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lunedì 6 maggio 2019

IL " CASO SIRI "


  



                       IL  “ CASO  SIRI “

 https://www.facebook.com/nicola.morra.63/videos/566546530537126/?notif_id=1561911684620939&notif_t=live_video
 
OMBRE  E  GRAVI  SOSPETTI  DIETRO  IL “CASO  SIRI“ 
Perché Matteo Salvini si oppone fermamente nei confronti della richiesta di dimissioni del sottosegretario ( della Lega ) Armando Siri , avanzata da Luigi Di Maio ?
Cosa c’è  e chi c’è dietro il “ Caso Siri “  ?
Vi sono interessi politici , finanziari , fra servizi segreti ,  massonici , mafiosi ?
Quali legami e interessi fra personaggi come Matteo Salvini , Steve Bannon , Benjamin Harnwell ( Movimento  sovranista , “ Dignitatis Humanae Institute” e la Certosa di Trisulti in Collepardo, prov.Frosinone ), Giuseppe Valditara , Guido Giorge Lombardi ( Cambridge Analytica ) , Armando Siri , Paolo Arata e il figlio Federico , Vito Nicastro ( affari sul mini-eolico in Sicilia  e in rapporti con il boss mafioso Matteo Messina Denaro ) ?
Vi sono rapporti con i fondi normali, occulti e segreti nelle banche  ( Banca Popolare di Vicenza , Banca Nuova ), Gianni Zonin, Antonello Montante ( Vice pres. Confindustria ) , Francesco Maiolini ( dirett.gen.di Banca Nuova ) , Nicolò Pollari ( fondi dei Servizi Segreti ), Col.Giuseppe D’Agata ( Banca Nuova , fondi della antimafia e soldi della Ragioneria regionale siciliana, oltre che sede operativa dei servizi segreti e di rapporti con la CIA )  ?
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Nicola Morra  ( Aggiornamenti )
1 h ·
Poco alla volta la questione si allarga.
Arata e Nicastri, coi i loro investimenti nell'ambito delle energie rinnovabili, dimostrano quanto si possa guadagnare in questo settore. Con la complicità di tanti, funzionari e dirigenti della Regione Sicilia, che, corrotti, autorizzavano che era un piacere.
Segui i soldi, trovi la mafia. Non dimentichiamolo.
Dall'ipotesi di una mazzetta di 30.000 euro si passa, sempre in ipotesi, a 500.000 euro.
In Regione Sicilia credo tanti siano preoccupati.
Solo lì?

n.d.r.
Salvini incontra Steve Bannon e aderisce a The Movement
L'ex consigliere di Trump vede a Roma il vicepremier italiano, nuovo tassello dell'asse populista con l'ingresso nell'organizzazione che punta a raggruppare gli euroscettici
07 settembre 2018
Steve Bannon e Matteo Salvini (foto Twitter Mischael Modrikamen) 
ROMA - Matteo Salvini continua la sua marcia di aggregazione del movimento sovranista internazionale e oggi a Roma ha incontrato Steve Bannon, per aderire al suo nuovo raggruppamento "The Movement". La notizia è arrivata con un tweet trionfale di Mischael Modrikamen, uno dei fondatori di The Movement: "È dei nostri!", annuncia il politico belga, presidente del partito popolare, sotto una foto della stretta di mano e dei sorrisi tra i tre. Dopo l'incontro a Milano con il premier ungherese Viktor Orban la scorsa settimana, il ministro dell'Interno e vicepremier italiano conferma la manovra di rafforzamento dell'asse populista europeo su cui si vuole innestare anche la nuova fondazione di Bannon.
Approfondimento
dalla nostra inviata ANNA LOMBARDI
L'ex consigliere di Donald Trump ed editore dello screditato sito Breitbart news, protagonista di molte operazioni di disinformazione prima e dopo le elezioni che hanno portato il tycoon alla Casa Bianca nel 2016, dopo essere caduto nel cono d'ombra della politica americana, aver abbandonato Breitbart tra le polemiche ed essere stato coinvolto nello scandalo di Cambridge Analytica con lo sfruttamento dei dati acquisiti su Facebook, è emigrato in Europa e sta puntando al mercato europeo dell'opinione pubblica di orientamento euroscettico e nazionalista, facendo leva soprattutto sulle tensioni anti-immigrati.

