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martedì 17 gennaio 2017

IL DEBITO PUBBLICO E IL PRODOTTO INTERNO LORDO



                                    IL DEBITO PUBBLICO
Cosa è il debito pubblico  ?    Chi è ,  chi sono i creditori  ?  
Il debito pubblico  è un frutto avvelenato prodotto da un sistema finanziario di abusi , di tipo usuraio  ,  che si nutre di criteri speculativi del debito pubblico sulla base e in forza di calcoli sugli interessi progressivi imposti ad nutum da gruppi e società ,che stanno mettendo in ginocchio le economie reali di molti Paesi , impedendo ogni tentativo di ripresa economica fondata su investimenti produttivi reali e sociali , soggiogando politiche economiche alla speculazione finanziaria ,che arricchisce a dismisura gruppi di potentati a livello internazionale e crea situazioni e condizioni popolari di miseria e povertà ,sempre più vaste e drammatiche nel mondo.
Il debito pubblico lo possiamo definire come il debito che ha uno Stato nei confronti del settore privato e dell’economia, compreso famiglie, imprese, banche di credito ordinario e/o della Banca Centrale. Dall’altro lato, il settore privato e/o la Banca Centrale sono creditori nei confronti dello Stato.
In breve, il debito pubblico si crea quando uno Stato sostiene spese per importi superiori alle entrate.
Attenzione: Lo stato non può emettere e stampare più denaro per coprire le spese. Di conseguenza è costretto a emette Titoli, obbligazioni del Tesoro che, poi vende tramite asta pubblica. Chi le acquista le acquista ad un certo tasso di interesse all’anno.
Anche in questo periodo è notizia comune il debito pubblico. Il problema è che questo deve essere tenuto sempre sotto controllo, e quando la spesa pubblica aumenta in modo esponenziale, e non è compensata da una crescita delle imposte adeguate, allora il debito pubblico fa paura.
IL DISAVANZO PUBBLICO
Per disavanzo pubblico o o deficit pubblico si intende la differenza annuale (negativa) che intercorre tra le entrate di uno stato e le spese da esso sostenute.
Supponendo che in un anno lo stato incassi 50 milioni e ne spende 100, la differenza, pari a – 50 milioni, equivale al disavanzo pubblico. Se il debito pubblico anno per anno continua ad aumentare facendo aumentare anche il disavanzo pubblico, succede che il debito cresce, fino a diventare una spesa difficoltosa da rifinanziare.
Ogni anno il deficit pubblico va ad aggiungersi al debito pubblico del periodo precedente. In questo modo non si fa altro che aumentare il disavanzo pubblico.
E’ bene chiarire un altro aspetto legato al debito pubblico; lo Stato deve finanziare la spesa per l’anno in corso ovvero per consumi e/o investimenti pubblici in 2 modi:
  • tramite entrate fiscali;
  • tramite emissioni di titoli di stato.
Nel primo caso, lo stato prevede con le entrate fiscali dell’anno in corso inerenti a tasse ecc, effettui la spesa per un determinato periodo. Se questo fosse realmente attuabile, lo stato non avrebbe un debito ma si parlerebbe di bilancio dello stato chiuso in pareggio. Ovvero le entrate corrispondono alle uscite.
Nel secondo caso, invece, si prevede che uno stato, al fine di finanziare le spese correnti, emette dei titoli. Questo gli permette di procurarsi la liquidità necessaria che non deriva da un’entrata fiscale, ma attraverso un prestito derivante dal settore privato o anche dalla Banca Centrale.
Questo secondo caso, quello al momento attuale in Italia, prevede per uno stato che le entrate fiscali non siano sufficienti a finanziare la spesa corrente. Quindi ne deriva che la liquidità di cui ha bisogno la deve per forza di cose procura con l’emissione di obbligazioni.
In sostanza, lo Stato emette titoli pubblici, ovvero titoli BTp o Bot attraverso cui lo Stato riesce poi ad avere delle entrate al fine di  rifinanziare il debito pubblico. Questo percorso però non è di facile attuazione, ma e ben più complesso di quanto ci si possa credere. In sostanza è più facile a dirsi che ad applicarsi.
Di conseguenza, attuando le emissioni di titoli di stato, non avremo altro che un deficit di bilancio, ovvero un valore negativo, poiché la differenza tra entrate fiscali e spese sarà negativa, dove avremo le spese maggiori dell’entrate.
Nella situazione attuale italiana, parte della spesa pubblica inerente all’anno (01 Gennaio – 31 Dicembre) viene finanziata con le entrate fiscali; un’altra parte invece viene finanziata con l’emissione di titoli di debito pubblico.
Oggi in tanti sostengono che le generazioni future saranno quelle che dovranno pagare le imposte con le quali verranno corrisposti gli interessi a tutti i titolari di obbligazioni, ovvero a tutti coloro che detengono titoli di debito pubblico.
In sostanza, il debito pubblico è definito come  un credito del settore privato nei confronti dello Stato. Pertanto, nell’economia reale vi sono creditori che ricevono benefici dal possesso dei titoli pubblici.
Al momento però possiamo solo costatare che le classi più deboli verrebbero penalizzate. Queste infatti, verrebbero tassate con un imposizione maggiore sicuramente, anche se la decisione spetta alla nuova classe politica dirigenziale.
Il debito pubblico italiano , attualmente ,  ammonta a circa duemila e duecento miliardi di euro  ed è in crescita continua.
Ma chi detiene il debito pubblico italiano? La tabella che segue è interessante per verificare sia le cifre in oggetto, sia le dinamiche sul debito stesso:

