euro.
Nell’ambito dell’inchiesta, il ministro Lotti è indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento. Il fascicolo contenente le ipotesi di reato sulle fughe di notizie è stato stralciato dal filone principale sulla corruzione ed è finito a Roma per competenza territoriale. Il braccio destro di Renzi, già sottosegretario alla Presidenza del consiglio, è stato iscritto nel registro degli indagati a seguito delle dichiarazioni del suo amico Luigi Marroni, che nel suo interrogatorio come persona informata dei fatti ha tirato in ballo anche il generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia, comandante della Legione Toscana, indagato per le stesse ipotesi di reato. Nella fattispecie, Marroni ha detto di avere saputo dell’indagine e della presenza di microspie negli uffici Consip dal presidente di Consip Luigi Ferrara, che a sua volta era stato informato dal comandante Tullio Del Sette. Poi ha aggiunto altri nomi. I più importanti sono quelli di Lotti e del generale Emanuele Saltalamacchia, suoi amici. Entrambi lo avrebbero messo in guardia dall’indagine. Dopo la soffiata Marroni fece eseguire la bonifica. Che effettivamente andò a segno.
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All’alba di questa mattina è scattata l’operazione “Tekno”, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina e condotta dalla Dia di Catania. Quello del Consorzio per le Autostrade Siciliane era un sistema “a pioggia”, collaudato e creato ad arte per rubare i soldi che dovevano servire a migliorare le principali arterie della Sicilia. Un fiume di denaro per svariati milioni di euro che, invece, finivano nelle tasche di chi gestisce il Cas
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Sono 95 gli indagati accusati tra lʼaltro di associazione per delinquere aggravata dallʼaver favorito unʼassociazione di tipo mafioso. Il Gip: coordinatore provinciale della Lega sapeva di una nomina pilotata
I carabinieri di Monza e la Gdf di Varese hanno eseguito in Lombardia e Piemonte 43 ordinanze di custodia cautelare, di cui 12 in carcere e 16 ai domiciliari, nell'ambito di un'inchiesta coordinata dalla Dda milanese su due gruppi criminali, operativi tra Milano e Varese, costituiti da esponenti politici, amministratori pubblici e imprenditori. Secondo i magistrati avrebbero pilotato la spartizione e l'aggiudicazione di gare per appalti pubblici.
"Finanziamenti illeciti a esponenti di Forza Italia e al partito FdI" - L'imprenditore arrestato Daniele D'Alfonso è la figura chiave dell'inchiesta: sarebbe stato lui "in maniera tentacolare" a corrompere vari esponenti politici al fine di ricevere appalti. Secondo l'indagine della Dda milanese, "in occasione della campagna 2018 per le consultazioni politiche e regionali", avrebbe corrisposto "sistematici finanziamenti illeciti a vari soggetti", tra cui Fabio Altitonante, consigliere lombardo di FI arrestato, Diego Sozzani, parlamentare di FI (chiesto l'arresto) e Angelo Palumbo, anche lui di FI, "nonché al partito 'Fratelli d'Italia'".
Gli indagati e le accuse - Le persone indagate sono in totale 95, accusate a vario titolo di associazione per delinquere aggravata dall'aver favorito un'associazione di tipo mafioso, finalizzata a corruzione, finanziamento illecito ai partiti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, false fatturazioni per operazioni inesistenti, auto riciclaggio e abuso d'ufficio.
Le ordinanze restrittive - Delle 43 persone destinatarie delle ordinanze restrittive 12 sono finite in carcere, 16 ai domiciliari, 3 con obbligo di dimora e 12 con obbligo di firma. Di queste solo 9 sono accusate di associazione a delinquere. Sono duecentocinquanta i militari, tra carabinieri e finanzieri impegnati dalle prime luce dell'alba nell'esecuzione misure cautelari nelle province di Milano, Varese, Monza e Brianza, Pavia, Novara, Alessandria, Torino e Asti.
I filoni dell'inchiesta - Sono diversi i filoni dell'inchiesta. Uno di questi riguarda gli appalti targati Amsa, l'azienda dei rifiuti milanese e parecchie partecipate pubbliche. Un altro, il filone varesino e che ha come personaggio principale l'ex coordinatore provinciale di Forza Italia Gioacchino Caianiello (anche lui tra i destinatari del provvedimento) riguarda il Piano di governo del territorio e le sue varianti. Ma per inquirenti e investigatori il personaggio principale dell'inchiesta rimane l'imprenditore Daniele D'Alfonso con la sua Ecol-Service, uno dei quali risponde dell'aggravante di aver favorito la 'Ndrangheta, in quanto con gli appalti ottenuti in cambio di tangenti avrebbe dato lavoro agli uomini della famiglia calabrese dei Molluso di Buccinasco.
Ed è lui che, secondo la ricostruzione di inquirenti e investigatori, attraverso fittizie consulenze e altre utilità, avrebbe "ricompensato" Tatarella con cui, come emerge dalle intercettazioni, si sarebbe incontrato da Berti, il ristorante milanese non molto lontano dagli uffici della Regione e già venuto a galla in molte indagini milanesi, e che ora nel linguaggio degli indagati è diventato "la mensa dei poveri", definizione che ha dato il nome all'indagine della Dda.
D'Alfonso: "Ho pagato 100mila euro e sto lavorando" - "Mi ha fatto dieci cose per centomila, ok e sto guadagnando". Lo ha affermato, in un'intercettazione, l'imprenditore del settore rifiuti e bonifiche ambientali D'Alfonso mentre parlava di una presunta tangente da 100mila euro in favore di Mauro De Cillis, responsabile operativo di Amsa, l'azienda milanese di servizi ambientali, finito in carcere. Nell'inchiesta sono stati arrestati anche i vertici di altre società partecipate, come Prealpi servizi e Alfa srl.
Gip: "Coordinatore della Lega seppe di una nomina pilotata" - Gioacchino Caianiello riguardo alla nomina "pilotata" di Davide Borsani come dirigente della società a totale partecipazione pubblica Alfa di Varese "confessa (...) che la stessa è frutto di un accordo politico preventivo, di cui asserisce di aver reso edotto anche il coordinatore provinciale della Lega Matteo Bianchi". Lo scrive il gip Raffaella Mascarino nella sua ordinanza di custodia cautelare secondo quanto affermato da Caianello in un'intercettazione.
Pm: "Tatarella a libro paga dell'imprenditore D'Alfonso" - Anche il consigliere comunale milanese e vice coordinatore lombardo di Forza Italia Pietro Tatarella, che risulta arrestato, sarebbe stato a "libro paga" di D'Alfonso, da cui avrebbe ottenuto 5mila euro al mese e in cambio l'avrebbe favorito negli appalti dell'Amsa, in particolare, e l'avrebbe introdotto in altri appalti a Varese e a Novara, dove sarebbe stato attivo il parlamentare di FI Diego Sozzari.
Secondo gli investigatori, Tatarella avrebbe voluto mettere le mani sull'aerea dove sorgeva l'Expo. "Dove c'era l'Expo stiamo cercando di capire se riusciamo ad entrarci un po' pure noi". Così parlava il consigliere, intercettato nell'ambito dell'inchiesta della Dda. Per il gip, poi, c'è "un'ombra quanto mai allarmante sulle modalità con le quali" Fabio Altitonante, consigliere lombardo arrestato, "potrà gestire la delicatissima delega alla 'Rigenerazione e sviluppo dell'Area ex Expo'".
In un'intercettazione del 31 ottobre 2018 Tatarella, conversando con un imprenditore, "spende il nome della Ecol-Service qualificandosi come socio dell'impresa (in realtà egli figura unicamente come consulente con partita iva) e proponendogli una collaborazione". Ciò che rileva, riassume il giudice, è che il consigliere comunale "per mettere in evidenza le potenzialità della 'propria' impresa, sottolinea il suo ruolo di 'collettore' con il mondo istituzionale", dicendo: "Io su tutti i contatti diciamo legati all'istituzionale sono molto forte". E riferisce "di aver iniziato a lavorare per la multinazionale spagnola (Acciona Spa) presso la quale ha conosciuto il fornitore con il quale adesso lavora", ossia Daniele D'Alfonso, l'imprenditore arrestato.
Tatarella, prosegue il gip, "si avvale della sua funzione pubblica e delle relazioni esistenti con altri Pubblici Ufficiali per incamerare lavori con altre imprese, offrendosi, in caso di alleanze commerciali con questi ultimi, di svolgere anche nel loro interesse, operazioni di illecita intermediazione verso altri Pubblici Ufficiali, nel caso di specie, con l'amministratore delegato di AREXPO, sfruttando le relazioni effettivamente esistenti e accertate dalle intercettazioni". Un "affare", conclude il gip, quello dell'area ex Expo, che "coinvolge interessi economici di portata milionaria".
Istigazione alla corruzione nei confronti di Fontana - Nell'inchiesta della Dda di Milano c'è anche un episodio di "istigazione alla corruzione", contestato all'ex coordinatore provinciale di Forza Italia a Varese, Gioacchino Caianiello, nei confronti del presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, che è parte offesa e non risulta indagato. Da quanto emerso, il governatore non avrebbe denunciato l'episodio. Caianiello e il dg dell'ente Afol Metropolitana, Giuseppe Zingale, nell'aprile 2018 avrebbero proposto a Fontana, "consulenze onerose in favore dell'avv. Luca Marsico, socio dello studio professionale Fontana-Marsico" in cambio della nomina, non avvenuta, di Zingale alla "direzione generale Istruzione Lavoro e Formazione della Regione". Breve il commento del governatore: "Non dico nulla, ho letto che io sono parte offesa. Quindi per rispetto della magistratura le cose che dovrò dire le dirò a loro".