Salvini e Bannon, tutta la storia
Il segretario della Lega e l'ex consigliere strategico di Donald Trump si sono visti a Milano l'8 marzo, dopo la vittoria elettorale e prima dello scandalo di Cambridge Analytica, di cui Bannon è stato uno dei fondatori. È la Lega il partito italiano con cui la società che ha usato i dati di 50 milioni di account Facebook a fini politici ha collaborato? Abbiamo ricostruito tutta la storia e abbiamo trovato la risposta. Ma non finisce qui
di riccardo luna
24 marzo 2018,07:00
AFP-AGF
Bannon Salvini (AFP-AGF)
La mattina dell’8 marzo 2018, il giorno dell’incontro segreto con Steve Bannon, il segretario della Lega Matteo Salvini si è presentato al mercato di via Pietro Calvi, a Milano, per ringraziare gli elettori del trionfo elettorale del 4 marzo. Aveva con sé una decina di volantini con il suo mezzobusto sorridente, l’indice della mano destra puntato verso chi guarda in segno di amicizia e in alto la scritta cubitale “grazie”. Aveva una giacca a vento di una nota marca di abbigliamento da sci, di un arancione sparato piena di marchi. Impossibile non notarlo. Ha fatto molti selfie, qualcuno come al solito lo ha insultato senza scalfirne l’ottimo umore, ha mandato un ciaone al calciatore Balotelli che si era detto indignato per il successo della Lega, ha giurato di andare d’amore e d’accordo con Berlusconi e ha fatto gli auguri alle donne brandendo un mazzetto di mimose, “ma non vi auguro cortei e scioperi, vi auguro lavoro, sicurezza e diritti per tutte”. Il tutto naturalmente in diretta su Facebook dove il leader della Lega è seguito da più di due milioni di persone.
Poi si è diretto all’appuntamento con Bannon, cinque minuti in macchina dal mercato di via Calvi.
La mattina dell’8 marzo, il giorno dell’incontro segreto con Matteo Salvini, Steve Bannon, l’ex consigliere di Trump, l’uomo che ha contribuito a fondare e a dirigere Cambridge Analytica e che ha giocato un ruolo chiave nel successo della corsa alla Casa Bianca, si è svegliato in un hotel a cinque stelle nel centro di Milano. Arrivando dagli Stati Uniti nel weekend elettorale, Bannon era atterrato a Roma dove aveva preso una stanza all’hotel Raphael, dalle parti di piazza Navona, famoso per il lancio di monetine che il 30 aprile 1993 inseguì l’allora segretario socialista Bettino Craxi. Si sa poco delle sue giornate romane a parte il fatto che si era fatto fotografare come un turista a piazza di Spagna e davanti alla Fontana di Trevi, inseguito dai corrispondenti dei grandi giornali internazionali, incuriositi da questo improvviso tour europeo dell’uomo che era stato considerato la mente nera di Trump prima di venire cacciato dalla Casa Bianca (era chief strategist) e aver perso così anche la guida di Breitbart, il sito dell’estrema destra americana in cui Bannon ha lavorato a lungo contribuendo a disegnare la prospettiva di una rete populista che avrebbe finalmente sconfitto le elite.
 Steve Bannon e Marine Le Pen a Lille
Il tour europeo dell'ex consigliere di Trump
Con il risultato delle elezioni italiane quel sogno riprende vigore!, aveva detto fra gli applausi il 6 marzo a Zurigo ad un evento organizzato da un settimanale di estrema destra, Die Weltwoche, che era andato sold out con dieci giorni di anticipo. A Zurigo aveva incontrato anche alcune leader di AfD​, il partito di estrema destra della Germania, Alice Weidel e Beatrix von Storch, note alle cronache per aver sfidato la decisione della polizia di fare un annuncio anche in arabo, con un tweet di questo tenore: “Vogliono per caso lusingare le orde di stupratori musulmani?”.
Era atteso a Parigi, da Marine Le Pen, dove avrebbe infiammato la platea del congresso del Fronte Nazionale (“Vi chiamano razzisti? È una medaglia!”), ma prima aveva voluto tornare in Italia. A Milano. La mattina in albergo si era concesso per due interviste che non per una coincidenza aveva condotto sedendosi nel salotto dell’hotel, tappezzato di un tessuto rosso, su una poltrona sotto un grande ritratto del Tiziano del Duca di Mantova, un maestro di intrighi del Rinascimento. 
Poi si è diretto al suo appuntamento con Salvini. Cinque minuti a piedi dall’hotel Principe di Savoia.
Chi era presente all'incontro?
Salvini e Bannon si sono visti allo Spazio Pin di via Montesanto. Si tratta di un posto dove è possibile affittare uffici e sale temporanee e che funge spesso da base per Armando Siri, il responsabile economico della Lega, considerato il papà della Flat-Tax. Che naturalmente era presente. C’erano anche altre tre persone che hanno un ruolo importante in questo momento per la Lega. Uno è il professore di diritto dell’università di Torino Giuseppe Valditara: in passato è stato senatore per alcuni legislature (2001-2013) in diverse formazioni del centrodestra, poi ha virato decisamente sulla Lega ed è il fondatore di Logos, una rivista di cultura politica che è considerata uno dei think tank salviniani.
C’era poi il giornalista Marcello Foa: si considera “di scuola montanelliana” (in riferimento al grande Indro Montanelli), ha un blog su Il Giornale, dirige il Corriere Ticinese e insegna all’università di Lugano. Qualche anno fa fece un certo clamore la sua presa di posizione in favore della Russia sulla questione Ucraina; in quell’occasione Beppe Grillo lo ospitò con tutti gli onori sul blog ma successivamente Foa ne prese nettamente le distanze per appoggiare l’ascesa di Salvini. Dopo il 4 marzo a caldo sul blog aveva parlato di “elezione storica perché dopo la vittoria di Macron l’establishment si era illuso che la cosiddetta onda populista avesse esaurito la sua spinta”.
Il terzo invitato a questo incontro era uno storico collaboratore di Bannon: Thomas D. Williams, 54 anni, elegante, un ex prete con tre lauree e una cattedra in etica che guida l’ufficio di Breitbart a Roma e che lo scorso anno diceva: “Trump guarda a M5s e Lega”. I tre sono molto legati, anche nella copertina del libro che Valditara ha pubblicato a gennaio, “Sovranismo, una speranza per la democrazia”: la prefazione è di Thomas D. Williams, la postfazione di Marcello Foa. 
AFP
Salvini e Bannon (AFP)
Perché l'incontro è rimasto segreto?
Questi i sei partecipanti dell’incontro del 8 marzo (in realtà erano presenti un altro paio di persone almeno). Il patto fra di loro era che dovesse rimanere segreto. E così quando un giornalista del New York Times aveva chiesto se in qualche modo Salvini e Bannon si fossero visti, la risposta era stata che avrebbero voluto ma non avevano trovato il modo di far coincidere le agende. Perché negare? Perché questa segretezza? Quando a Salvini è stata fatta questa domanda, la risposta è stata più o meno: quando ci si incontra per raccontarlo bisogna essere in due. Un modo di lasciar intendere che sia stato Bannon a preferire questa strada più riservata. Non se ne capiscono i motivi però.
È in qualche modo legato all’oggetto dell’incontro milanese? Secondo quanto abbiamo appreso, allo Spazio Pin non si sarebbe parlato affatto di Cambridge Analytica: non che la società di gestione dei big data a fini elettorali non fosse già assurta all’onore delle cronache per alcuni articoli molto duri, ma l’inchiesta del New York Times e del Guardian che ha fatto il giro del mondo e ha messo in ginocchio Mark Zuckerberg per la cattiva gestione dei dati degli utenti da parte di Facebook, sarebbe uscita solo dieci giorni dopo. Insomma, non era certo un tema all’ordine del giorno. Al New York Times Bannon dirà che lo scopo del suo tour europeo era “costruire una nuova infrastruttura per un movimento populista globale”. Un’altra Breitbart insomma. Quel che è certo è che due giorni dopo, dal palco di Lille, in Francia, galvanizzando la platea dei delegati del Fronte Nazionale, si riferirà a Salvini in modo insolitamente affettuoso. “Brother Salvini”, dirà. Fratello Salvini. Segno che l’incontro di Milano deve essere andato alla grande.
Il misterioso partito italiano è quindi la Lega?
E insomma, alla fine, nella ricerca di quale sia il partito italiano di Cambridge Analytica, siamo finiti a Milano, una mattina di marzo, in una saletta anonima di un centro dove affittano uffici ad ore: da una parte il nuovo leader del centro destra italiano con una scioccante giacca arancione, dall’altro l’ideologo mondiale del populismo con una camicia bianca button-down sopra una polo blu. È questa la prova che è la Lega il partito di Cambridge Analytica? No. E anche se lo fosse va detto subito, per onestà intellettuale, che non significherebbe automaticamente una colpa: un conto è aver usufruito dei servizi di Alexander Nix (prostitute ucraine nel letto degli avversari e abuso dei dati social degli elettorali, per fare due esempi); un altro aver avuto una consulenza per gestire meglio il rapporto con il digitiale.
Anche il Financial Times, per dire, è stato un cliente di Cambridge Analytica: li ha chiamati per profilare meglio i propri abbonati, probabilmente, e oggi nessuno si indigna per la scelta del grande quotidiano finanziario britannico. Ciò detto, non vi è alcun dubbio che sono tanti gli indizi che fanno pensare che sia stata proprio la società di Alexander Nix il segreto nel motore del successo elettorale leghista: oltre all’incontro “segreto con Bannon”, c’è sicuramente l’irresistibile ascesa sui social di Matteo Salvini, che oggi in Europa è secondo solo alla Cancelliera Angela Merkel in termini di seguito su Facebook; e poi il giochino elettorale “Vinci Salvini”, un sito web dove ci si registrava su Facebook (dando i propri dati, quindi) e in base a quanto uno si era speso per diffondere le idee di Salvini vinceva “una telefonata col Capitano” (gli ultimi vincitori sono stati premiati proprio l’8 marzo). Ma la vita e la politica non sono un romanzo di Agatha Christie dove un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza e tre indizi sono una prova. Anche perché in questa vicenda accanto agli indizi, ci sono anche circostanze che fanno crollare qualunque facile conclusione. 
 Afp
 Cambridge Analytica
La prima è nella definizione stessa che Cambridge Analytica sul suo sito dà dell’operazione italiana. Queste le parole esatte: “CA ha realizzato nel 2012 un progetto per un partito italiano che stava rinascendo e che aveva avuto successo per l’ultima volta negli anni ‘80”. Usando - prosegue la nota - l’Analisi della Audience Target, CA ha rimesso gli attuali e i passati membri del partito assieme con i potenziali simpatizzanti per sviluppare una riorganizzazione della strategia che soddisfaceva i bisogni di entrambi i gruppi. La struttura organizzativa moderna e flessibile che è risultata dal lavoro di CA ha suggerito riforme che hanno consentito al partito di ottenere risultati molto superiori alle aspettative in un momento di grande turbolenza politica in Italia”. 
Bene, chiaro che questa definizione sembra calzare a pennello per la Lega per vari motivi. Ma nel 2012 Cambridge Analytica non esisteva. Verrà fondata – con sede nel Delaware e soci Robert Mercer, Steve Bannon e Alexander Nix – il 31 dicembre 2013 alla vigilia della corsa per la Casa Bianca del 2016. Esisteva il misterioso gruppo SCL, Strategic Communication Laboratories, fondato da un gruppo di conservatori britannici e specializzato in operazioni coperte di manipolazione dell’opinione pubblica in paesi in via di sviluppo; e dal quale nell’ottobre 2012 Alexander Nix farà nascere – diventandone l’unico azionista – SCL Elections. È stata quindi SCL Elections a lavorare con un partito italiano nel 2012? E come ci sono arrivati? Per rispondere occorre ripercorrere quello che accadde quell’anno in Italia alla Lega. Il 2012 è stato l’anno della caduta dello storico leader Umberto Bossi, costretto alle dimissioni per una brutta storia legata alla gestione dei fondi del partito. Al suo posto prima c’è un triumvirato e poi, fino al dicembre 2013, quando inizierà l’era Salvini, il segretario leghista sarà Roberto Maroni.
Roberto Maroni
È lui quindi l’uomo che ha portato la Lega nelle braccia tentacolari di Alexander Nix? È davvero molto improbabile. Interpellato dall’AGI Maroni ha risposto così: “Mi sono iscritto a Facebook alla fine del 2011 e ancora oggi gestisco da solo il mio profilo. Fino a qualche giorno fa non avevo idea che con con i dati degli utenti si potessero fare certe cose. Sono diventato segretario della Lega il 1 luglio 2012 e l’unico contratto di questo tipo è stato con la SWG per fare sondaggi. Non ho mai sentito nominare né CA né SCL. Mai avuto rapporti con loro. Zero virgola zero. Quello che è successo quando nel dicembre 2013 è diventato segretario Salvini non lo so, certo lui ha avuto un rapporto con i social molto più forte e di grande impatto. Ma francamente a questa ipotesi non ci credo”.
Il ruolo di Guido George Lombardi
In realtà c’è un altro personaggio che potrebbe aver portato la Lega nel magico mondo di Cambridge Analytica. Si chiama Guido George Lombardi: è un immobiliarista italiano, che in seguito ad il matrimonio con una ricca signora triestina, si è trasferito a New York e ha comprato casa nella Trump Tower della Quinta Strada, qualche piano sotto la residenza di Donald Trump; e non contento ha preso una villa anche a Mar-a-lago, la località della Florida dove Trump trascorre i suoi weekend giocando a golf. Il weekend del 4 marzo Lombardi si è fatto una foto davanti al golf club con un testo che diceva più o meno: “Ho appena incontrato Trump e mi ha detto che tifa per Salvini”.
Che c’entra Lombardi? Quando Trump ha vinto la corsa per la Casa Bianca ha fatto decine di interviste con i giornali di tutto il mondo per raccontare come fosse stato lui l’artefice del successo sui social di Trump: “Gli ho aperto e ho gestito centinaia di pagine Facebook” ha dichiarato. Una circostanza però che non trova conferma in nessuna dichiarazione del vero responsabile della campagna digital di Trump, Brad Parscale. Del resto leggendo attentamente le sue interviste Lombardi ha dato versioni molto diverse persino della sua età anagrafica.
Che c’entra Lombardi? C’entra, perché sostiene di aver aperto anni fa la sede della Lega Nord a New York e aver gestito il viaggio americano dell’allora ministro degli Interni del primo governo Berlusconi. In proposito Maroni conferma ma ridimensiona molto la cosa: “Conosco Guido Lombardi, non George, George se lo è fatto aggiungere dopo. Io l’ho incontrato una sola volta nel 1995 quando ero ministro dell’Interno. L’ambasciata americana organizzava dei viaggi per far conoscere i nuovi politici italiani, incontrai Lombardi a Washington e mi accompagnò a New York, dove abitava, un giorno in tutto; il resto del viaggio avevo scelto di farlo seguendo le vie del rock ‘n roll fra Memphis, Nashville…”.
 Guido Lombardi nella Trump Tower
La versione di Salvini
Insomma, sembra di poter escludere che nel 2012 Cambridge Analytica, o una sua parente prossima, abbia lavorato per la Lega di Maroni. E per quella di Salvini dopo? A parte che se così fosse vorrebbe dire che la dichiarazione sul sito web di CA è falsa – il che però vista la levatura morale di certi personaggi è tutt’altro che da escludere. A parte ciò Salvini è categorico nel negare qualunque contatto con la società britannica: “Mai visti né sentiti”. Il leader della Lega, per rinforzare questa tesi, ne fa anche una questione di soldi: “Ma avete visto quanto li hanno pagati per la campagna di Trump. Noi non abbiamo un euro, come è noto, e abbiamo fatto tutta la campagna elettorale in autofinanziamento, con raccolte fondi e chiedendo ai candidati di investire i loro soldi”.
Sulla questione dei dati Salvini ha una posizione più articolata: sostiene che è ipocrita sorprendersi adesso del fatto che i nostri dati social vengano usati per alimentare altri business, è il web che funziona così, i nostri dati sono la benzina che lo fa funzionare. “Del resto quando diamo i nostri dati in supermercato o in un centro commerciale non è la stessa cosa?”. Certo gli abusi, dice sempre Salvini, vanno puniti e bene ha fatto Zuckerberg a scusarsi. Anche se secondo il leader leghista la vera criticità non è la politica, perché poi i cittadini sono comunque liberi e responsabili delle scelte che fanno; ma nel campo della salute, perché è lì che con la profilazione si possono creare ingiustizie che danneggiano i più deboli “e quando guiderò il governo su questo ho un piano preciso per tutelare i dati dei più deboli”.
Come si spiega allora il clamoroso successo del leader della Lega sui social? “Ci sono due ragioni. Un ottimo team di otto persone. E la consapevolezza, di tutti noi, che la rete non funziona se la usi per mandare messaggi unidirezionali, ma solo se ti mette davvero in ascolto e dialoghi”.
L’ultimo indizio a cadere, per ora, riguarda la pista russa. Avevamo già parlato delle tante strade che da Cambridge Analytica portano a Mosca e a San Pietroburgo. Una in realtà porta a Praga da dove una banca russa ha erogato un prestito – che non risulta essere mai stato restituito - da quasi 10 milioni di euro al Fronte Nazionale di Marine Le Pen qualche mese dopo il suo riconoscimento dell’annessione della Crimea da parte della Russia (anche se la leader del FN nega che ci sia un collegamento diretto fra i due episodi).
Bene, la Lega sulla Russia e la Crimea ha una posizione molto simile. E da due anni prima che Salvini andasse in Russia, il 6 marzo 2017, a siglare una intesa con il partito Russia Unita, che sostiene Vladimir Putin, a Mosca si rincorrono voci della richiesta – respinta – di un analogo finanziamento da parte della Lega. Salvini è categorico: “Mai chiesto e mai ottenuto nulla”.