DEBITO MAGGIO 2012
DEBITO  MAGGIO 2013




BANCHE 
931,55
1047,01




PRIVATI (FAMIGLIE E IMPRESE)
257,7
199,99




BANCA D’ITALIA
92,948
98,46




TOTALE ITALIA
1.282,198
1.345,452




DETENTORI ESTERI
693,499
729,107




TOTALE DEBITO
1.982,177
2.074,558




Fonte: Banca d’Italia (in miliardi di euro)
ITALIA. Anche se il debito italiano è stato accumulato in diversi anni, il vero problema è sorto con la crisi economica del 2008. Da allora l’economia in Italia non si è più ripresa. È l’unico paese del G7 che non è ancora riuscito a tornare ai livelli ante-crisi. Dal momento che i creditori sono soprattutto interni al paese (soprattutto banche) e il principale debitore è lo Stato, c’è chi teme lo scoppio di una crisi bancaria se il governo italiano non fosse in grado di adempiere ai propri obblighi. Il debito totale del paese è di circa il 132% del PIL.
Il 2007 resta scolpito negli annali economici dell’Italia, così come del resto dell’Occidente, come l’ultimo anno prima dello scoppio della più grave crisi finanziaria globale dai tempi della Grande Depressione. Se la maggior parte delle economie compite fatica ancora a tornare ai livelli di ricchezza toccati allora, con poche e illustri eccezioni (USA, Regno Unito e Germania), l’Italia è ben lontana dall’essersi ripresa, tanto che il suo pil è oggi di quasi il 9% in meno di quello del 2007, tenuto conto dell’inflazione. Ne ha risentito il debito pubblico ( vds  nota in calce ) , che non solo è passato da poco più del 103% di quell’anno al 133% di fine 2015, ma esso è anche cresciuto in maniera abnorme in valore assoluto, salendo nel contempo da 1.599 a 2.211,85 miliardi del novembre scorso. Il dato di dicembre, quello definitivo dell’ultimo esercizio disponibile, dovrebbe, però, essersi attestato al di sotto dei 2.200 miliardi, in virtù dell’avanzo finanziario, che tipicamente il Tesoro registra a fine anno.
L’enorme percentuale di debito pubblico italiano posseduta dalle banche francesi e dalle banche tedesche. Insieme le istituzioni finanziarie tedesche e francesi possiedono il 59% del debito pubblico italiano detenuto all’estero. La Banca centrale europea possiede solo il 13% del debito pubblico. Ne concludiamo che l’importanza della situazione economica del nostro Stato a livello europeo è grandemente importante . Un’eventuale ristrutturazione del debito italiano colpirebbe gravemente tutto il sistema bancario tedesco e francese e di riflesso ovviamente anche gli Stati, che dovrebbero probabilmente intervenire per salvare le loro banche o certamente ricapitalizzarle abbondantemente.
Come per i popoli del Terzo Mondo , che  sono strozzati dal debito,  la stessa cosa avverrà coi popoli europei,  che si indebiteranno senza contropartita con la Bce per ogni euro messo in circolazione, così come i popoli del Terzo Mondo si sono indebitati con la Federal Reserve americana per i dollari messi in circolazione.
Il debito pubblico italiano attuale è generato dagli alti tassi d’interesse pagati sullo stesso a partire dal 1981 (anno del divorzio tra la Banca d’Italia ed il Tesoro), che per onorare il debito lo Stato impone tasse e balzelli di varia natura arrivando ad una pressione fiscale insopportabile per la popolazione.
Avendo constatato come il 90% del debito non sia in mano a famiglie od imprese italiane, possiamo affermare che ogni 100 euro di tasse pagate solo 10 rientrano al settore famiglie-imprese, mentre 90 vanno ad ingrassare la rendita bancaria (che detiene i BTP).
 Il sistema IF (Imprese-Famiglie) paga 100 e ne rientra in circolo appena 1/10. E’ la fine. Il prolungarsi di questa condizione in cui il progressivo livello di moneta nel sistema Imprese-Famiglie decresce, porta alla situazione attuale di profonda depressione, mancanza di domanda (output gap), chiusura di attività produttive, disoccupazione crescente, povertà e miseria.
Per alcuni paesi la causa principale dell’alto livello di indebitamento è stato lo scoppio delle bolle finanziarie durante i primi anni 2000, che hanno lasciato i contribuenti con i debiti delle istituzioni finanziarie che, con speculazioni selvagge, avevano collezionato perdite multi-miliardarie. Per altri paesi, il debito è invece un problema che arriva da lontano, con radici che affondano in un passato coloniale o in tassi di interesse esorbitanti sui rimborsi del debito.
È interessante notare come, in termini monetari assoluti, gli Stati Uniti detengono il più alto livello di debito, così come la più grande economia del mondo. Ma per molti altri paesi il confronto tra produzione economica e debito rende del tutto evidente che gli oneri sul debito sono in realtà ben al di là dei loro mezzi.