Richiesta di arresto alla Camera per un deputato di Forza Italia - C'è anche una richiesta di autorizzazione inviata alla Camera dei Deputati per l'arresto per finanziamento illecito del parlamentare di Forza Italia Diego Sozzari nell'inchiesta della Dda milanese che ha portato a 43 misure cautelari per un giro di tangenti negli appalti e con al centro anche l'accusa di associazione per delinquere aggravata dall'aver favorito una cosca mafiosa.
Gli arrestati - Tra gli arrestati c'è anche il consigliere regionale azzurro Fabio Altitonante, sottosegretario all'area Expo della Regione Lombardia, accusato di corruzione.
"Mazzetta di 20mila euro per ottenere il rilascio a costruire" - Secondo quanto emerso nell'inchiesta c'è anche una presunta mazzetta da 20mila euro per "far ottenere il rilascio del permesso a costruire" su un immobile a Milano "sottoposto a vincoli paesaggistici" tra le tante imputazioni della maxi indagine della Dda milanese che ha portato a 43 misure cautelari, tra cui l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per abuso d'ufficio per Franco Zinna, Dirigente della Direzione Urbanistica del Comune di Milano, e per Maria Rosaria Coccia, dipendente comunale. Stando all'ordinanza cautelare, il consigliere regionale Fabio Altitonante, avrebbe ricevuto dall'imprenditore D'Alfonso "quale tramite" di Luigi Patimo (la casa è di proprieta' di sua moglie) 20mila euro "al fine di far ottenere il rilascio del permesso a costruire". Altitonante si sarebbe, poi, attivato con Zinna.
Salvini: "Brillante operazione" - "Ringrazio sempre le forze dell'ordine quando arrestano corrotti e corruttori". Così il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, definendo il blitz una "brillante operazione".
Conte: "La legge 'Spazzacorrotti' è efficace" - Soddisfatto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che su Facebook ha scritto: "Il governo ha promosso l'adozione della legge 'spazzacorrotti' e le nuove norme si stanno rivelando ben più efficaci rispetto alle norme precedenti. E siate sicuri: se fosse necessario renderemo queste norme ancora più incisive".
Fonte:
https://www.tgcom24.mediaset.it/…/tangenti-in-brianza-43-ar…
La procura di Catanzaro,
guidata da Nicola Gratteri, contesta al governatore e all'ex
vicepresidente Nicola Adamo, assieme ad altre 4 persone, la
“associazione per delinquere con lo scopo di commettere una serie
indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione". Sotto
inchiesta anche Mario Occhiuto, primo cittadino di Cosenza e candidato
in pectore alle Regionali
Altri guai giudiziari per il governatore della Calabria Mario Oliverio (Pd)e per il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto (Forza Italia), entrambi candidati in pectore alle prossime Regionali. La procura di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, ha chiuso l’inchiesta sulla gestione di alcuni appalti pubblici che hanno riguardato la città di Cosenza e in particolare gli investimenti relativi alla costruzione del nuovo ospedale, della metropolitana di superficie e del museo di Alarico. Venti i soggetti iscritti nel registro degli indagati dal pm Vito Valerio con accuse pesantissime.
Tra questi c’è anche l’ex vicepresidente della Regione Nicola Adamo (Pd) per il quale, assieme al presidente Oliverio, la procura contesta il reato di “associazione per delinquere con lo scopo di commettere – è scritto nel capo di imputazione – una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione e nello specifico dei delitti di turbata libertà degli incanti, di corruzione propria aggravata, di traffico di influenze illecite, di abuso in atti di ufficio, di frode nelle pubbliche forniture”. Associazione a delinquere di cui farebbero parte anche il dirigente della Regione Luigi Giuseppe Zinno, il direttore generale delle Ferrovie della Calabria Giuseppe Lo Feudo e gli imprenditori Pietro Ventura e Rocco Borgia.
Mentre Nicola Adamo, ex deputato, sarebbe stato il “punto di riferimento” e “l’elemento di raccordo tra esponenti politici, amministratori pubblici e imprenditori privati”, il presidente Oliverio è considerato dalla procura il “promotore” del sodalizio in quanto si sarebbe attivato per “assicurare che le gare pubbliche si sviluppino secondo i progetti dell’associazione e vengano aggiudicate agli imprenditori graditi”. Non solo: sempre su indicazione di Nicola Adamo, infatti, Oliverio si sarebbe attivato “per far ottenere ai suoi uomini di fiducia la nomina in posti strategici delle amministrazioni pubbliche regionali e locali”.
Uno dei principali affari era senza dubbio la progettazione esecutiva e la realizzazione del sistema di collegamento metropolitano tra Cosenza, Rende e l’università della Calabria. Un gara d’appalto da diversi milioni di euro che – secondo la procura – è stata inquinata mediante “collusioni, accordi, promesse e mezzi fraudolenti”. Ecco quindi che gli indagati sono accusati di turbativa d’asta per aver posto “a base di gara un progetto preliminare illegittimamente realizzato dalla Metropolitana Milanese Spa in quanto affidato senza rinnovo di procedure”. Cosa che è avvenuta anche per quanto riguarda “un progetto preliminare basato su una scelta progettuale di ‘sistema su ferro’ ingiustificata sul piano tecnico ed economico”. Un appalto, quello della metropolitana, per il quale sarebbe stata indetta “la gara per la parte esecutiva” nonostante questa era stata già ricompresa “nella precedente procedura di gara per progettazione preliminare”. Il tutto, quindi, avrebbe provocato una “duplicazione indebita dei costi a base d’asta”.
Un’operazione in cui è stato coinvolto – sempre stando alla ricostruzione degli inquirenti – anche Mario Occhiuto, candidato in pectore di Forza Italia alle prossime regionali. Il sindaco di Cosenza, infatti, è indagato per corruzione. Secondo la procura di Catanzaro, per firmare l’accordo di programma per la realizzazione di un sistema di mobilità sostenibile e il collegamento metropolitano e per adottare ogni altro atto amministrativo di sua competenza, Occhiuto avrebbe accettato “la promessa avanzata da Oliverio per il tramite del dirigente Luigi Zinno, di ottenere da parte della Regione Calabria i finanziamenti e la copertura amministrativa per la realizzazione del Museo di Alarico oggetto di gara d’appalto (illegittima) indetta dal Comune di Cosenza”.
Nell’inchiesta è indagato anche il consigliere regionale Luigi Incarcano. Quest’ultimo è accusato di traffico di influenze perché sfruttando le sue relazioni politiche con molti consiglieri comunali di Cosenza si faceva promettere “da Nicola Adamo e Mario Oliverio un vantaggio patrimoniale rappresentato dalla possibilità di ricoprire incarichi pubblici e istituzionali”. In sostanza, questo era il prezzo “per la mediazione illecita” di Incarnato che ha convinto i consiglieri di Cosenza a dimettersi “allo scopo di determinare l’automatica decadenza di Mario Occhiuto (Forza Italia, ndr) da sindaco di Cosenza”. Promessa che Adamo e Oliverio avrebbero mantenuto “designando e comunque agevolando la nomina di Incarnato a commissario liquidatore della Sorical spa (Società Risorse Idriche Calabresi)”. Della partita faceva parte anche Luca Morrone, l’ex presidente del Consiglio di Cosenza che per le sue dimissioni avrebbe accettato la promessa “effettuata da Adamo e Olverio di ricoprire alternativamente o la carica di vicesindaco in seno alla compagine politica eventualmente vincitrice nelle successive elezioni o comunque un incarico di ingegnere presso la Regione Calabria”.
VideoNapoli -Assenteisti
in ospedale: 94 indagati, 55 arresti
All’Ospedale Loreto
Mare di Napoli . Domiciliari, tra gli altri, per un neurologo, un ginecologo, 9
tecnici di radiologia e 18 infermieri.
24 febbraio 2017
L'ospedale Loreto Mare In tre mesi i furbetti
dell'ospedale Loreto Mare hanno arrecato un danno all'erario calcolato in 38
mila euro. "Ma è una cifra calcolata per difetto", avverte il
procuratore aggiunto di Napoli Alfonso D'Avino ricostruendo i dettagli
dell'indagine. In cinque anni, la proiezione del danno per la timbratura
illecita dei badge si attesta sugli 800 mila euro.
L'inchiesta del Pm Ida Frongillo ha portato agli arresti domiciliari 55 persone, 50 delle quali hanno ottenuto il permesso dal giudice di andare al lavoro. Il gip Pietro Carola ha motivato la scelta sottolineando che "in un un simile disastro sociale" solo in questo modo si possono garantire i diritti di tutti.
I cinque che non hanno avuto l'autorizzazione ad andare al lavoro sono coloro i quali avrebbero timbrato al posto di altri. Veri "professionisti del cartellino". Tra fine novembre 2014 e l'inizio del 2015 due di questi avrebbero timbrato rispettivamente 433 e 493 volte al posto dei titolari del badge.
L'inchiesta del Pm Ida Frongillo ha portato agli arresti domiciliari 55 persone, 50 delle quali hanno ottenuto il permesso dal giudice di andare al lavoro. Il gip Pietro Carola ha motivato la scelta sottolineando che "in un un simile disastro sociale" solo in questo modo si possono garantire i diritti di tutti.
I cinque che non hanno avuto l'autorizzazione ad andare al lavoro sono coloro i quali avrebbero timbrato al posto di altri. Veri "professionisti del cartellino". Tra fine novembre 2014 e l'inizio del 2015 due di questi avrebbero timbrato rispettivamente 433 e 493 volte al posto dei titolari del badge.