Certosa di Trisulti, marcia contro la scuola di Steve Bannon. Il sindaco: "Il monastero resti un luogo religioso"
La marcia anti-Bannon a Collepardo (ansa)
Gli organizzatori: "Non vogliamo lasciare campo libero all'avanzata sovranista". E affermano che l'abbazia non è più fruibile come prima. Al corteo anche Fratoianni: "No a chi vuole il Medioevo"
29 dicembre 2018
La scuola di Steve Bannon, guru della destra americana, scatena proteste e divisioni. E anche una marcia, andata in scena oggi a Collepardo, in provincia di Frosinone. "Trisulti terra d'Europa-Bene della comunità", recitava lo striscione di apertura del corteo organizzato contro l'accademia sovranista all'interno della Certosa. 


Intervista
di LUCA FRAIOLI
"Siamo 300 persone tra cittadini, amministratori e politici che non vogliono lasciare il campo libero all'avanzata sovranista nella Certosa di Trisulti", ha detto Daniela Bianchi, ex consigliera regionale e una delle organizzatrici della marcia.


Approfondimento
di PAOLO RODARI

"E poi - prosegue - si tratta di un bene sottoposto a tutela che finisce nelle mani di una associazione che ha partecipato a un bando, che forse risponde ai requisiti, ma poi se ne esce con una idea diversa. Certo nella comunità monastica è rimasto un solo monaco che non poteva gestire l'Abbazia. Ma da quando sono arrivati, la Certosa non è più fruibile come prima: prima c'erano delle fasce orarie, sia di mattina che di pomeriggio, compatibilmente con i tempi dei monaci. L'Abbazia di Trisulti è la tappa più importante del Cammino di Benedetto da Norcia a Cassino, questo tipo di turismo 'lento' aiutava anche l'economia locale".

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Il Comune non ha aderito alla marcia ma il sindaco di Collepardo, il civico Mauro Bussiglieri, dice: "Siamo perplessi sul modo in cui sarà realizzata questa scuola. Non abbiamo paura di confrontarci con altri pensieri, di qualunque tipo, però ci atterremmo al fatto che la certosa, che per centinaia di anni è stata un punto di riferimento religioso, rimanga tale". E aggiunge: "Abbiamo già suggerito a Harnwell (il presidente della fondazione che ha avuto in gestione la struttura), di tenere aperta comunque la certosa fino alla chiesa, che è ancora consacrata e vi si celebra la messa. Abbiamo chiesto che pellegrini e turisti possano accedervi liberamente, mentre chi invece vuole una visita guidata la possa prenotare. Per ora non abbiamo avuto nessuna risposta, tranne aver ottenuto l'ingresso gratuito per i residenti di Collepardo".

E
Benjamin Harnwell, ex politico inglese e presidente del consiglio della Fondazione Dignitatis Humanae Institute, che ha in gestione l'Abbazia di Trisulti replica dicendo: "Partiamo da qui per allargare le nostre idee a tutto il mondo. Il progetto è che Trisulti diventi la sede della lotta per difendere la civiltà giudaico-cristiana nel mondo".

Al corteo ha preso parte anche un parlamentare di Leu, Nicola Fratoianni: "Bannon e i suoi amici della destra peggiore dell'Europa, da quella politica a quella religiosa, in questa Certosa vogliono costruire una scuola internazionale per formare nuovi fanatici integralisti, per far crescere la nuova destra. Per provare a restringere e a limitare la libertà e i diritti di tutti e tutte noi. Un progetto molto preoccupante di chi vuole ricostruire nella società in cui viviamo un nuovo Medioevo", ha detto. E ha annunciato: "Nei prossimi giorni depositeremo un'interrogazione parlamentare al governo per sapere se le finalità della Fondazione che ha avuto dallo Stato la concessione per l'uso del Monumento nazionale sono coerenti con il bando".