Quando parliamo di debito di uno Stato è importante distinguere debito pubblico e debito privato che uniti insieme costituiscono il cosiddetto debito aggregato.
In parole povere il debito pubblico è il debito che lo Stato contrae con vari creditori che possono essere a loro volta pubblici o privati per finanziarsi. Il debito privato invece, è quello contratto da famiglie e aziende che vivono e operano in quel determinato paese
In sostanza sarebbe stata la bolla dei debiti privati della periferia dell’Eurozona a determinare a partire dal 2009 l’attuale crisi economica. La crisi del debito privato ha coinvolto anche gli Stati che hanno cercato di salvare le banche in difficoltà a causa del credito facile, generando l’aumento del debito pubblico.
E’ un po’ quello che è accaduto dall’altra parte dell’oceano. La crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti alla fine è stata risolta facendo affidamento sullo Stato.
L’Italia ha un debito totale vicino al 250% del Pil, formato per più del 130% dal debito pubblico. L’alto livello di debito pubblico italiano non è dato tanto dall’aumento di quest’ultimo, quando piuttosto alla forte diminuzione del Pil del Paese al quale il debito pubblico si rapporta.
 Al quindicesimo posto della classifica la Germania che ha un debito privato maggiore di quello pubblico. Sommando i due debiti il risultato del paese più virtuoso d’Europa sfiora il 200% del Pil.
Sommando quindi debito pubblico e debito privato l’Italia nella classifica dei paesi più indebitati si posiziona dopo Portogallo, Giappone, Belgio, Grecia, Olanda, Spagna, Regno Unito, Francia e Stati Uniti.
La seguente classifica  indica i primi 12 paesi più indebitati del mondo si basa sul debito pubblico in percentuale sul PIL (Prodotto Interno Lordo).
·  GIAPPONE. L’economia giapponese è quasi ferma dall’inizio degli anni ’90 e il suo debito è del 226% del PIL. Il governatore della banca centrale giapponese ha avvertito che i livelli estremi di debito del paese non sono sostenibili.
·  ZIMBABWE. Il paese, da oltre 15 anni, è in ritardo nel ripagare il suo debito al Fondo Monetario Internazionale e, per questo motivo, non è più ritenuto ammissibile a ricevere altri fondi. Il suo debito pubblico è stimato al 202% del PIL.
·  ST. KITTS AND NEVIS. Anche se la nazione caraibica ha un indebitamento complessivo di poco più di un miliardo di dollari, una somma relativamente piccola per gli standard internazionali, il fatto che la sua popolazione sia di soltanto 50.000 persone rende questo debito una cifra astronomica. Diversi fattori hanno contribuito al rapido aumento del debito del paese, compresi i costi di ricostruzione a seguito di vari uragani, il declino dell’industria dello zucchero e una contrazione del turismo. Il debito del paese è vicino al 200% del PIL.
·  GRECIA. Dopo la crisi del 2008 l’economia greca è crollata sotto il peso dei miliardi da restituire all’Unione Europea, alla Banca Centrale Europea e a Fondo Monetario Internazionale (la cosiddetta troika). La sua economia è scesa del 25% negli ultimi sette anni e il suo debito è a oltre il 170% del PIL.
·  LIBANO. Il debito del paese è esploso negli ultimi anni, principalmente a causa del rallentamento dell’economia. Nel 2013, per esempio, l’economia è cresciuta del 2% e il debito è aumentato del 10%. Il debito del paese è del 163% del PIL.
·  ITALIA. Anche se il debito italiano è stato accumulato in diversi anni, il vero problema è sorto con la crisi economica del 2008. Da allora l’economia in Italia non si è più ripresa. È l’unico paese del G7 che non è ancora riuscito a tornare ai livelli ante-crisi. Dal momento che i creditori sono soprattutto interni al paese (soprattutto banche) e il principale debitore è lo Stato, c’è chi teme lo scoppio di una crisi bancaria se il governo italiano non fosse in grado di adempiere ai propri obblighi. Il debito totale del paese è di circa il 132% del PIL.
·  PORTOGALLO. È stato il secondo paese europeo ad essere salvato da parte dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale, dopo che il suo settore finanziario era sull’orlo di un collasso totale. Il suo debito è del 129% del PIL.
·  GIAMAICA. Il problema del debito per il paese è di lunga data, ma ha ormai raggiunto un punto in cui il governo paga il doppio di interessi di quanto spende per la salute e per l’istruzione. La trappola del debito è scattata nel 1980, quando il Fondo Monetario Internazionale ha prestato il denaro che serviva al paese per le importazioni di beni di prima necessità, i cui prezzi avevano subito forti aumenti. Da allora, la situazione è diventata disastrosa, con tagli selvaggi alla spesa pubblica e un aumento drammatico della povertà. Nel 2013 il numero di donne che sono morte per parto sono quasi raddoppiate rispetto al 1990, mentre il numero di bambini che completano gli studi della scuola elementare è sceso di oltre il 25%. L’ultimo dato disponibile sul debito pubblico del paese riportava un 127,3% del PIL.