Le indagini, commenta Fragliasso hanno
fatto emergere una "situazione, purtroppo, estremamente diffusa e
generalizzata di assenteismo dal lavoro all'interno dell'ospedale". Non
c'erano solo i furbetti del cartellino. "Sono stati accertati altri
episodi legati all'attività di alcuni medici che in violazione del diritto di
esclusiva prestavano servizio anche per centri privati. Sono risultate
coinvolte un po' tutte le categorie professionali",
Sul ruolo della direzione sanitaria e della direzione amministrativa, il procuratore Aggiunto D 'Aviano dice: "Certo c'è da riflette su come fossero effettuati i controlli e di come non ci si accorgesse della mancanza nei reparti, ma non sono state accertate responsabilità penali, potrebbero esserci responsabilità amministrative che verranno accertate da chi di dovere".
Un'indagine durata due anni. Ore e ore di filmati e intercettazioni e oltre 500 servizi di osservazione e pedinamento , 55 persone, tra le quali un neurologo, un ginecologo, nove tecnici di radiologia, 18 infermieri professionali, sei impiegati amministrativi, nove tecnici manutentori e 11 operatori sociosanitari, sono stati raggiunti da un'ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari emessa dal gip di Napoli su richiesta della procura della Repubblica. iSecondo quanto si è appreso, sarebbe spuntato un altro filone, legato alla fabbricazione di schede "taroccate" di una pay tv.
Oltre agli arresti domiciliari notificati ai 55 dipendenti dell'ospedale, i carabinieri hanno anche eseguito un sequestro preventivo di trecentomila euro nei confronti di alcuni indagati: si tratta del denaro che i dipendenti hanno percepito come indennità per esclusività della prestazione lavorativa in ospedale risultata non spettante. Dall'attività investigativa è infatti emerso che alcuni medici prestavano servizio illegittimamente anche in più strutture sanitarie private, oltre che per il Loreto Mare.
Sul ruolo della direzione sanitaria e della direzione amministrativa, il procuratore Aggiunto D 'Aviano dice: "Certo c'è da riflette su come fossero effettuati i controlli e di come non ci si accorgesse della mancanza nei reparti, ma non sono state accertate responsabilità penali, potrebbero esserci responsabilità amministrative che verranno accertate da chi di dovere".
Un'indagine durata due anni. Ore e ore di filmati e intercettazioni e oltre 500 servizi di osservazione e pedinamento , 55 persone, tra le quali un neurologo, un ginecologo, nove tecnici di radiologia, 18 infermieri professionali, sei impiegati amministrativi, nove tecnici manutentori e 11 operatori sociosanitari, sono stati raggiunti da un'ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari emessa dal gip di Napoli su richiesta della procura della Repubblica. iSecondo quanto si è appreso, sarebbe spuntato un altro filone, legato alla fabbricazione di schede "taroccate" di una pay tv.
Oltre agli arresti domiciliari notificati ai 55 dipendenti dell'ospedale, i carabinieri hanno anche eseguito un sequestro preventivo di trecentomila euro nei confronti di alcuni indagati: si tratta del denaro che i dipendenti hanno percepito come indennità per esclusività della prestazione lavorativa in ospedale risultata non spettante. Dall'attività investigativa è infatti emerso che alcuni medici prestavano servizio illegittimamente anche in più strutture sanitarie private, oltre che per il Loreto Mare.
( note di F. Q. |
7 marzo 2017 )
Corruzione sulle forniture di
macchinari per i malati terminali di oncologia all’Istituto
tumori Pascale di Napoli. È una delle accuse con
cui all’alba di martedì sono state arrestate sei persone. In
un primo momento erano stati comunicati sette arresti, ma una delle persone è
risultata irreperibile. Secondo le indagini, il primario Francesco Izzo aveva costituito
insieme alla moglie due società attraverso le quali faceva da intermediario per
il rifornimento di apparecchiature medicali che il Pascale
acquistava per le cure antitumorali. Il primario faceva risultare gli apparati
come gli unici idonei per quel tipo di cure e creava le
condizioni affinché fossero acquistati urgentemente dalle società a lui
riconducibili. In questa modo evitava il bando di gara e procedeva con una
trattativa privata. Le società, inoltre, gonfiavano il loro fatturato aumentando
sensibilmente il prezzo di acquisto dei dispositivi.
Tutto questo, secondo gli
investigatori, avveniva con la compiacenza del dirigente amministrativo,
anch’egli arrestato: si chiama Elia Abbondante (nella
foto) ed è anche il direttore generale dell’Asl Napoli 1 Centro. Ai
domiciliari sono finiti anche alcuni imprenditori del settore
farmaceutico e un informatore scientifico. Le 7 misure di
custodia cautelare agli arresti domiciliari sono state eseguite dai militari
del nucleo di polizia tributaria della Guardia di
finanza di Napoli e del nucleo speciale di polizia valutaria,
che hanno anche provveduto ad altrettanti sequestri patrimoniale nei
confronti delle persone accusate. Complessivamente i finanzieri hanno
sequestrato beni per quasi due milioni di euro.
Alla moglie del primario, Giulia
Di Capua, 45 anni, sono riconducibili due delle società – Gi.Med e GdC
Medicali – coinvolte nell’inchiesta. Anche lei, come Izzo e
Abbondante, che era responsabile unico del procedimento del Pascale all’epoca
dei fatti, è finita agli arresti domiciliari. Raggiunti
dall’ordinanza di custodia cautelare anche Sergio Mariani, 46 anni,
amministratore delle società Gimed e Gdc Medicali, Marco Argenziano,
59 anni, informatore scientifico dell’industria farmaceutica Bayer,
e Marco Mauti, 52 anni, rappresentante legale di una delle società
fornitrici coinvolte nelle indagini delle fiamme gialle.
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Appalti
truccati e progetti inesistenti nel Consorzio
per le Autostrade Siciliane
All’alba di questa mattina è scattata l’operazione “Tekno”, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina e condotta dalla Dia di Catania. Quello del Consorzio per le Autostrade Siciliane era un sistema “a pioggia”, collaudato e creato ad arte per rubare i soldi che dovevano servire a migliorare le principali arterie della Sicilia. Un fiume di denaro per svariati milioni di euro che, invece, finivano nelle tasche di chi gestisce il Cas
Appalti truccati e progetti
inesistenti. Opere
ordinarie fatte passare per straordinarie in modo tale da far lievitare sulla
carta il costo dei lavori e, di conseguenza, la percentuale che doveva finire
al responsabile unico del procedimento sotto forma di produttività. Quello
del Consorzio per le Autostrade Siciliane era un sistema “a
pioggia”, collaudato e creato ad arte per rubare i soldi che dovevano servire a
migliorare le principali arterie della Sicilia. Un fiume di denaro per svariati
milioni di euro che, invece, finivano nelle tasche di chi gestisce il Cas.
00:0001:19
All’alba di questa mattina è
scattata l’operazione “Tekno”, coordinata dalla Direzione distrettuale
antimafia di Messina e condotta dalla Dia di Catania. Su richiesta del
procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, il gip ha emesso dodici provvedimenti
per dirigenti e dipendenti del Cas, accusati di turbativa d’asta, truffa e
falso. Per sei di loro sono scattate le manette, mentre per gli altri il
gip ha disposto l’interdizione dai pubblici uffici e il sequestro dei conti
correnti dove la Direzione investigativa antimafia ha già bloccato circa un
milione di euro.
Complessivamente sono oltre 50 gli
indagati nell’inchiesta
condotta dal capocentro della Dia di Catania Renato Panvino. L’operazione (nell’ambito
della quale il procuratore Ardita si è avvalso della collaborazione del
sostituto Stefania La Rosa) è una delle più importanti inchieste sugli appalti
pubblici in Sicilia. Gli arresti e i sequestri di oggi, infatti, sono il
risultato di una laboriosa e complessa attività investigativa iniziata nel 2014
quando sempre la Procura di Messina e la Dia di Catania hanno arrestato i
vertici della Consorzio e alcuni imprenditori accusati
di turbativa d’asta per l’assegnazione dei lavori del servizio di sorveglianza
dell’A18 e dell’20.
Con l’operazione “Tekno”, che
rappresenta la seconda parte di quell’inchiesta, gli uomini di Panvino stanno
provocando un terremoto all’interno del Consorzio per le Autostrade Siciliane
già bacchettato, solo a parole, dal ministro delle Infrastrutture Graziano
Delrio che poche settimane fa, in occasione di una sua visita
istituzionale, ha scoperto “le frane, le buche e le deviazioni” della
Messina-Catania e che i siciliani conoscono invece da anni. “Quello che ho
visto non va assolutamente bene. – ha affermato Delrio – Il Cas riceve i soldi
dei cittadini”.
Già nel 2014 la politica locale
aveva accolto con favore gli arresti della Direzione investigativa antimafia.
Il governatore Rosario Crocetta, infatti, aveva ringraziato ufficialmente
“la Dia e la magistratura per la brillante operazione” e aveva fatto un
appello: “Non sia la conclusione di una indagine – aveva dettato all’Ansa – ma
l’avvio di una ricerca dettagliata su malaffare, corruzione, sui rapporti con
la mafia e sul sistema di potere messinese e regionale. Si osservino ad esempio
alcune consulenze milionarie le parcelle pagate a professionisti e ci si chieda
anche quali intrecci abbiano tali affari con la politica. Noi siamo qui: il
governo della Regione e il nuovo Consiglio di amministrazione del Cas sono a
disposizione dei magistrati per contribuire all’accertamento della verità”.