Collepardo – Certosa di Trisulti, Report incalza DHI
30 Aprile
18:32 2019
Dopo l’intervento del sindacato nazionale dei Beni Culturali e la puntata di Report la vicenda ha assunto toni ancor più delicati. Dal DHI, Harnwell conferma: “Procedure burocratiche regolari”.


Ieri è stato diffuso un comunicato stampa di Giuseppe Urbino, Segretario Nazionale della ‘Confsal Unsa’ Beni Culturali, che interviene sulla questione, senza addentrarsi nell’aspetto politico, chiedendo conto a Dario Franceschini, ex ministro che ideò il bando e all’attuale responsabile del Dicastero, Alberto Bonisoli, di tutte le criticità inerenti la vicenda dell’affidamento in concessione del bene per 19 anni ad un canone annuo di 100 mila euro ed oggi in completo abbandono. <<Suona un po’ strano – scrive Urbino – che un bene storico monumentale di eccezionale importanza come la Certosa di Trisulti sia stato “affittato” a un canone di circa 8mila euro al mese che equivale all’importo di locazione di un negozio al centro di Roma anche se i lavori di risanamento per la messa in sicurezza del complesso che aveva bisogno di interventi urgenti di conservazione erano quelli che avevano motivato la concessione ventennale a un privato. Chiediamo al ministro vigilante Alberto Bonisoli – dice ancora il sindacalista dell’Unsa Beni culturali – quale sia la situazione lavori senza entrare nel merito della realizzazione della scuola sovranista di Steve Bannon, perché non rientra nella nostra sfera valutare quale tipo di insegnamento si debba svolgere all’interno dell’Abbazia>>.
Ma non è tutto. In serata, sempre ieri, la trasmissione televisiva Report di Rai Tre ha affrontato la vicenda, come tanti già sapevano sul territorio in quanto la troupe girava da settimane per interviste e riscontri, ed ha riassunto un po’ tutti i punti critici dell’intera faccenda, intervistando sia il presidente di DHI, Benjamin Harnwell, sia i due legali che si sono interessati del ricordo per la richiesta di ritiro della convenzione in autotutela al Ministero, gli avvocati Spirito di Frosinone e  Santiapichi di Roma. Di scoop veri e propri non ce ne sono stati, ma il veder riassunte tutte le criticità in un unico servizio ha fatto svegliare le coscienze di molti che fino ad oggi, forse, si erano distratti in questo anno e mezzo in cui pochi giornalisti hanno portato avanti una battaglia quasi da soli.
Ricordiamo che i punti più controversi, come sottolineato dal legale che ha scritto la relazione tecnica a corredo del ricorso presentato da Comunità Solidali, Felice Maria Spirito, sono:
  • la mancanza del requisito fondamentale alla data di presentazione della domanda, ovvero il possesso di personalità giuridica che DHI non aveva ed ha ottenuto sei mesi dopo;
  • la mancanza del requisito della gestione del bene pubblico o privato culturale nel quinquennio precedente, visto che sia il Sindaco di Collepardo, sia l’Abate di Casamari, hanno ribadito che il piccolo museo di Civita è in realtà un rudere, come confermato anche dalle immagini girate da Report.
Il servizio, poi, ha ampiamente parlato del ruolo di Steve Bannon in tutta questa vicenda, non solo come unico finanziatore esplicito del DHI, ma anche come riferimento culturale e politico della nascente scuola di formazione che, secondo Harnwell, pur senza far pubblicità, avrebbe ricevuto già migliaia di richieste da persone interessate di tutto il mondo. Ovviamente il presidente del Consiglio di Amministrazione del Dignitatis Humanae Institute ha negato ogni addebito e confermato la regolarità della procedura di assegnazione del bene, rispondendo anche con tono ironico ad alcune delle illazioni e delle domande più delicate del giornalista di Rai 3 come quella che paragonava i comunisti agli omosessuali in quanto entrambi “contro natura”.
Altra notizia importante, oggi, la dà l’onorevole Luca Frusone: «A seguito del materiale che ho fornito al Ministero dei Beni Culturali sulle modalità opache dell’assegnazione della Certosa di Trisulti all’associazione Dignitatis Humanae Institute; in particolare, la vacuità di alcuni requisiti della DHI mostra come l’ex ministro dei Beni culturali Franceschini (PD) e i suoi uomini siano stati “distratti” nella procedura, l’attuale sottosegretario ai Beni culturali Vacca ha disposto tutti gli accertamenti del caso su eventuali omissioni, inadempienze e carenze tali da costituire anche causa di decadenza della concessione stessa. Ancora una volta dobbiamo cercare di riparare i danni dei nostri predecessori>>.
<<Per me– conclude il pentastellato- resta una questione di legalità: non si tratta di essere contro o a favore di qualcuno. I finti paladini che sollevano questioni solo in base alle convenienze politiche del momento non aggiungono nulla al nostro territorio>>.
Vedremo se ci saranno sviluppi a breve su una vicenda che, con le elezioni Europee all’orizzonte, si sta trasformando in un vero “caso” internazionale che vede la Ciociaria ignara protagonista.



«Stop Bannon»: corteo contro la scuola sovranista nell’abbazia di Collepardo
Una fondazione vicina all’ideologo di Donald Trump apre un centro strudi in un monastero benedettino. Corteo di protesta e perplessità del sindaco
shadow
«Stop Bannon», vade retro all’ideologo del sovranismo e della «destra alternativa» americana che sta per insediare in un monastero benedettino della Ciociaria una sua scuola di politica. Alcune centinaia di persone hanno dato vita a un corteo che dal centro del paesino di Collepardo (Frosinone) hanno raggiunto l’abbazia di Trisulti, che dallo scorso febbraio è stata concessa a una fondazione riconducibile a Bannon, già stratega della campagna elettorale di Donald Trump. Anche il sindaco di Collepardo, Mauro Bussiglieri, si dice preoccupato non solo dal fatto che il suo paese venga d’ora in avanti abbinato all’accademia sovranista ma anche dal fatto che l’abbazia rischia di essere chiusa alla frequentazione dei fedeli.
L’abbazia concessa da Franceschini
Trisulti è un luogo di meditazione e preghiera fondato addirittura nel VI secolo dopo Cristo e via via ingranditosi e dichiarato monumento nazionale nel 1876. Nel dopoguerra è cominciato il lento declino della comunità dei monaci al punto che nel 2017 un solo religioso era rimasto a vivere nell’abbazia immersa in una meravigliosa cornice di boschi e montagne. Ed è a questo punto che interviene Steve Bannon; quest’ultimo da tempo non fa mistero di ritenere l’Italia una sorta di «testa di ponte» del pensiero politico della nuova destra, specie dopo il successo elettorale di Lega e Cinquestelle ed ecco nascere l’idea della scuola politica dove formare i quadri della nuova classe dirigente. Bannon è stato più volte in Italia fin dai mesi precedenti il voto del 4 marzo. Anzi, la concessione dell’abbazia di Trisulti risale al febbraio di quest’anno: l’accordo per l’uso della struttura è stato sottoscritto con il ministero dei beni culturali quando il ministro era Dario Franceschini.
«Difensori della civiltà occidentale»
L’abbazia non è stata data in consegna a Steve Bannon in prima persona, ma a un soggetto religioso, il «Dignitatis Humanae Institute» che si definisce nel suo sito internet «difensore dei fondamenti giudaico-cristiani della civilizzazione occidentale». Lo stesso sito contiene in home page elogi alla politica di Donald Trump e un articolo di Bannon. Sempre nel sito del DHI Benjamin Harnwell, incaricato di sviluppare il progetto della scuola sovranista, chiarisce : «Trisulti sarà la casa di un numero di progetti che sottolineeranno il fatto che l’uomo è fatto a immagine di Dio. E il riconoscimento derlla “imago Dei” è una pietra angolare del fondamento giudaico cristiana della civiltà occidentale». Bannon dal canto suo proclama che : «L’occidente sta scivolano nelle tenebre e questo istituto lavorerà per resistere».
Chiusura al pubblico
Quali che siano i piani del leader dell’«alt-right» americana, l’avvio del centro culturale ha mobilitatogli tanto gli anti sovranisti quanto la comunità locale. I primi sono preoccupati che la località laziale - e di conseguenza l’Italia - diventino una sorta di «faro» europeo della nuova destra. La comunità locale, pur non tacendo anche questa preoccupazione, protesta contro la «privatizzazione» di un luogo meta della devozione popolare. «Siamo perplessi sul modo in cui sarà realizzata questa scuola. Non abbiamo paura di confrontarci con altri pensieri, di qualunque tipo, però ci atterremmo al fatto che la certosa, che per centinaia di anni è stata un punto di riferimento religioso, rimanga tale - dichiara il sindaco Bussiglieri -. Abbiamo già suggerito di tenere aperta almeno la chiesa, che è ancora consacrata e vi si celebra la messa. Abbiamo chiesto che pellegrini e turisti possano accedervi liberamente, mentre chi invece vuole una visita guidata la possa prenotare. Per ora non abbiamo avuto nessuna risposta».
La Certosa di Trisulti assegnata per 19 anni
a 100 mila euro l'anno
Mercoledì 7 Febbraio 2018 di Andrea Tagliaferri