·  IRLANDA. La crisi finanziaria del 2008 ha provocato l’espansione del debito pubblico, che prima di allora era relativamente basso. Il sistema finanziario del paese è virtualmente crollato e ha innescato un salvataggio delle banche organizzato dal governo che è costato svariati miliardi. Da allora il debito è stimato al 120% del PIL e i debitori sono la Banca Centrale Europea, il Fondo Monetario Internazionale e altri creditori internazionali. Al paese sono stati concessi 30 anni di tempo per ripagare il suo debito.
·  ISLANDA. L’economia dell’isola del nord Atlantico è crollata durante la crisi finanziaria del 2008, quando tutti e tre i suoi principali istituti bancari sono falliti. Lo Stato non aveva le risorse per un salvataggio completo e, per non fallire a sua volta, ha accettato un prestito, anche dal Fondo Monetario Internazionale, di oltre 5 miliardi di dollari, una somma enorme per un’economia il cui valore totale ammonta a circa 10 miliardi di dollari. Il debito è ancora al 119% del PIL.
·  ERITREA. Il debito del paese ammontava nel 2012 al 118% del PIL e non sono disponibili dati più recenti a causa della segretezza imposta dal governo. Una parte significativa del debito è stata generata dalle spese militari, da quando l’Eritrea ha combattuto una guerra con l’Etiopia nel 1990.
·  ANTIGUA E BARBUDA. Un’altra nazione caraibica che è stata costretta a chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale è Antigua e Barbuda, nel 2010, quando il debito totale del paese era al 130% del PIL e il paese era nel mezzo di una crisi che da tre anni aveva ridotto la produzione economica del paese. Secondo stime recenti il livello di indebitamento si è ridotto all’89%.
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Nota  : 
Alla fine del novembre scorso, il debito pubblico italiano si attestava a 2.212 miliardi, di cui 1.871 miliardi in forma di titoli di stato. I restanti 340 miliardi sono passività, ma non espresse in bond, quasi del tutto degli Enti locali. Il rapporto tra debito e pil dovrebbe essersi attestato al 133% a fine 2015 e quest’anno dovrebbe scendere per la prima volta dopo 7 anni di crescita incessante, ma le previsioni indicano che il calo sarà contenuto, pari a meno di un punto percentuale. L’Italia continuerà ad essere gravata dal secondo debito più “pesante” in Europa, dopo quello della Grecia. In genere, si guarda alla soglia del 140% del pil come punto di non ritorno, perché quello sarebbe lo spartiacque tra un debito sostenibile e uno non sostenibile. Grazie all’intervento della BCE, che con il “quantitative easing” acquista titoli di stato, Abs e “covered bond” per un controvalore di 60 miliardi al mese, i rendimenti sovrani sono scesi ai minimi in tutta l’Eurozona, esclusa la Grecia, che non rientra nel programma. L’Italia sta emettendo i suoi bond a rendimenti infimi e il costo di rifinanziamento del nostro debito non è mai stato così basso, crollato ad appena l’1,35% nel 2014 e dimezzatosi ancora lo scorso anno.
Rendimenti bond bassi, ma solo per BCE
Ci troviamo dinnanzi al paradosso di possedere il debito pubblico più alto della nostra storia, ma di pagarlo a un costo minore record. Tutto bene, se non fosse che prima o poi questa fase “magica” sui mercati finanziari finirà. Non quest’anno, né forse l’anno prossimo, ma arriverà il giorno, in cui la BCE inizierà ad aumentare i tassi di interesse e a ridurre gli stimoli monetari. L’intera struttura dei tassi di mercato salirà e con essa il costo di emissione del nostro debito. Bisogna prepararsi all’appuntamento, come farebbe una formica durante la bella stagione, mettendo da parte il necessario per quando arriverà l’inverno. Ma l’Italia sta facendo tutto questo? La risposta è “ni”. Non si può certo dire che il nostro paese stia comportandosi da cicala, perché rispetta i limiti al tetto del deficit e ha tagliato in questi anni sia il rapporto deficit/pil – passato dal 3,9% del 2011 al 2,6% del 2015 – sia la spesa previdenziale, che in prospettiva rappresentava la maggiore fonte di preoccupazione per la tenuta dei conti pubblici, stabilizzandola.   [tweet_box design=”box_09″ float=”none”] Prepariamoci all’aumento del costo del debito, non a farne di altro   [/tweet_box]    
Sugli interessi relativi al famoso DPI (Debito Pubblico Italiano) ?