A tre anni da quelle parole, è il
resoconto della seconda commissione dell’Assemblea regionale siciliana a
smentire su questo fronte l’impegno della politica locale. È sufficiente,
infatti, leggere i numeri forniti dall’assessore Giovanni Pistorio nella
riunione del 4 aprile scorso dedicata alla possibile fusione tra l’Anas
e il Cas che, ogni anno, incassa circa 90 milioni di euro. Denaro
che, al netto del canone da pagare all’Anas, dei contenziosi con le ditte, e
dei costi per il personale e l’energia elettrica, dovrebbe servire per la
manutenzione delle strade. Per questa, invece, restano solo 19 milioni di euro
parte dei quali utilizzati per la costruzione della Siracusa-Gela e della
Catania-Caltanissetta.
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L’ INCHIESTA
SULLA UNIVERSITA’ DI
FIRENZE - Concorsi truccati -
Anche i professori tengono famiglia. A due giorni dagli
arresti decisi dal gip di Firenze, a interrogatori iniziati – tra silenzi e non ricordo
– dalle carte dell’inchiesta, condotta del pm Paolo Barlucchi,
emerge anche l’atteso filone del nepotismo. Poteva accadere – e in
effetti è accaduto – che un docente, nominato commissario, dovesse dimettersi
per incompatibilità ed è in questo quadro che salta fuori il primo caso: quello
di Andrea Colli Vignarelli, ordinario a Messina interdetto dal
giudice, marito di Maria Concetta Parlato, figlia del professore Andrea
Parlato, ordinario nella cittadina sullo stretto. “Ha avuto buon gioco a
far ritirare la moglie Maria Concetta Parlato negoziando i
propri voti in cambio dell’assicurazione dell’abilitazione del coniuge
nella tornata successiva, quando lui – ragiona il gip – si sarebbe
appunto dimesso per incompatibilità”. Anche per “Mariù” scende in campo
anche l’ottantenne padre.
Il “negoziato per far
passare Mariù”
È l’aprile del 2015 e le dimissioni incrociate di alcuni commissari creano un effetto domino che il professor Pasquale Russo – il docente che diceva al ricercatore da escludere “se fai ricorso ti giochi la carriera” – commenta così con il collega di Bologna Adriano Di Pietro: “Perché loro pensavano che la commissione prima, sarebbe stata anche la commissione seconda, dopo aver sostituito, ehm, Guglielmo Fransoni per incompatibilità. Si sono fatti male i conti perché la commissione è cambiata totalmente”. Ed è proprio Fransoni, docente a Foggia, a chiarire quali erano gli accordi: il ritiro sia di Francesco Padovani (il candidato sponsorizzato ai danni di Philip Jezzi Laroma, che poi ha denunciato tutti) sia della Parlato, moglie del suo interlocutore. “Perché noi avevamo fatto come dire? Un ticket: Mariù-Francesco. Non può essere separato: io e te abbiamo fatto un gioco di squadra e abbiamo, avevamo raggiunto un’intesa”. Già, il ticket. È in questo che il commissario Fransoni, all’esito dei lavori della commissione, avrebbe ottenuto un posto per Francesco Padovani, poi diventato ricercatore a tempo determinato a Pisa, alla tornata successiva. Per Maria Concetta Parlato il padre va a Bologna da Di Pietro: è il marzo 2015 e accompagnato dalla figlia inizia la trattativa. E in una telefonata intercettata che poi il professore bolognese parla di un candidato definendolo “mediocre”, precisando che però rientrerà nel “negoziato per far passare Mariù“.
È l’aprile del 2015 e le dimissioni incrociate di alcuni commissari creano un effetto domino che il professor Pasquale Russo – il docente che diceva al ricercatore da escludere “se fai ricorso ti giochi la carriera” – commenta così con il collega di Bologna Adriano Di Pietro: “Perché loro pensavano che la commissione prima, sarebbe stata anche la commissione seconda, dopo aver sostituito, ehm, Guglielmo Fransoni per incompatibilità. Si sono fatti male i conti perché la commissione è cambiata totalmente”. Ed è proprio Fransoni, docente a Foggia, a chiarire quali erano gli accordi: il ritiro sia di Francesco Padovani (il candidato sponsorizzato ai danni di Philip Jezzi Laroma, che poi ha denunciato tutti) sia della Parlato, moglie del suo interlocutore. “Perché noi avevamo fatto come dire? Un ticket: Mariù-Francesco. Non può essere separato: io e te abbiamo fatto un gioco di squadra e abbiamo, avevamo raggiunto un’intesa”. Già, il ticket. È in questo che il commissario Fransoni, all’esito dei lavori della commissione, avrebbe ottenuto un posto per Francesco Padovani, poi diventato ricercatore a tempo determinato a Pisa, alla tornata successiva. Per Maria Concetta Parlato il padre va a Bologna da Di Pietro: è il marzo 2015 e accompagnato dalla figlia inizia la trattativa. E in una telefonata intercettata che poi il professore bolognese parla di un candidato definendolo “mediocre”, precisando che però rientrerà nel “negoziato per far passare Mariù“.
Di Mariù parla anche il
professore Fabrizio Amatucci (Università di Napoli) con il
commissario spagnolo Carlos Maria Lopez Espadafor: “Ci sarebbe poi
la Parlato. La Parlato tu sai che è figlia di Parlato, il professore di
Palermo che è stato il mae … , un po’ per certi versi, il maestro no, ma
si è laureato Zizzo (Giuseppe, Università Carlo Cattaneo Milano ndr) cioè Zizzo
è un po’ legato a Parlato, ma moltissimo è legato Parlato a Di Pietro. Di
Pietro e Parlato sono sempre stati molto uniti. Quindi lui può essere che
poi ad un certo punto, non lo farà all’inizio, farà il nome
della Parlato che è debole, vatti a vedere il curriculum.
Quindi noi abbiamo un’altra arma se lui ci chiede la Parlato allora
io gli comincio a chiedere di tutto perché vuol dire che il livello,
hai capito? Scende. Il livello è basso“. Parlato padre si
commuove, ad abilitazione ottenuta, e Di Pietro riferisce di avergli risposto
tranchant: “Abbiamo dovuto accettare anche Cimino conoscendo … però
Andrea, questo è stato il prezzo da pagare perché andasse all’unanimità
Mariù“.
“L’accordo malsano”
per la “sistemazione” della compagna
Un altro caso riguarda il professore Pietro Boria, ordinario a La Sapienza e autore del libro I Fondamenti del Diritto Tributario, che il 10 aprile 2015, parlando con il collega Eugenio Della Valle gli comunica, ben prima della pubblicazione dei risultati, chi sarebbe stato abilitato. Non per merito naturalmente, ma per tutelare un’intesa finalizzata “all’armonia”, “serenità”, e “amicizia” tra di loro. Decisioni che però indispettiscono la compagna e collega Rossella Miceli (La Sapienza, non indagata). Boria le racconta che “passano sia Fortunato che Giorgi”, quest’ultimo suo diretto concorrente nell’ateneo di riferimento, ma allo stesso tempo le comunica di aver ricevuto “un impegno morale” da Della Valle a non far presentare Giorgi per il posto a cui aspira lei: “Eugenio mi ha detto che non fa la domanda e ha preso un impegno formale in questo senso”.
Un altro caso riguarda il professore Pietro Boria, ordinario a La Sapienza e autore del libro I Fondamenti del Diritto Tributario, che il 10 aprile 2015, parlando con il collega Eugenio Della Valle gli comunica, ben prima della pubblicazione dei risultati, chi sarebbe stato abilitato. Non per merito naturalmente, ma per tutelare un’intesa finalizzata “all’armonia”, “serenità”, e “amicizia” tra di loro. Decisioni che però indispettiscono la compagna e collega Rossella Miceli (La Sapienza, non indagata). Boria le racconta che “passano sia Fortunato che Giorgi”, quest’ultimo suo diretto concorrente nell’ateneo di riferimento, ma allo stesso tempo le comunica di aver ricevuto “un impegno morale” da Della Valle a non far presentare Giorgi per il posto a cui aspira lei: “Eugenio mi ha detto che non fa la domanda e ha preso un impegno formale in questo senso”.
La conferma dell’intesa raggiunta è
contenuta in una telefonata telefonata tra Alessandro Giovannini,
ordinario a Siena e finito ai domiciliari, e Adriano Di Pietro,
docente a Bologna che davanti al gip si è avvalso della facoltà di non
rispondere. Il primo, parlando al telefono con il collega, il 16
aprile 2015, definisce tale convenzione come un “accordo malsano“,
“legato alla sistemazione della moglie di Boria” e il suo
interlocutore, condividendo tale giudizio, dice: “Ma certo, ma certo. vuoi
che non lo non sappia”. Altra conferma, secondo il ragionamento degli
inquirenti, arriva con la telefona di due giorni prima tra il candidato Marino
e il professar Claudio Sacchettodell’Università di Torino (per lui
il gip ha rigettato la richiesta di misura cautelare). Il primo, il 14 aprile
2015, racconta al secondo: “Eugenio Della Valle pare abbia fatto un
accordo con Boria sulla seconda fascia: tant’è vero che, infatti,
ha ottenuto Massimiliano Giorgi con la condizione che sia chiamata prima la
Miceli su Roma”.