La Certosa di Trisulti è stata definitivamente assegnata dal Ministero all'Associazione DHI - Dignitatis Humanae Institute, una fondazione di carattere religioso di orientamento conservatore vicina al Teocon Cardinale Burke. Sul sito del MIBACT, infatti, è stato pubblicato lo schema delle 4 concessioni di uso di beni immobili dello Stato di alto valore storico ad altrettante strutture senza finalità di lucro tra cui, appunto, il gioiello sito nel comune di Collepardo.
IL BANDO
Il bando del Ministero per i Beni Architettonici e Culturali intendeva individuare associazioni e fondazioni senza fini di lucro alle quali concedere in uso beni immobili del demanio culturale dello Stato, per i quali attualmente non era corrisposto alcun canone e che richiedevano interventi di restauro. La concessione d'uso è finalizzata alla realizzazione di un progetto di gestione del bene che ne assicuri la corretta conservazione, l'apertura alla pubblica fruizione e la migliore valorizzazione. Su questo punto era intervenuto già nel 2016 il Sindaco del piccolo comune ernico, Mauro Bussiglieri, segnalando che il bando aveva un vizio di partenza in quanto escludeva associazioni ed enti territoriali dalla gestione futura del bene. Anche oggi il Primo Cittadino conferma questa sua idea, anche se con un approccio più realistico, data per certa l'assegnazione, lancia un appello ai responsabili della DHI affinchè si aprano alla collaborazione con il Comune e con le associazioni che da anni si battono per il recupero e il rilancio della Certosa che possono mettere a disposizione le proprie competenze e conoscenze del territorio.
IL CONTRATTO
Stando al contratto che ha validità dal 4 dicembre scorso, l'associazione Dignitatis Humanae Institute verserà al Ministero 100 mila euro l'anno, per un canone mensile di poco più di ottomila euro, anche se dovrà provvedere alla manutenzione che, per le condizioni della struttura attuali, sono abbastanza importanti; il contratto ha validità di 19 anni. Contro questa assegnazione o, meglio, contro la propria esclusione dal bando per mancanza di documentazione idonea, l'Accademia Nazionale delle Arti del Castello Petroro di Todi, Comunità di monaci e laici appartenenti a Chiese Cristiane ortodosse, aveva tentato di opporsi tuttavia non si hanno notizie di ulteriori azioni ufficiali da parte dell'Accademia. Nella Certosa, attualmente, è presente solo un frate che presto andrà presso l'Abbazia di Casamari, mentre è già presente in qualità di ospite uno dei rappresentanti della DHI.

Inchiesta Siri, l'intercettazione c'è: l'audio sui 30mila euro che incastra il sottosegretario
Armando Siri (ansa)
In atto una "operazione confusione" per instillare il dubbio che la conversazione in cui Arata che parla di soldi al leghista non esista. Ma il file c'è ed è la base dell'azione dei pm
di CARLO BONINI E MARIA ELENA VINCENZI
25 aprile 2019
Sollecitata dal caso Siri, il sottosegretario alle Infrastrutture della Lega indagato dalla Procura di Roma per corruzione, e lesta nel soccorso dell'azionista di maggioranza del Governo, Matteo Salvini, si è messa al lavoro la "macchina del rumore". Una variopinta e ormai stagionata compagnia di giro - giornalisti, parlamentari, social influencer - specializzata in Operazioni Confusione. Quelle che devono accreditare come "falso" ciò che è vero. Come "inesistente" e "fantasma", ciò che al contrario esiste. Scommettendo sulla vecchia regola degli spin doctor. Se non puoi dimostrare che una cosa è falsa, fallo almeno credere.


Intervista
di maria elena vincenzi


A qualcuno il dubbio resterà. E dunque, ieri mattina, strilla il quotidiano la Verità, una "rivelazione choc" di uno dei pm romani consente di concludere che quanto raccontato da Repubblica e il Corriere della Sera nei giorni scorsi è "un fake". Che "l'intercettazione dei 30 mila euro contro Siri non esiste". "È un tarocco". Al punto - si spiega con la certezza dell'indicativo - che "nel fascicolo dell'inchiesta l'audio non c'è" e non è saltato fuori neppure "dopo giorni di scartabellamenti". Oibò. La faccenda è assai ghiotta. Non fosse altro perché - guarda un po' che coincidenza - cade proprio nelle ore in cui il premier di un Governo ormai politicamente dissolto avoca a sé la decisione sulla permanenza o meno nel gabinetto di Siri. Sotto un diluvio di chiacchiere, i fatti si dissolvono e la storia può essere riscritta a mano libera.

Dunque, come stanno le cose? Repubblica è tornata a sollecitare diverse e qualificate fonti della Procura di Roma con accesso agli atti di indagine che consentono di ricostruire con esattezza questa storia e i suoi punti documentalmente acclarati. A cominciare da quello dirimente.

Approfondimento
di SALVO PALAZZOLO

L'intercettazione del settembre 2018
Nel fascicolo è regolarmente trascritta (al punto che sarà presto depositata al Tribunale del Riesame) una lunga intercettazione ambientale del settembre 2018 in cui è incisa la conversazione tra l'ex deputato Paolo Arata e il figlio imprenditore Francesco. L'intercettazione - con buona pace di chi ciancia di "fantasmi" e ricerche affannose negli archivi - è stata registrata dalla Dia (che ne conserva copia), messa a disposizione dei pubblici ministeri, richiamata in un'informativa del 29 marzo 2019, e persino riascoltata nelle ultime ventiquattro ore dagli inquirenti, per verificarne, con esito positivo, il tenore e il contenuto. Che - spiegano due diverse fonti di Procura - "hanno un'interpretazione univoca. La stessa che è a fondamento del reato contestato all'indagato e al provvedimento di perquisizione di giovedì della scorsa settimana". Fissiamo dunque un primo punto. Non solo l'intercettazione esiste, ma è proprio il suo contenuto quello su cui si fonda l'iscrizione al registro degli indagati di Siri. Dunque, è "la conversazione". È la pietra angolare dell'imputazione. Perché è lì che si fa riferimento a Siri e ai 30 mila euro.
 
La conversazione
Come riferiscono ancora fonti di Procura, "la conversazione intercettata non consente di stabilire se i 30 mila euro siano stati effettivamente pagati o, al contrario, soltanto promessi. Ma questo, sotto il profilo della contestazione del reato, non cambia le cose". A ben vedere, la "macchina del rumore" e chi allegramente è salito sopra la sua giostra avrebbero potuto agevolmente evincere l'esistenza del dialogo anche solo dalla lettura del decreto di perquisizione (il ministro dell'Interno non deve avere avuto il tempo di farlo, visto che ha preferito gigioneggiare chiedendosi se esista o meno l'intercettazione). Ma è anche vero che era un dettaglio non funzionale all'Operazione Confusione.

Scrivono infatti il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Mario Palazzi: "il fumus (del reato, ndr.) è costituito, tra l'altro, dal contenuto di alcune conversazioni tra l'indagato Paolo Franco Arata ed il figlio Francesco (alla presenza anche di terzi) nelle quali si fa esplicitamente riferimento alla somma di denaro pattuita a favore di Armando Siri per la sua attività di sollecitazione dell'approvazione di norme che lo avrebbero favorito".

Per essere "una presunta conversazione", peggio, "un tarocco", quello di Repubblica, non è male. Ma, visto che ci siamo, si può aggiungere qualche altro dettaglio. Il contenuto della conversazione tra Arata e il figlio (che, come scrivono i pm, non è per altro l'unica) non consente, per dirla con le parole di una fonte inquirente, "nessuna altra spiegazione plausibile che non sia quella che le è stata attribuita è che è evidente dall'ascolto". Così come "è certo che è a Siri che i due si riferissero in quella discussione". "L'unico modo che Arata avrebbe per suggerire una spiegazione diversa - conclude la fonte - sarebbe sostenere che mentre diceva quelle cose, scherzava. Peccato, però, che non si trattasse di una chiacchiera al bar, ma di un dialogo con il figlio sui molti e diversi affari della famiglia. Tra cui, appunto, quelli che riguardavano il ruolo di Siri".