Gli interessi sui BOT sono meno di zero, quelli sui CCT sono pari a quelli dei BOT + uno spread che attualmente è lo 0,15 semestrale, ovvero lo 0,30 annuale, quindi il tasso annuo effettivo è intorno allo 0,20. Gli interessi sui BTP sono ancora un po' più alti, ma come sapete il famoso "spread" rispetto a quelli tedeschi viene calcolato solo su quelli a 10 anni, non molto numerosi. Oggi lo "spread BTP-BUND 10Y" (così viene definito in gergo tecnico) è circa 124 punti base, ovvero l'1.24, con un tasso effettivo di 1.40 circa. Solo 3 anni fa era 500 punti base, ovvero il 5%.
Negli ultimi 20 anni l’avanzo primario italiano ha rappresentato mediamente il 2,1% del Prodotto interno lordo (Pil) contro lo 0,2% della Germania. Il problema è che tanta abbondanza è finita nella voragine della spesa per interessi da pagare sul debito pubblico che, per l’Italia, ha significato 1.650 miliardi (pari al 6% del Pil), contro 1.058 miliardi d’interessi pagati dalla Germania (anche in questo caso dal 1995, pari al 2,4% del Pil), 870 miliardi dalla Francia (2,6% del Pil), 386 miliardi dalla Spagna (2,4% del Pil).
 «In sintesi», commenta Poli, «un debitore con debito elevato paga interessi più che proporzionali. E tutto questo è la conferma del peccato originale che l’Italia si trascina dal 1992, l’anno della firma del Trattato di Maastricht, sottoscritto pur avendo un parametro del tutto fuori controllo: il debito pubblico, che rappresentava il 104,7%del Pil contro il 42% della Germania, il 39,7% della Francia e il 45,5% della Spagna».