La non abilitazione di
una candidata che si era opposta alla figlia di un professore
Tra i candidati bocciati o rimandati, stando alle indagini, c’è ne è anche una, Caterina Oliva Corrado, collaboratrice dello StudioVietar Uckmar di Genova, che aveva indispettito il professor Giovanni Eugenio Marongiu. Il docente spiega al suo interlocutore che la candidata non partecipa con impegno alle attività universitarie da lui organizzate e avrebbe commesso la “scorrettezza” di ricorrere contro gli esiti di un concorso per ricercatrice bandito dall’ateneo genovese, vinto dalla figlia Paola. A Di Pietro Marongiu dice: “… è un giudizio di merito, secondo me. Come non si meritava di diventare ricercatore, non si merita ancora di diventare”. Lo stesso giorno, trasferendosi da Bologna a Milano, Marongiu, in pellegrinaggio per far fuori Oliva Corrado, va a trovare Zizzo cui ripete le stesse argomentazioni. “Come si vedrà – chiosa il gip – la richiesta del professar Marongiu verrà accolta, in occasione della prima riunione in seduta comune dei membri della Commissione, che avverrà il 19 marzo 2015 a Bologna”.
Tra i candidati bocciati o rimandati, stando alle indagini, c’è ne è anche una, Caterina Oliva Corrado, collaboratrice dello StudioVietar Uckmar di Genova, che aveva indispettito il professor Giovanni Eugenio Marongiu. Il docente spiega al suo interlocutore che la candidata non partecipa con impegno alle attività universitarie da lui organizzate e avrebbe commesso la “scorrettezza” di ricorrere contro gli esiti di un concorso per ricercatrice bandito dall’ateneo genovese, vinto dalla figlia Paola. A Di Pietro Marongiu dice: “… è un giudizio di merito, secondo me. Come non si meritava di diventare ricercatore, non si merita ancora di diventare”. Lo stesso giorno, trasferendosi da Bologna a Milano, Marongiu, in pellegrinaggio per far fuori Oliva Corrado, va a trovare Zizzo cui ripete le stesse argomentazioni. “Come si vedrà – chiosa il gip – la richiesta del professar Marongiu verrà accolta, in occasione della prima riunione in seduta comune dei membri della Commissione, che avverrà il 19 marzo 2015 a Bologna”.
La inchiesta giudiziaria ( 23 nov. 2017 ) sulla
Famiglia dei Genovese ( Messina ) :
È un sequestro multimilionario – si parla addirittura di beni
pari a cento milioni di euro – quello che ha
colpito Francantonio Genovese,
primo segretario del Pd in Sicilia, ora deputato di Forza Italia. Era già stato condannato in primo grado per associazione per delinquere,
truffa, riciclaggio,
frode fiscale, peculato perché
con enti controllati da lui e dai suoi familiari ha truffato la Regione
siciliana. Per questo motivo è accusato di aver sottratto al fisco 20
milioni di euro.
“ L'
AFFAIRE BANKITALIA
“
Per riuscire a capire
qualcosa sull' " affaire " di Bankitalia , è indispensabile entrare
nei meandri della finanza internazionale e analizzare singolarmente e poi
congiuntamente i diversi fattori che legano gli interessi economici e
finanziari del mondo .
Innanzi tutto , voler considerare gli effetti
della ultima crisi, epocale , che ha investito l'economia di molti Paesi
occidentali , europei e altri , maggiormente l'Italia ,insieme alla Grecia .
Il " sistema
" globalizzato del mondo finanziario internazionale ed europeo ha generato
interconnessioni e condizionamenti reciproci fra i vari istituti bancari di
tutti i Paesi dell'Unione e con altri Paesi internazionali .
In ambito europeo si è verificato che ogni
particolare situazione economica-finanziaria critica , verificatasi nell'ambito
di un Paese , ha inevitabilmente prodotto effetti negativi e di instabilità anche sul sistema bancario di altri Paesi europei .
Ciò è avvenuto soprattutto a causa del
fenomeno dei crediti cosiddetti " deteriorati " , difficilmente o non
più esigibili , e dei cosiddetti " derivati " , causati non solo da
oggettive difficoltà economiche dei mercati e da situazioni economiche
difficili di molte imprese e famiglie , ma anche e purtroppo , come è avvenuto
specialmente in Italia e in Grecia , a causa di cattive gestioni delle risorse
finanziarie , poste in essere da diverse banche . Risorse di denaro che sono
state usate per speculazioni clientelari, per favoritismi e investimenti
improduttivi e fallimentari ,e che hanno creato ripercussioni in tutta la rete
dei contatti interbancari europei .
In un tale contesto di
disfunzioni del sistema , sono stati diversi gli interventi della Banca
Centrale Europea ( Governatore Mario Draghi
) che hanno cercato di ristabilire di volta in volta i necessari equilibri
all'interno del sistema stesso , tentando , nel contempo , di contenere gli
effetti negativi che tali fenomeni avrebbero potuto avere sulla stabilità monetaria dell'Euro nei confronti dei mercati finanziari
internazionali .
Un processo difficile da gestire , in cui la
stessa Bankitalia si è trovata ,
riguardo alle funzioni istituzionali di controllo sulla gestione degli istituti
bancari italiani . Funzione che la Bankitalia ( Governatore Visco ) non ha
compiutamente svolto attraverso opportuni e tempestivi interventi regolatori
diretti nei confronti di taluni istituti
bancari ( es.. MPS , Banca Etruria , Banca AntonVeneta , etc) prima che questi
si rivelassero fallimentari ,e che hanno danneggiato migliaia di cittadini
risparmiatori .
La domanda è : Di tali situazioni bancarie
italiane , già conosciute come critiche da tempo , è stato messo al corrente il governatore Draghi della
Banca Centrale Europea , in modo formale da parte del governatore Visco di
Bankitalia ? ...
Certamente Draghi ha
sempre e tempestivamente avuto contezza di tutto ciò che avveniva ed è avvenuto
all'interno del sistema bancario europeo e quindi anche in quello italiano
.Pertanto , si deve dedurre che probabilmente , per quanto attiene all’Italia
, è stato più importante non fare " esplodere
" scandali ,che avrebbero avuto effetti dannosi per l'euro nel mercato internazionale , piuttosto
che innescare processi inquisitori , che avrebbero dovuto far emergere e
rendere pubbliche , anche a livello internazionale , gravi responsabilità ,
anche di natura penale , nei confronti di soggetti , dirigenti bancari , che ,
a quel punto avrebbero dovuto confessare
legami di interessi e complicità , non solo con il mondo degli affari , ma
anche con quello politico-partitico del nostro Paese.
La qualcosa avrebbe avuto come conseguenza la
crisi e la caduta del governo in carica , sostenuto , appunto , da una
maggioranza costituita da un sistema politico di partiti
che , insieme ad altri partiti della opposizione , hanno
avuto dirette e indirette
implicazioni con affari connessi alle attività finanziarie delle banche.
E’
chiaro , allora , per qual
motivo il Capo dello Stato
italiano ( Mattarella ) voglia ritenere
più opportuno mantenere la calma , per
evitare un danno
maggiore al Paese . Cioè
quello che si
crei una situazione di discredito
da parte dei Paesi esteri nei
confronti di importantissimi Organi
istituzionali dello Stato italiano , quale quello del Governatore Visco e
di Bankitalia , ed anche nei confronti dello stesso Governatore della Banca Centrale
Europea , dottor Draghi , senza contare
i danni gravi che deriverebbero alla stessa economia del Paese.
La maggiore responsabilità di
tutto questo , però , è da porre a
carico del sistema
politico-partitico italiano ,spesso
costituito di soggetti corrotti ,
i quali , per molti
anni , e per interessi speculativi e faziosi , sono riusciti a coinvolgere il sistema bancario , nelle
persone dei rispettivi dirigenti , utilizzando le attività
istituzionali degli istituti di credito , che dovevano essere volte a tutelare solo i risparmi dei cittadini , per scopi inerenti
gli interessi dei
partiti stessi ed affari , anche
personali e privati , intrecciati con
attività di imprese
rivelatesi poi fallimentari.
BANCHE
E RISPARMI IN
FUMO
BANCHE , SPECULAZIONI
, POLITICA , TRUFFE , RISPARMIATORI ,
INVESTITORI , BANKITALIA , CONSOB
Tutte queste le figure , che appaiono sullo
scenario di una farsa scandalosa all’italiana , il cui copione si è vergognosamente ripetuto
per decenni in danno
di cittadini , sprovveduti ,
turlupinati da individui senza
scrupoli , imbroglioni , speculatori , ladri , organizzati secondo un sistema di gestione finanziaria dei risparmi privati
di natura gravemente immorale , addirittura criminale, giocando sulla buonafede di
centinaia di migliaia di cittadini
ignari e quindi raggirati .
Adesso
, assistiamo ad una infinita
sequela di comparse , ambigue , opache , a diatribe farcite di ipocrisia e anche di falsità, , fra
chi accusa le autorità di vigilanza sulle banche (
Bankitalia e Consob ) , chi accusa gli
enti preposti alla dirigenza delle banche , ai vertici delle stesse ( c.d.a. )
, chi accusa gli agenti e promotori finanziari , chi accusa la politica , chi
accusa i risparmiatori e piccoli investitori , per non essere stati abbastanza avveduti nel momento
di sottoscrivere contratti ,
contenenti condizioni ad
alto rischio .
Un
vergognoso rimpallo di accuse , che si aggrovigliano in una matassa di bugie e
di affari palesemente sporchi , e che una
predisposta Commissione di indagine
dovrà , prima o poi , sciogliere , sempre se vi riuscirà.