I riscontri
La si potrebbe chiudere qui la pagliacciata velenosa dell'intercettazione che "non c'è". E tuttavia l'inchiesta su cui è cominciato il tiro al piccione ha acquisito anche altro. Partendo da quel dialogo carpito dalla Dia - a seguito del quale per altro è stato indagato il sottosegretario alle infrastrutture - gli investigatori hanno ricostruito il contesto del rapporto tra gli Arata e Siri e le mosse di quest'ultimo nel cercare, per via legislativa, di introdurre norme che garantissero un sistema di incentivi per il cosiddetto mini eolico con tariffe simili a quelle precedenti il 2017. Cosa che avrebbe ingrassato il business degli Arata e del loro socio occulto in odore di mafia Vito Nicastri. Di più: nel fascicolo dei pm ora ci sono anche i verbali dei funzionari del Ministero dello Sviluppo Economico che hanno confermato le pressioni subite dal sottosegretario. Chi sa che la "macchina del rumore" ora non faccia sparire anche quelli.


“Armando Salvini”: il caso Siri e il gioco delle parti tra Lega-M5s
Sazi e quanto mai appesantiti dal pranzo pasquale, ci si rituffa nella polemica politica. Ieri, mentre tutti eravamo intenti a goderci un po’ di pausa, tra un agnello e uno spumante, tra una colomba e una Instagram story, c’è stato anche chi non si è fermato dallo strenuo lavoro quotidiano. E a costui, dobbiamo dare atto di tanta dedizione alla causa. Lui, è Luca Morisi, lo spin doctor di Matteo Salvini. In poche parole, il generatore automatico di post, tweet (e cazzate) dell’attuale ministro dell’Interno.
Morisi, benché non nuovo alle cialtronate, l’ha sparata grossa anche ieri. Non riporteremo alcun link al post su Facebook da lui prodotto, perché sarebbe solo un favore in termini di audience che faremmo allo stesso Morisi. Ci limitiamo semplicemente a dire che il nostro Luca ha risposto ai detrattori del ministro degli Interni mostrando Salvini alle prese con un mitra. Quindi, avrebbe intimidito gli oppositori armando Salvini.
Luca Morisi, social media manager di Matteo Salvini  (Foto: REUTERS/Alberto Cabodi)
L’indignazione è più che lecita, anzi doverosa. Tuttavia, lo schema di Morisi è chiaro e pare proprio racchiudersi nella parola e nel nome “Armando”: armando Salvini, Morisi vuole distogliere l’attenzione dal caso di Armando Siri. Armare Salvini è la buona (ed ennesima) arma di distrazione di massa per nascondere sotto al tappeto la polvere.
Facciamo un riepilogone della vicenda. Alcuni giorni fa si è scoperto che nel “Governo degli onesti” c’è qualcuno che onesto forse non lo è del tutto. Stiamo parlando di Armando Siri, sottosegretario con delega ai Trasporti, uno dei vice di Toninelli (quindi un ruolo di grande responsabilità in tutti i sensi). Siri non è uno stinco di santo: il 20 maggio 2014 patteggiò presso il Tribunale di Milano una condanna a 2 anni e 6 mesi per bancarotta fraudolenta. Una pena, questa, che venne poi ridotta a 1 anno e 8 mesi per la buona volontà dello stesso Siri nel chiedere il patteggiamento.
Pochi giorni fa, la Procura di Roma ha iscritto il suo nome nel registro degli indagati per corruzione. Nello specifico, in cambio di una mazzetta da 30mila euro, Siri avrebbe favorito con provvedimenti politici l’imprenditore del campo energetico Paolo Arata (anche lui indagato assieme a Siri). Ad aggravare la situazione di Siri, c’è il fatto che Paolo Arata sarebbe – come sostengono i giudici di Palermo – il prestanome di Vito Nicastro. Nicastro è definito il “re” dell’eolico nel Sud Italia e sarebbe direttamente legato al boss mafioso Matteo Messina Denaro. A riprova del legame tra Siri e Arata, ci sarebbe la stessa attività di Siri nelle vesti di sottosegretario.
L’ideologo della Flat Tax aveva spinto più volte nei mesi scorsi per far passare un emendamento alla legge di Bilancio. Il tutto, per modificare il decreto ministeriale del 2016 che regolava l’assegnazione degli incentivi agli impianti di energie rinnovabili. Siri premeva per allargare la platea delle imprese beneficiarie anche ai soggetti che non avevano rispettato i termini di presentazione dei documenti per la richiesta di incentivo. E tra questi nuovi beneficiari ci sarebbero state, guarda caso, anche le società di Paolo Arata. I reiterati tentativi di Siri vengono però bloccati uno a uno dagli esponenti grillini del Governo.
Armando Siri, sottosegretario ai Trasporti
Ci sarebbero poi fatti evidenti che proverebbero il ruolo di collegamento svolto dal bancarottiere sottosegretario Armando Siri tra la Lega e Paolo Arata. Quest’ultimo si avvicinò al partito di Salvini grazie all’invito, che ricevette dallo stesso Capitano, a partecipare al convegno programmatico di Piacenza del luglio 2017. In quell’occasione, ad Arata venne perfino affidata la scrittura del programma leghista sull’Energia. In più, il figlio di Paolo Arata, Federico, risulterebbe ad oggi come consulente economico e agli affari internazionali del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, praticamente il “numero due” della Lega.
Le responsabilità di Arata e Siri sul caso della corruzione verranno ovviamente accertate nelle sedi giudiziarie. Tuttavia, il caso getta ulteriori ombre sulla Lega, già gravata dalla storica vicenda giudiziaria dei 49 milioni di rimborsi elettorali rubati dalla passata gestione Bossi&Co. Il caso Siri-Arata diverrà probabilmente merce di scambio domani, martedì, quando andrà in scena il Consiglio dei Ministri per l’approvazione del Ddl Crescita.
La posta in palio è chiara: da una parte, i Cinquestelle vogliono approvare il piano per alleggerire il debito del Comune di Roma, a cui la Lega si oppone; Matteo Salvini, dal canto suo, vuole salvare Siri dalle dimissioni, richieste a gran voce dai Cinquestelle. Questi due punti sono la fonte di attrito tra i due azionisti di Governo. Tuttavia, non si arriverà a una crisi: lo scontro probabilmente rientrerà nel gioco delle parti, nell’eterna lotta tra i due movimenti (Lega e Cinquestelle) che sono allo stesso tempo alleati (di Governo) e avversari (alle prossime elezioni europee). Una situazione che pare un paradosso, ma che consente ai due partiti di incarnare contemporaneamente due ruoli: quello di “maggioranza di Governo” e quello di “opposizione a sé stessi”. Il tutto, rubando di volta in volta la scena a chi l’opposizione dovrebbe farla veramente, ovvero il PD, Forza Italia e le altre forze di minoranza.

Palermo, la richiesta della Procura per l’imprenditore Vito Nicastri Vito Nicastri è stato arrestato nel 2017 per una vicinanza al boss Matteo Messina Denaro, finanziando la sua latitanza. Inizialmente l’imprenditore era stato sottoposto ad una misura ai domiciliari ma l’imputato ha continuato a fare il suo lavoro violando le imposizioni dei giudici tanto da essere portato in carcere. La richiesta di primo grado da parte dei magistrati è di 12 anni ma il lungo percorso giudiziario dovrebbe proseguire nei prossimi mesi. In caso di condanna i legali potrebbero ricorrere in Appello e in Cassazione per avere uno sconto di pena. L’inchiesta andrà avanti per chiarire la posizione di altre persone coinvolte in questa vicenda come per esempio quelle di Arata e del sottosegretario Siri. I contatti tra l’imputato e l’esponente leghista sarebbero avvenuti con la collaborazione di Arata per sponsorizzare i progetti che aveva in comune con l’imprenditore siciliano. Nelle tasche di Siri – secondo gli inquirenti – sarebbero entrati 30mila euro per favorire il via libera ad un emendamento di suo interesse per avere delle sovvenzioni in favore delle aziende in comune tra Arata e Nicastri.

 fonte foto copertina https://www.facebook.com/francesco.nicastro

Continua su:
https://newsmondo.it/palermo-processo-nicastri/cronaca/?refresh_cp


Banca Nuova, l’inchiesta di Report sulla banca dei Servizi Segreti. Era di Banca Popolare di Vicenza, ora è di Intesa Sanpaolo
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13 Novembre 2018
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Pubblicato il 12 novembre alle 9.23, aggiornato con link a video il 13 alle 2.47. Vi proponiamo qui il link alla sintesi dell’inchiesta di Report su Banca Nuova ex BPVi 
la banca dei Servizi Segreti (dal minuto 2.50 in poi) e qui il link per l’intera inchiesta da noi riprodotto su FB. L’inchiesta è stata annunciata su Il Fatto Quotidiano con l’articolo di sotto da noi riportato, che ne anticipava i contenuti di massima, e il cui focus i nostri lettori conoscevano in nuce fin da sabato 18 novembre 2017 quando su VicenzaPiu.com titolavamo: “I soldi del Sisde gestiti dalla sede di Roma della palermitana Banca Nuova della BPVi di Zonin. È un (im)puro caso…“. 