    IL  PRODOTTO  INTERNO  LORDO  (  P I L  )

Il PIL (o prodotto interno lordo) misura il valore di mercato di tutte le merci finite e di tutti i servizi prodotti nei confini di una nazione in un dato periodo di tempo. La nozione di prodotto è riferita quindi ai beni e servizi che hanno una valorizzazione in un processo di scambio, ed è in parole molto semplici la ricchezza che un certo Paese è in grado di produrre nell’arco temporale di un anno.

Si tratta della somma totale dei beni e dei servizi che si producono per essere consumati all’interno di uno Stato.

Facendo un conteggio preciso del PIL si è in grado di determinare la ricchezza di un Paese per l’anno in questione, facendo un rapporto tra il prodotto interno lordo e il numero delle persone che vivono in quel determinato Paese.

In questo modo si ottiene il reddito medio di ogni cittadino, quindi si può individuare il valore della ricchezza del Paese in questione e definire se si tratta di uno Stato ricco o meno.
Si parla di Prodotto in quanto il PIL misura il valore dei beni finali prodotti, Interno perché la definizione e il calcolo del PIL prende in considerazione il valore finale dei beni e dei servizi prodotti internamente ad un determinato paese (indipendentemente dalla nazionalità di chi li produce), a differenza del Prodotto Nazionale Lordo (PNL) che in parte è conseguito all'estero.
Del PIL fanno parte i profitti realizzati dalle imprese straniere in Italia, viceversa i profitti realizzati dalle imprese italiane all'estero fanno parte del PNL italiano e del PIL dello Stato in cui hanno sede tali imprese.
Il termine Lordo invece fa riferimento al fatto che il PIL è al lordo degli Ammortamenti.