Tutto
ciò dà l’idea , appunto , di una
tragicommedia all’italiana , la cui trama può bene essere paragonata ad un fatto
di cronaca oppure ad
una scena da
film , in cui :
Una banda di
individui mettono a segno una rapina ,
sottraendo una grossa somma di denaro dalle cassette di sicurezza in una banca . Al momento del processo , il
giudice accerta che , però , gli agenti di vigilanza sulla banca ,
distrattamente , stavano guardando
la tv , nel momento in cui la rapina ha avuto luogo. In più , il giudice constata un fatto
particolare , cioè che nella
banca stessa , la direzione responsabile e i
funzionari bancari avevano
disposto che il denaro
depositato fosse custodito in cassette
di sicurezza , però in una condizione tale da
essere facilmente a
rischio da parte di azioni di
malintenzionati , pur assicurando i depositanti
di potersi fidare della custodia
da parte della banca medesima .
A questo
punto , cosa dovrebbe fare il giudice ?,
Dovrebbe condannare i
rapinatori e eventualmente anche quei vigilanti che risultassero complici dei rapinatori ? Certamente
, si . Secondo il buon senso . Ma
non è affatto sicuro che la sentenza in Italia verrà decisa
così !
Infatti
, gli
avvocati difensori dei rapinatori
sostengono , paradossalmente ,
che dovrebbero essere
condannati solo gli agenti addetti
alla vigilanza e essere assolti
i rapinatori . E
persino , essere assolti tutti , rapinatori e vigilanti ,
addossando la colpa
solo alla ingenuità
e sprovvedutezza dei
depositanti , che si sono fidati troppo facilmente dei bancari .
Mose, il tesoro delle tangenti
di Galan alla base di un sequestro da 12 milioni. 6 indagati e lista di
imprenditori off-shore
Denaro
depositato presso banche venete, due imprese e quote di società e 14 immobili
in Veneto e Sardegna. L'indagine riguarda il riciclaggio internazionale e
l'esercizio abusivo dell’attività finanziaria: tra gli indagati anche il
commercialista dell'ex presidente della Regione Veneto Paolo Venuti e sua
moglie. Dall'inchiesta emerge anche un elenco di numerosi imprenditori veneti
che sarebbero ricorsi all’interposizione di società nei paradisi fiscali
di Giuseppe Pietrobelli | 11 Aprile 2019
Più
informazioni su: Giancarlo Galan, Mose
Il sospetto
era venuto nel 2015 quando i finanzieri effettuarono una registrazione
ambientale che aveva come protagonisti il commercialista di Giancarlo Galan
e la moglie. Parlavano di soldi e di investimenti riconducibili
all’uomo politico. Da allora gli investigatori veneziani stavano cercando il
tesoro dell’ex ministro, ex parlamentare di Forza Italia ed ex governatore del
Veneto. Per questo avevano avviato rogatorie internazionali, alla caccia
dei soldi delle tangenti che ruotavano attorno al sistema politico
veneziano del Mose e della Regione Veneto. Seguendo le tracce che partivano da
una società di Galan hanno ora scoperto un sistema di evasione fiscale e
di investimenti all’estero che ha portato a un sequestro di beni per
12,3 milioni di euro, eseguito dalla Polizia economico finanziaria di
Venezia comandata dal colonnello Gianluca Campana. A ordinarlo è stato il gip
veneziano David Calabria, su richiesta del pm Stefano Ancilotto. L’indagine
riguarda, a diverso titolo, il riciclaggio internazionale e l’esercizio abusivo
dell’attività finanziaria, relativo solo in parte al reinvestimento
all’estero delle mazzette incassate da Galan, che assommerebbero a un
milione e mezzo di euro, il vero “tesoro” dell’ex governatore che finì in
carcere per corruzione, prima di patteggiare la pena.
Partendo dal
sistema delle tangenti, gli investigatori hanno scoperto un elenco di alcune
decine di imprenditori veneti che usufruivano di canali di investimento
opachi e che non risultano indagati solo perché la movimentazione del denaro è
stata prescritta o ha goduto dei benefici dello scudo fiscale. Tutto avveniva,
secondo l’accusa, attraverso tre commercialisti padovani (e in parte
anche la moglie di uno di loro) e due fiduciari italo-elvetici. I
commercialisti sono Paolo Venuti, 62 anni, Guido e Christian Penso,
di 78 e 51 anni. La donna è Alessandra Farina, 61 anni, moglie di
Venuti. I fiduciari sono Filippo Manfredi San Martino di San Germano d’Agliè,
65 anni, originario di Torino, ma residente a Losanna, e Bruno De Boccard,
svizzero di Friburgo.
Il sequestro
riguarda l’importo che secondo la Finanza i commercialisti e i fiduciari hanno
lucrato da un giro imponente di investimenti, in parte denaro riciclato, in
parte movimentato senza che i due svizzeri avessero i requisiti per l’esercizio
dell’attività finanziaria in Italia. Gli investimenti di natura immobiliare
riguardano appartamenti di lusso a Dubai e fabbricati industriali in
Veneto. I sequestri hanno colpito denaro depositato presso banche venete,
due imprese e quote di società, nonché 14 immobili in Veneto e in provincia di
Sassari, in Sardegna.
Tangenti in Brianza: 28 arresti, anche politici | Dda: "Finanziamento illecito a esponenti di FI e a Fratelli dʼItalia"
Sono 95 gli indagati accusati tra lʼaltro di associazione per delinquere aggravata dallʼaver favorito unʼassociazione di tipo mafioso. Il Gip: coordinatore provinciale della Lega sapeva di una nomina pilotata
Sono 95 gli indagati accusati tra lʼaltro di associazione per delinquere aggravata dallʼaver favorito unʼassociazione di tipo mafioso. Il Gip: coordinatore provinciale della Lega sapeva di una nomina pilotata
I carabinieri di Monza e la Gdf di Varese hanno eseguito in Lombardia e Piemonte 43 ordinanze di custodia cautelare, di cui 12 in carcere e 16 ai domiciliari, nell'ambito di un'inchiesta coordinata dalla Dda milanese su due gruppi criminali, operativi tra Milano e Varese, costituiti da esponenti politici, amministratori pubblici e imprenditori. Secondo i magistrati avrebbero pilotato la spartizione e l'aggiudicazione di gare per appalti pubblici.
"Finanziamenti illeciti a esponenti di Forza Italia e al partito FdI" - L'imprenditore arrestato Daniele D'Alfonso è la figura chiave dell'inchiesta: sarebbe stato lui "in maniera tentacolare" a corrompere vari esponenti politici al fine di ricevere appalti. Secondo l'indagine della Dda milanese, "in occasione della campagna 2018 per le consultazioni politiche e regionali", avrebbe corrisposto "sistematici finanziamenti illeciti a vari soggetti", tra cui Fabio Altitonante, consigliere lombardo di FI arrestato, Diego Sozzani, parlamentare di FI (chiesto l'arresto) e Angelo Palumbo, anche lui di FI, "nonché al partito 'Fratelli d'Italia'".
Gli indagati e le accuse - Le persone indagate sono in totale 95, accusate a vario titolo di associazione per delinquere aggravata dall'aver favorito un'associazione di tipo mafioso, finalizzata a corruzione, finanziamento illecito ai partiti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, false fatturazioni per operazioni inesistenti, auto riciclaggio e abuso d'ufficio.
Le ordinanze restrittive - Delle 43 persone destinatarie delle ordinanze restrittive 12 sono finite in carcere, 16 ai domiciliari, 3 con obbligo di dimora e 12 con obbligo di firma. Di queste solo 9 sono accusate di associazione a delinquere. Sono duecentocinquanta i militari, tra carabinieri e finanzieri impegnati dalle prime luce dell'alba nell'esecuzione misure cautelari nelle province di Milano, Varese, Monza e Brianza, Pavia, Novara, Alessandria, Torino e Asti.
I filoni dell'inchiesta - Sono diversi i filoni dell'inchiesta. Uno di questi riguarda gli appalti targati Amsa, l'azienda dei rifiuti milanese e parecchie partecipate pubbliche. Un altro, il filone varesino e che ha come personaggio principale l'ex coordinatore provinciale di Forza Italia Gioacchino Caianiello (anche lui tra i destinatari del provvedimento) riguarda il Piano di governo del territorio e le sue varianti. Ma per inquirenti e investigatori il personaggio principale dell'inchiesta rimane l'imprenditore Daniele D'Alfonso con la sua Ecol-Service, uno dei quali risponde dell'aggravante di aver favorito la 'Ndrangheta, in quanto con gli appalti ottenuti in cambio di tangenti avrebbe dato lavoro agli uomini della famiglia calabrese dei Molluso di Buccinasco.
Ed è lui che, secondo la ricostruzione di inquirenti e investigatori, attraverso fittizie consulenze e altre utilità, avrebbe "ricompensato" Tatarella con cui, come emerge dalle intercettazioni, si sarebbe incontrato da Berti, il ristorante milanese non molto lontano dagli uffici della Regione e già venuto a galla in molte indagini milanesi, e che ora nel linguaggio degli indagati è diventato "la mensa dei poveri", definizione che ha dato il nome all'indagine della Dda.
D'Alfonso: "Ho pagato 100mila euro e sto lavorando" - "Mi ha fatto dieci cose per centomila, ok e sto guadagnando". Lo ha affermato, in un'intercettazione, l'imprenditore del settore rifiuti e bonifiche ambientali D'Alfonso mentre parlava di una presunta tangente da 100mila euro in favore di Mauro De Cillis, responsabile operativo di Amsa, l'azienda milanese di servizi ambientali, finito in carcere. Nell'inchiesta sono stati arrestati anche i vertici di altre società partecipate, come Prealpi servizi e Alfa srl.