Oggi la banca dei Servizi, se fosse confermata da chi di dovere la tesi documentata con l’intervista sotto copertura a un ex manager di Banca Nuova da parte di Paolo Mondani per il programma di Sigfrido Ranucci su Rai 3, è di proprietà di Intesa Sanpaolo… dopo l’acquisto per un euro delle “parti buone” delle ex popolari venete.

L’ANTICIPAZIONE
“Da Pollari a Montante: ecco la banca dei Servizi Segreti”
“REPORT” – NELLA PUNTATA DI STASERA LE CONFESSIONI DI UN EX MANAGER DI BANCA NUOVA E GLI INTRECCI CON L’EX VICEPRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA
Banca Nuova fu ‘pensata’ e creata dai servizi segreti di Nicolò Pollari, capo del Sismi dal 2001 al 2006, e sarebbe stata una centrale informativa del ‘lavoro’ di Antonello Montante, l’ex vicepresidente di Confindustria arrestato a maggio dai giudici di Caltanissetta con l’accusa di aver creato una rete spionistica per tenere sotto scacco politici, imprenditori e giornalisti. Lo afferma un ex manager di Banca Nuova intervistato sotto copertura da Paolo Mondani per la puntata di Report che andrà in onda stasera su Rai3.
Il testimone ricorda che a Roma, a via Nazionale 230, agli inizi degli anni 2000 “c’era l’ufficio dove Pollari aveva piazzato Pio Pompa a costruire dossier e nello stesso palazzo c’era la direzione di Banca Nuova” e collega Montante alla rete di Pollari-Pompa: “Montante fu un investimento per i Servizi“.
Il programma di Sigfrido Ranucci affronterà ascesa e caduta di Antonello Montante, per anni leader di Confindustria Sicilia ed a lungo paladino dell’antimafia in nome degli imprenditori che hanno detto ‘no’ al pizzo, da maggio in carcere per associazione a delinquere e corruzione. Nella sua casa gli investigatori hanno trovato archivi e dossier sui suoi avversari e nemici, e nella sua rete di informatori figurano i vertici dei servizi segreti civili, esponenti delle forze dell’ordine, il senatore Renato Schifani e l’ex governatore della Sicilia Rosario Crocetta. Il processo di Montante inizierà il 15 novembre con il rito abbreviato.
Alla ricerca di risposte alle domande su chi abbia creato il mito di questo falso eroe antimafia e a cosa serviva davvero la rete spionistica gestita da Montante, Mondani si è imbattuto in un testimone che ha rivelato notizie inedite sui rapporti tra l’ex vicepresidente di Confindustria e Banca Nuova, l’istituto di credito siciliano fondato da Gianni Zonin, l’ex presidente della Banca Popolare di Vicenza. “Fu Pollari a tenere a battesimo Banca Nuova. I conti dei servizi stavano da noi ma non si trattava di un rapporto solo fiduciario. La banca è stata una vera e propria creazione dei servizi… La fa Zonin, ma la pensano i servizi: cioè Pollari, poi Giorgio Piccirillo direttore dell’AISI e dopo di lui il generale Arturo Esposito. Erano grandi amici della banca, avevano i conti da noi ma poi appoggiavano Montante. Tanto che Esposito è indagato con lui“, dice l’uomo che il programma indica come ‘ex manager’. L’uomo poi aggiunge che Montante in Banca Nuova “aveva ereditato un meccanismo oliato. Perché Montante è stato un investimento per i servizi. Intanto, lui e Pollari si incontravano. Tanto che Banca Nuova era una centrale informativa“. Secondo la ricostruzione raccolta da Report uomini dei servizi segreti si vedevano lì e passavano informazioni ai nostri dirigenti (di Banca Nuova, ndr), che poi le facevano filtrare ai soggetti interessati dalle indagini della magistratura. E nella nostra filiale di Roma i funzionari dell’ambasciata americana e gli agenti Cia erano di casa. Diciamo che eravamo noi la banca dei nostri servizi e della Cia“.
Banca Nuova era diventata il più grande istituto di credito del Sud e lì avevano i loro conti “la famiglia Ciancimino, l’ex ministro Angelino Alfano e la moglie, la KSM di Basile e anche Finmeccanica. Una banca di sistema? Di più. Le banche di sistema fanno favori alla classe dirigente. Noi eravamo il sistema. La classe dirigente la creavamo noi. Mangiavamo e facevamo mangiare“. Da dove proveniva tutto questo potere? “Gianni Letta presenziava ad alcuni Cda di Banca Nuova e a quale titolo me lo chiedo ancora oggi, ma la potenza della banca proveniva da lì“.