Esistono tre diverse metodologie per calcolare tale grandezza. La prima, chiamata "Metodo della Spesa", permette di ottenere il PIL attraverso la somma dei Consumi (spesa delle famiglie in beni durevoli, beni di consumo e servizi), degli Investimenti (spesa delle imprese e delle famiglie in immobili) della Spesa Pubblica e delle Esportazioni nette (differenza fra esportazioni ed importazioni).
Il secondo criterio si basa sul "Metodo del Valore Aggiunto". Il PIL in questo caso viene quantificato sommando i valori dei Beni e dei Servizi prodotti dalle imprese. Per eliminare tutte le duplicazioni che intervengono nella catena del valore di un bene, ad ogni stadio della produzione viene contabilizzato, come parte del PIL, solo il valore aggiunto al bene in questione in quello specifico stato della produzione. Il Valore Aggiunto può essere quindi definito come la differenza tra il ricavo ottenuto dalla vendita e la somma pagata per l’acquisto delle materie prime e dei semilavorati utilizzati nel processo produttivo.
L’ultimo metodo, che può essere utilizzato per la misurazione del PIL, è invece il "Metodo dei Redditi". Il Prodotto Interno Lordo può essere, infatti, ottenuto come somma delle Retribuzioni e dei Redditi da Capitale. Quello che però è altrettanto importante sottolineare è che questi tre metodi conducono tutti al medesimo risultato.
Un ultima distinzione che si può fare parlando di PIL è quella tra PIL nominale e quello reale.
Il PIL è nominale in quanto misura il valore finale della produzione in un certo periodo ai prezzi di quel periodo (prezzi correnti) questo vuol dire che il valore della ricchezza di una determinata nazione in un determinato periodo risente dell’inflazione, cioè del fenomeno dell’aumento costante dei prezzi.
Il PIL reale viceversa esprime un valore reale della produzione di beni e servizi, sterilizzato dall'effetto dell'inflazione e misura la produzione in termini di effettivo potere d’acquisto della collettività. Per passare dal PIL monetario al PIL reale è necessario eliminare le conseguenze sui prezzi dovute al tasso d’inflazione.
Una crescita inattesa del PIL ha degli effetti positivi sui mercati azionari poiché comporta un incremento degli utili aziendali e quindi dei prezzi dei titoli. Un aumento eccessivo e non previsto del PIL può tuttavia avere anche un effetto contrario sulle piazze azionarie, dal momento che un’espansione troppo forte dell'economia rischia di alimentare la spirale dell'inflazione. Per queste molteplici ragioni l'andamento del PIL rappresenta una misura chiave nello scenario macroeconomico di un paese e viene dunque monitorato con grande attenzione dagli operatori finanziari.
Il PIL, solitamente viene calcolato ogni anno, ma può essere anche calcolato ogni mese. Se il valore del PIL diventa positivo, significa che la crescita economica è in atto nel paese. Se invece la crescita è negativa, ovvero se la differenza del PIL è negativa, stiamo all’interno di una contrazione economica.
Ci sono tanti altri fattori che sono estremamente correlati al PIL:
Reddito pro-capite: viene calcolato con il valore reale del PIL per la popolazione
Deflatore del PIL: viene calcolato con la divisione tra PIL nominale e PIL reale
Rapporto deficit/PIL: viene calcolato essenzialmente con la somma del deficit delle amministrazione pubbliche in relazione con il Prodotto Interno Lordo
Per PIL pro capite si intende invece la quantità di prodotto interno lordo (PIL) che viene ipoteticamente posseduta, in un certo lasso di tempo, da un gruppo di cittadini. Solitamente il PIL pro capite, viene riportato in unità di moneta per 1 anno, in relazione agli interi stati.
Il PIL è composto essenzialmente da 4 elementi:
– Consumi (C) – che è il totale delle spese dei consumatori per beni e servizi
– Investimenti (I) – sono tutte quelle spese e investimenti delle imprese
– Spesa Pubblica (G) – sono tutte quelle spese delle pubbliche amministrazioni per beni e servizi
– Saldo netto Bilancia Commerciale (NX)
Il PIL in Italia, è “non” sorprendentemente uno dei peggiori, l’Italia è in Europa all’ultimo posto per la crescita del PIL. La mappa è infatti una delle più scoraggianti e impressionanti. La crescita del PIL negli ultimi 20 anni da parte dei paesi occidentali, è estremamente inferiore rispetto ai paesi a est. A ovest invece, tra le varie crisi economiche e boom, la crisi è stata enorme, anche se in realtà l’Unione Europea avrebbe dovuto portare una ventata di crescita e uniformità economica. Così non è stato. In quanto la crescita del PIL negli ultimi 20 anni in Italia, è stata di solo l’1.8%, 28.7% invece in Germania, 86,1% in Irlanda. Anche la Grecia ha fatto meglio dell’Italia, con +13.5%. La Germania è cresciuta del 28,7% più della Francia, +20,7% e della Spagna, +23,9%, ma meno del Regno Unito, +33,8% e soprattutto meno dell’Irlanda, che da grande leader europea ha il record massimo, + 86,1%.
Molto bene anche Svezia e Finlandia, +41% all’incirca.
L’italia è quindi in una grave crisi anche per ora del PIL, e dell’assenza di crescita, in particolar modo al Sud, che è sempre rimasto ben al di sotto della media europea, sia oggi che negli anni 90 e 80. Se noi italiani volessimo raggiungere almeno la Francia, dovremmo crescere dell’1% in più rispetto ai Francesi, impossibile.
La realtà dell’Italia, è che il mercato nero rende praticamente inaffidabile il dato sul PIL. Il mercato nero è sempre una realtà in Italia, sopratutto con le leggi fiscali sempre più stringenti. Il mercato nero sommerge quindi il Prodotto Interno Lordo. Infatti, se si considera anche il traffico di droga, prostituzione, contrabbando di sigarette e altre attività illegali, l’Italia non è più in recessione.
Il nuovo sistema contabile, chiamato anche Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (Sec 2010) è stato adottato a fine 2014, con il fine di facilitare il confronto tra i Paesi dell’Unione Europea, a prescindere dal fatto che questi paesi abbiano legalizzato o meno la prostituzione, depenalizzando poi il commercio degli stupefacenti.
 Con questo cambiamento, l’Italia ha scoperto che il suo PIL non è più sotto dello 0,1%, ma che in realtà è ben superiore.
Il nuovo sistema, utilizzato dal 2014 in poi, ha letteralmente “cambiato” i dati sul PIL italiani . In base  agli ultimissimi dati trimestrali,  il conteggio del PIL è stato nel 2013 ( da – 0,1 a  0,2 )  -  nel 2015 ( da 0,4 a 0,2 ) – nel 2016 ( da 0,2 a 0,3 )

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