Gip: "Coordinatore della Lega seppe di una nomina pilotata" - Gioacchino Caianiello riguardo alla nomina "pilotata" di Davide Borsani come dirigente della società a totale partecipazione pubblica Alfa di Varese "confessa (...) che la stessa è frutto di un accordo politico preventivo, di cui asserisce di aver reso edotto anche il coordinatore provinciale della Lega Matteo Bianchi". Lo scrive il gip Raffaella Mascarino nella sua ordinanza di custodia cautelare secondo quanto affermato da Caianello in un'intercettazione.
Pm: "Tatarella a libro paga dell'imprenditore D'Alfonso" - Anche il consigliere comunale milanese e vice coordinatore lombardo di Forza Italia Pietro Tatarella, che risulta arrestato, sarebbe stato a "libro paga" di D'Alfonso, da cui avrebbe ottenuto 5mila euro al mese e in cambio l'avrebbe favorito negli appalti dell'Amsa, in particolare, e l'avrebbe introdotto in altri appalti a Varese e a Novara, dove sarebbe stato attivo il parlamentare di FI Diego Sozzari.
Secondo gli investigatori, Tatarella avrebbe voluto mettere le mani sull'aerea dove sorgeva l'Expo. "Dove c'era l'Expo stiamo cercando di capire se riusciamo ad entrarci un po' pure noi". Così parlava il consigliere, intercettato nell'ambito dell'inchiesta della Dda. Per il gip, poi, c'è "un'ombra quanto mai allarmante sulle modalità con le quali" Fabio Altitonante, consigliere lombardo arrestato, "potrà gestire la delicatissima delega alla 'Rigenerazione e sviluppo dell'Area ex Expo'".
In un'intercettazione del 31 ottobre 2018 Tatarella, conversando con un imprenditore, "spende il nome della Ecol-Service qualificandosi come socio dell'impresa (in realtà egli figura unicamente come consulente con partita iva) e proponendogli una collaborazione". Ciò che rileva, riassume il giudice, è che il consigliere comunale "per mettere in evidenza le potenzialità della 'propria' impresa, sottolinea il suo ruolo di 'collettore' con il mondo istituzionale", dicendo: "Io su tutti i contatti diciamo legati all'istituzionale sono molto forte". E riferisce "di aver iniziato a lavorare per la multinazionale spagnola (Acciona Spa) presso la quale ha conosciuto il fornitore con il quale adesso lavora", ossia Daniele D'Alfonso, l'imprenditore arrestato.
Tatarella, prosegue il gip, "si avvale della sua funzione pubblica e delle relazioni esistenti con altri Pubblici Ufficiali per incamerare lavori con altre imprese, offrendosi, in caso di alleanze commerciali con questi ultimi, di svolgere anche nel loro interesse, operazioni di illecita intermediazione verso altri Pubblici Ufficiali, nel caso di specie, con l'amministratore delegato di AREXPO, sfruttando le relazioni effettivamente esistenti e accertate dalle intercettazioni". Un "affare", conclude il gip, quello dell'area ex Expo, che "coinvolge interessi economici di portata milionaria".
Istigazione alla corruzione nei confronti di Fontana - Nell'inchiesta della Dda di Milano c'è anche un episodio di "istigazione alla corruzione", contestato all'ex coordinatore provinciale di Forza Italia a Varese, Gioacchino Caianiello, nei confronti del presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, che è parte offesa e non risulta indagato. Da quanto emerso, il governatore non avrebbe denunciato l'episodio. Caianiello e il dg dell'ente Afol Metropolitana, Giuseppe Zingale, nell'aprile 2018 avrebbero proposto a Fontana, "consulenze onerose in favore dell'avv. Luca Marsico, socio dello studio professionale Fontana-Marsico" in cambio della nomina, non avvenuta, di Zingale alla "direzione generale Istruzione Lavoro e Formazione della Regione". Breve il commento del governatore: "Non dico nulla, ho letto che io sono parte offesa. Quindi per rispetto della magistratura le cose che dovrò dire le dirò a loro".
Richiesta di arresto alla Camera per un deputato di Forza Italia - C'è anche una richiesta di autorizzazione inviata alla Camera dei Deputati per l'arresto per finanziamento illecito del parlamentare di Forza Italia Diego Sozzari nell'inchiesta della Dda milanese che ha portato a 43 misure cautelari per un giro di tangenti negli appalti e con al centro anche l'accusa di associazione per delinquere aggravata dall'aver favorito una cosca mafiosa.
Gli arrestati - Tra gli arrestati c'è anche il consigliere regionale azzurro Fabio Altitonante, sottosegretario all'area Expo della Regione Lombardia, accusato di corruzione.
"Mazzetta di 20mila euro per ottenere il rilascio a costruire" - Secondo quanto emerso nell'inchiesta c'è anche una presunta mazzetta da 20mila euro per "far ottenere il rilascio del permesso a costruire" su un immobile a Milano "sottoposto a vincoli paesaggistici" tra le tante imputazioni della maxi indagine della Dda milanese che ha portato a 43 misure cautelari, tra cui l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per abuso d'ufficio per Franco Zinna, Dirigente della Direzione Urbanistica del Comune di Milano, e per Maria Rosaria Coccia, dipendente comunale. Stando all'ordinanza cautelare, il consigliere regionale Fabio Altitonante, avrebbe ricevuto dall'imprenditore D'Alfonso "quale tramite" di Luigi Patimo (la casa è di proprieta' di sua moglie) 20mila euro "al fine di far ottenere il rilascio del permesso a costruire". Altitonante si sarebbe, poi, attivato con Zinna.
Salvini: "Brillante operazione" - "Ringrazio sempre le forze dell'ordine quando arrestano corrotti e corruttori". Così il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, definendo il blitz una "brillante operazione".
Conte: "La legge 'Spazzacorrotti' è efficace" - Soddisfatto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che su Facebook ha scritto: "Il governo ha promosso l'adozione della legge 'spazzacorrotti' e le nuove norme si stanno rivelando ben più efficaci rispetto alle norme precedenti. E siate sicuri: se fosse necessario renderemo queste norme ancora più incisive".
Fonte:
https://www.tgcom24.mediaset.it/…/tangenti-in-brianza-43-ar…
Appalti pubblici in Calabria, 20 indagati: ci sono il governatore Oliverio (Pd), il sindaco di Cosenza ed ex deputato dem
Tra questi c’è anche l’ex vicepresidente della Regione Nicola Adamo (Pd) per il quale, assieme al presidente Oliverio, la procura contesta il reato di “associazione per delinquere con lo scopo di commettere – è scritto nel capo di imputazione – una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione e nello specifico dei delitti di turbata libertà degli incanti, di corruzione propria aggravata, di traffico di influenze illecite, di abuso in atti di ufficio, di frode nelle pubbliche forniture”. Associazione a delinquere di cui farebbero parte anche il dirigente della Regione Luigi Giuseppe Zinno, il direttore generale delle Ferrovie della Calabria Giuseppe Lo Feudo e gli imprenditori Pietro Ventura e Rocco Borgia.
Mentre Nicola Adamo, ex deputato, sarebbe stato il “punto di riferimento” e “l’elemento di raccordo tra esponenti politici, amministratori pubblici e imprenditori privati”, il presidente Oliverio è considerato dalla procura il “promotore” del sodalizio in quanto si sarebbe attivato per “assicurare che le gare pubbliche si sviluppino secondo i progetti dell’associazione e vengano aggiudicate agli imprenditori graditi”. Non solo: sempre su indicazione di Nicola Adamo, infatti, Oliverio si sarebbe attivato “per far ottenere ai suoi uomini di fiducia la nomina in posti strategici delle amministrazioni pubbliche regionali e locali”.
Uno dei principali affari era senza dubbio la progettazione esecutiva e la realizzazione del sistema di collegamento metropolitano tra Cosenza, Rende e l’università della Calabria. Un gara d’appalto da diversi milioni di euro che – secondo la procura – è stata inquinata mediante “collusioni, accordi, promesse e mezzi fraudolenti”. Ecco quindi che gli indagati sono accusati di turbativa d’asta per aver posto “a base di gara un progetto preliminare illegittimamente realizzato dalla Metropolitana Milanese Spa in quanto affidato senza rinnovo di procedure”. Cosa che è avvenuta anche per quanto riguarda “un progetto preliminare basato su una scelta progettuale di ‘sistema su ferro’ ingiustificata sul piano tecnico ed economico”. Un appalto, quello della metropolitana, per il quale sarebbe stata indetta “la gara per la parte esecutiva” nonostante questa era stata già ricompresa “nella precedente procedura di gara per progettazione preliminare”. Il tutto, quindi, avrebbe provocato una “duplicazione indebita dei costi a base d’asta”.
Un’operazione in cui è stato coinvolto – sempre stando alla ricostruzione degli inquirenti – anche Mario Occhiuto, candidato in pectore di Forza Italia alle prossime regionali. Il sindaco di Cosenza, infatti, è indagato per corruzione. Secondo la procura di Catanzaro, per firmare l’accordo di programma per la realizzazione di un sistema di mobilità sostenibile e il collegamento metropolitano e per adottare ogni altro atto amministrativo di sua competenza, Occhiuto avrebbe accettato “la promessa avanzata da Oliverio per il tramite del dirigente Luigi Zinno, di ottenere da parte della Regione Calabria i finanziamenti e la copertura amministrativa per la realizzazione del Museo di Alarico oggetto di gara d’appalto (illegittima) indetta dal Comune di Cosenza”.
Nell’inchiesta è indagato anche il consigliere regionale Luigi Incarcano. Quest’ultimo è accusato di traffico di influenze perché sfruttando le sue relazioni politiche con molti consiglieri comunali di Cosenza si faceva promettere “da Nicola Adamo e Mario Oliverio un vantaggio patrimoniale rappresentato dalla possibilità di ricoprire incarichi pubblici e istituzionali”. In sostanza, questo era il prezzo “per la mediazione illecita” di Incarnato che ha convinto i consiglieri di Cosenza a dimettersi “allo scopo di determinare l’automatica decadenza di Mario Occhiuto (Forza Italia, ndr) da sindaco di Cosenza”. Promessa che Adamo e Oliverio avrebbero mantenuto “designando e comunque agevolando la nomina di Incarnato a commissario liquidatore della Sorical spa (Società Risorse Idriche Calabresi)”. Della partita faceva parte anche Luca Morrone, l’ex presidente del Consiglio di Cosenza che per le sue dimissioni avrebbe accettato la promessa “effettuata da Adamo e Olverio di ricoprire alternativamente o la carica di vicesindaco in seno alla compagine politica eventualmente vincitrice nelle successive elezioni o comunque un incarico di ingegnere presso la Regione Calabria”.
Scandalo Csm: cosa è successo
da Palamara all'autosospensione di Lotti
L'indagine
della procura di Perugia nei confronti dell'ex presidente dell'Anm Luca
Palamara ha sollevato il velo su veleni e guerre nella magistratura italiana,
innescando dimissioni a catena. E riaprendo il dibattito su una possibile riforma
del Csm
CRONACA 29
giugno 2019 di Giuliana De Vivo
COM'E' INIZIATA
E' il 29
maggio 2019 quando si diffonde la notizia che la procura di
Perugia sta indagando (l'ipotesi è corruzione) sul magistrato Luca Palamara, ex
presidente dell'Anm (il sindacato dei magistrati) ed ex componente del
Consiglio superiore della magistratura nella consilatura 2014-2018 ( fino alle
elezioni di luglio 2018: PIERCAMILLO DAVIGO ELETTO TRA I MEMBRI TOGATI
- DAVID ERMINI E' IL NUOVO VICEPRESIDENTE DEL CSM).
Dell'indagine, spiegano Corriere della Sera e Repubblica, la
procura di Perugia ha appena avvisato il Csm, che in quei giorni si appresta a
nominare, oltre al nuovo procuratore capo di Roma al posto dell'uscente Giuseppe
Pignatone, anche due nuovi aggiunti nella procura della Capitale: favorito a
diventare uno dei due è proprio, in quel momento, Luca Palamara. L'indagine è
solo il primo di molti elementi che emergeranno nelle settimane successive,
contribuendo a gettare molte ombre sul funzionamento della magistratura
italiana al suo interno.
L'INDAGINE DI PERUGIA SU PALAMARA
La procura
di Perugia, competente per le indagini sui magistrati della Capitale, indaga su
Palamara per corruzione: l'ipotesi è che il magistrato romano abbia
favorito o tentato di favorire alcune nomine in cambio di viaggi, soldi e
regali. Tra i suoi committenti - sempre secondo l'ipotesi della procura
perugina - emergono i nomi di Fabrizio Centofanti, ex capo delle relazioni
istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone e già arrestato per
frode fiscale, e di Piero Amara, avvocato coinvolto da altra inchiesta della
procura di Roma per sentenze “aggiustate” della magistratura amministrativa (Tutti gli addebiti della procura di Perugia nei confronti di
Palamara). Le carte da cui prende avvio l'indagine di Perugia sono
state trasmesse dall'aggiunto della procura di Roma Paolo Ielo. Oltre a Luca
Palamara la procura di Perugia indaga anche sul componente togato del Csm Luigi
Spina per rivelazione di segreto d'ufficio e favoreggiamento e, in concorso con
questi, sul pm di Roma Stefano Rocco Fava: sarebbero
stati loro a informare Palamara dell' indagine a suo carico da parte della
procura perugina. E Palamara si sarebbe mosso - come emergerà dalle
intercettazioni - per tentare di condizionare le scelte dei nuovi vertici di
alcune procure, compresa quelle di Roma e la stessa Perugia. Fava, poi, pur
avendo lavorato con Paolo Ielo ha presentato un esposto alla procura di Roma
contro di lui e contro l'ex capo Giuseppe Pignatone per conflitto di interessi.
Dopo la diffusione della notizia sulle indagini, il 1 giugno, Palamara si autosospende dall'Anm, Luigi Spina si dimette
dal Csm.
I LEGAMI CON LA POLITICA
Dalle
intercettazioni raccolte attraverso un trojan installato sul telefono di
Luca Palamara, si scopre di riunioni segrete del magistrato con altri membri
del Csm, togati e non, e con esponenti del mondo politico, per accordarsi
su nomine e assegnazioni di posizioni in particolare nelle procure di Roma,
Perugia e Brescia. Secondo l'indagine della procura di Perugia l'obiettivo di
Palamara sarebbe stato in particolare ostacolare Paolo Ielo, colpevole di aver
trasmesso a Perugia le carte dell'accusa di corruzione nei suoi confronti. Tra
i politici partecipanti emergono i nomi dell’ex ministro Luca Lotti e dell’ex
sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, entrambi del Partito democratico.
Lotti, scrivono i principali quotidiani, sarebbe intenzionato a vendicarsi di
Pignatone e Ielo che hanno chiesto il suo rinvio a giudizio nel caso
Consip. Mentre tra i membri del Csm avrebbero partecipato Gianluigi
Morlini (appartenente alla corrente Unicost) e Paolo Criscuoli, Corrado
Cartoni e Antonio Lepre (tutti di Magistratura indipendente).
L'INARRESTABILE CATENA DI DIMISSIONI
Il 3 giugno
l'Anm, dopo una riunione a Milano, chiede "con forza" le dimissioni dei
componenti del Csm coinvolti. Il giorno dopo Morlini, Criscuoli,
Cartoni e Lepre si autosospendono dal Csm. La posizione
che filtra dal Quirinale (il Capo dello Stato Mattarella è anche presidente del
Csm, ndr) anche attraverso il vicepresidente David Ermini è che i
consiglieri coinvolti, anche se non indagati, si facciano da
parte. Morlini e Criscuoli si dimettono il 12 giugno e Mattarella indice elezioni suppletive per
sostituirli, a ottobre. Lepre si dimette il 13. Da ultimo, Cartoni il 15 giugno. Nel frattempo il
giorno prima anche Luca Lotti si è autosospeso dal Pd. La bufera
investe anche l'Anm: il 16 giugno porta alle dimissioni del presidente Pasquale Grasso,
accusato di essere stato troppo morbido con gli aderenti alla sua corrente,
Magistratura indipendente. A sostituirlo il vice Luca Poniz. Lo scandalo finisce per lambire anche
la Corte di Cassazione, con il Procuratore generale (e come tale membro di
diritto del Csm) Riccardo Fuzio che annuncia il 4 luglio la decisione di andare
in pensione in anticipo. Una scelta - formalizzata dopo un colloquio con il
Capo dello Stato Mattarella - arrivata a seguito della diffusione di
conversazioni in cui Fuzio parlava con Palamara tanto dell'inchiesta a suo
carico quanto della nomina del nuovo procuratore di Roma. Giusto in tempo: il
giorno dopo Fuzio è iscritto nel registro degli indagati dalla
procura di Perugia per rivelazione di segreto d'ufficio.
LE CORRENTI E LA POSSIBILE RIFORMA
Per capire
la portata di quanto sta succedendo nel mondo della magistratura occorre
osservare che la categoria è storicamente divisa al suo interno in correnti,
che sono in qualche modo speculari ai partiti politici: Luca Palamara è anche
il leader di Unicost, corrente centrista della quale fanno parte anche Luigi
Spina e Gianluigi Morlini. Il deputato Cosimo Ferri è un giudice in aspettativa
ed è un nome forte della corrente Magistratura indipendente, di cui fanno parte
anche Cartoni, Criscuoli e Lepre. Le nomine e le promozioni, in virtù della
autonomia della magistratura, sono decise appunto dal Csm sulla base di logiche
politiche interne animate da queste correnti, che di volta in volta si alleano
con i membri non togati (politici scelti dal parlamento) che compongono il
Consiglio superiore della magistratura. Le notizie emerse a partire dal caso
Palamara hanno sollevato il velo su logiche spartitorie e su veleni personali.
Da lì si è riaperta la discussione sulla possibilità di cambiare le regole
interne e i metodi di elezione stessa dei membri del Consiglio superiore della
magistratura.
Papa Francesco contro la corruzione: “È la peggiore piaga sociale”
RispondiElimina“La corruzione è una bestemmia, un cancro che logora le nostre vite, bisogna combatterla insieme”. La corruzione è un problema sociale, politico e economico, ma appartiene all’uomo e per questo non può che interessare Papa Francesco. Nella prefazione al libro “Corrosione”, scritto dal cardinale ghanese Peter Kodwo Appiah Turkson. “Bisogna affermare - continua il Papa - la misericordia sulla grettezza, la curiosità e creatività sulla stanchezza rassegnata, il bene sul nulla”. Per il Santo Padre, la corruzione emana un “odore fetido” ed è simbolo di una vita disordinata. Il Papa spiega: “Rivela una condotta anti-sociale tanto forte da sciogliere la validità dei rapporti e quindi, poi, i pilastri sui quali si fonda la società: la coesistenza fra persone e la vocazione a svilupparla”.