  Nicola Borzi, uno dei relatori di punta nel convegno “Libertà di stampa, la prima fake news. Il caso banche, tra blandizie e intimidazioni” organizzato da VicenzaPiù per il suo 13° compleanno, racconta la storia di banche tra mafia e servizi segreti in cui  Banca Popolare di Vicenza, con la sua Banca Nuova, è protagonista e che a lui, come all’altro nostro ospite Francesco Bonazzi,
A maggio del 2000 -dice Borzi – Banca Nuova viene costituita in Sicilia. A un certo punto qualcuno suggerisce a Banca Nuova e, per non parlare troppo per un girarci intorno, ai vertici del gruppo Banca Popolare di Vicenza di comprare una banca in Sicilia.
In quel periodo come scrivevano molti giornali grossa parte del settore bancario siciliano in vendita quindi ci sono banche che vengono comprate da istituti del Nord del Centro cioè il Banco di Sicilia che viene preso da Unicredit. Ci sono altre operazioni.
Su quale banca va a puntare gli occhi il gruppo Popolare di Vicenza con Banca Nuova? Sulla banca, scusate l’espressione, più sputtanata di tutta la Sicilia. La banca dove ci sono capitali mafiosi a bizzeffe da decenni, una banca nella quale l’otto per cento del patrimonio è in mano a un tizio che nel 96 si scopre che è il prestanome di Cosa nostra a Palermo e gli vengono sequestrati 1.600 miliardi di lire che amministra attraverso una rete di prestanome. La Banca Popolare di Vicenza sceglie di comprarsi la Banca del Popolo di Trapani
Un giovane Gianni Zonin sulla sfondo di una sua tenuta in Sicilia
E parlo di Trapani non a caso perché è una provincia ad altissima concentrazione mafiosa, di una mafia che ha due o tre livelli: uno agricolo, e qui l’agricoltura non c’entra per caso, uno di produzione di eroina, la più grande raffineria di eroina di tutta Europa era in provincia di Trapani, e un livello di massoneria dove la mafia e la massoneria si parlavano…“.
Oltre a quanto ha scritto nel vicino passato Borzi e a quanto ha rivelato Report in pratica sempre su questa storia vediamo di dare un nostro contributo… tecnico.
Ebbene ci siamo letti, insieme a qualche esperto, il prospetto informativo dell’operazione di acquisto della Banca del Popolo di Trapani da Parte di Banca Nuova BPVi, il documento cercato e trovato (sul web e non in archivi segreti) da Borzi a Vicenza con chi scrive, qui ripreso dopo averlo già anticipato il 12 marzo nell’articolo di cui alla premessa e di cui vi riferiamo, cercando di essere comprensibili, alcune “caratteristiche” grazie all’aiuto dei suddetti esperti.
Senior Partner di Adacta Giacomo Cavalieri
Il documento, firmato a ottobre 2000 dal presidente della BPVi, Gianni Zonin, e dal presidente del collegio dei sindaci, Giacomo Cavalieri, fondatore e partner storco dello studio Adacta di Vicenza, presente costantemente con i suoi professionisti, più volti sanzionati da Consob, nei collegi della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, riporta già molte informazioni di rilievo della sua “testata”:
Banca del Popolo di Trapani, le vecchie azioni
OFFERTA PUBBLICA DI ACQUISTO su azioni ordinarie della Banca del Popolo S.c.r.l. ai sensi dell’art. 102 del D.Lgs. n. 58/98 Intermediari incaricati: Banca del Popolo S.c.r.l. Banche del Gruppo Bancario Banca Popolare di Vicenza: – Banca Popolare di Vicenza S.c.p.a.r.l. – Banca Idea S.p.A. – Banca Nuova S.p.A. Azioni oggetto dell’offerta: n° 3.237.369 – god. 1/1/2000 Corrispettivo per azione: Lire 86.489 Durata: dal 2 novembre 2000 al 24 novembre 2000“.
Detto che l’operazione cash ammonta, quindi, a 279 miliardi 996 milioni e 807.441 delle vecchie lire (diciamo per semplicità 280 miliardi di lire tutti in tasca cash ai vecchi soci), viene da sorridere nel leggere questi prospetti d’altri tempi: 30 pagine di prospetto contro le mille e passa pagine dei prospetti “odierni”.
L’operazione, intanto, deve essere contestualizzata: siamo agli inizi degli anni 2000, prima ancora delle “torri gemelle”, prima della più grande crisi economico finanziaria che ha colpito il pianeta, scoppiata nel 2008 con Lehman Brothers.
Gli sportelli bancari valevano ancora e tanto. Le banche che volevano crescere, anche in fretta, sviluppavano piani industriali che puntavano alla crescita per mezzo di acquisizioni. La stessa Popolare di Vicenza è protagonista dell’acquisizione di 61 sportelli di Ubi nel 2007 a prezzi, anche qui, d’altri tempi (più di 10 milioni di euro a sportello).
Banca Popolare di Vicenza nel 1998 aveva chiuso una “strategica” operazione di sistema: entrava nel capitale di Bnl, con Gianni Zonin che ne diventava vice presidente ingraziandosi, come ha detto l’11 marzo al nostro convegno Francesco Bonazzi, sistema e vigilanza (lì c’erano i conti dei servizi prima che la banca divenisse francese e che, quindi, i conti dovessero migrare lontano dagli stranieri e proprio verso… Banca Nuova by Zonin).
Banca del Popolo di Trapani può sicuramente rientrare nel catalogo delle operazioni di sistema quando la vigilanza di Bankitalia, mi dicono i miei interlocutori bancari (con la B maiuscola), sapeva “giocare a monopoli” con competenza.
Non a caso una delle pochissime risposte date con chiarezza, anche se “siculamente” senza nomi e cognomi, alla Commissione d’Inchiesta Parlamentare sulle Banche dal quasi sempre “smemorato” presidente, di rappresentanza?, della Popolare Vicentina fu “mi fu consigliato” quando chiesero come fosse nata l’operazione siciliana di Banca Nuova a chi faceva mettere sempre a verbale che mai era al corrente di cosa decidessero in BPVi i suoi uomini in 20 anni di suo governo
Tornando ai 280 miliardi di lire cash pagati nel 2000 per il 100% delle sue 3.237.369 azioni ognuna pagata 86.489 lire anche a soci, che, per i documenti citati da Borzi e presenti in vari archivi, sguazzavano tra mafia e massoneria, la Banca del Popolo di Trapani quasi sicuramente, dalle 30 scarne pagine di notizie ricavabili dal prospetto, soffriva di credito deteriorato pur essendo ben patrimonializzata: il totale delle partite anomale nette ammontava al 30 giugno 200 a 142.083.000.000 (142 miliardi), la somma dei Crediti in sofferenza (valore netto) per 99.604.000.000 (99 miliardi dopo rettifiche per 93.347.000.000) e di altri crediti dubbi (valore netto) per 42.479.000.000 (42 miliardi dopo rettifiche per 4.372.000.000).
La debolezza  è ben evidente da quanto riportato a fine pag 21 e pagina 22 del prospetto. Le sofferenze su crediti netti sono a un significativo 17,2% al 31 dicembre 1998, all’11,01% a giugno 1999, al 14,17% al 31/12/99 e al 14,38% al 30/6/2000 contro un sistema che si attestava a indici tra il 4 e il 5 % (per non parlare dei coefficienti ancora peggior considerando i crediti dubbi).
Nel prospetto, vien da sorridere (piangere?), si liquida la questione dicendo che il rapporto sofferenze/impieghi si mantiene su livelli superiori alla media di sistema: Rif pag 22 del prospetto.
E queste debolezze non potevano non essere note anche alla vigilanza…. talmente erano macroscopiche anche se la banca risultava ben patrimonializzata con indici di solvibilità alti rispetto ai minimi vigenti al tempo (tabella a pag 23 del prospetto).
Banca d’Italia sapeva, però, giocare a monopoli sicuramente orientando una banca in crescita (Popolare di vicenza) all’acquisizione strategica (?) della banca trapanese e Banca Popolare di Vicenza si è prestata ai saggi consigli della vigilanza visto che la strategia relazionale era da sempre nelle corde di Zonin, basti ricordare l’operazione Bnl del 1998.
Qualche credito “scadente” della banca del popolo non poteva sicuramente incidere, all’epoca (ma poi abbiamo visto cosa è successo con questo modo di procedere fin dall’inizio…), nel bilancio del gruppo bancario vicentino e l’operazione sulla Banca del Popolo viene fatta cash.
Quindi tutti i soci aderenti vengono liquidati con moneta sonante. Una volta si usava cosi’ … basti ricordare l’operazione Banca Popolare di Arzignano con la Popolare di Verona che rese ricchissimi gli arzignanesi…
Quindi niente più che una semplice, papale-papale operazione di sistema radiocomandata dalla vigilanza per una silente sistemazione di una banca scricchiolante.
O no?
Nulla di scandaloso per quanto riguarda il prezzo pattuito e le modalità di liquidazione cash, secondo le regole del tempo, ma sicuramente Trapani già allora impegnava sotto l’aspetto “relazioni” con un tessuto territoriale “mafioso” anche se, sicuramente, Zonin si sentiva a quel tempo forte e in grado di controllare questa “deviazione” (vedi ancora le dichiarazioni di Borzi)
Il presidente, di rappresentanza, aveva ben chiara la propria strategia di crescita dimensionale e relazionale e Trapani rispondeva bene a queste due cose…
Strategia ben descritta in poche righe a pag. 27 del prospetto dalla BPVi in nome di Banca Nuova ma così rappresentata, lo ricordiamo, dal collega Nicola Borzi l’11 marzo:
La Banca Popolare di Vicenza sceglie di comprarsi la Banca del Popolo di Trapani. E parlo di Trapani non a caso perché è una provincia ad altissima concentrazione mafiosa, di una mafia che ha due o tre livelli: uno agricolo, e qui l’agricoltura non c’entra per caso, uno di produzione di eroina, la più grande raffineria di eroina di tutta Europa era in provincia di Trapani, e un livello di massoneria dove la mafia e la massoneria si parlavano…“.
i legami con la mafia e i poteri politici (e molto spesso, curiosamente, con vicende legate alla produzione vitivinicola) della Banca del Popolo di Trapani appaiono già negli anni Sessanta
Banca Nuova - BPVi: «Una loggia occulta contro lo Stato»
Banca Nuova - BPVi: «Una loggia occulta contro lo Stato»
È l'allarme lanciato da Nicola Morra, presidente della commissione parlamentare antimafia dopo le rivelazioni di Report sull'affaire Montante
Redazione
02 maggio 2019 10:59 “

·         Banca Nuova - BPVi: «Una loggia occulta contro lo Stato»
·         «La politica tutta dovrebbe avere un sussulto e far sentire la propria voce davanti al dipanarsi di una e propria vera loggia che agisce contro lo Stato. Farò quanto in mio potere per andare fino in fondo».
·         È un grido d'allarme senza precedenti e che evoca lo spettro della P2 quello affidato il 30 aprile alle colonne del quotidiano Il Sicilia dal senatore del M5S Nicola Morra, il presidente della commissione parlamentare antimafia. Un grido d'allarme che irrompe sulla scena dopo le clamorose rivelazioni mandate in onda non più tardi del 29 aprile su Rai tre da Report.

·         L'ANTEFATTO

·         Lunedì era stata la popolare trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci a parlare di una serie di trame occulte, avvenimenti scabrosi, tentativi di omicidio, ricatti, dossieraggi illegali, interessi inconfessabili, di rapporti con la mafia, con pezzi delle istituzioni, della politica, delle forze dell'ordine, dei servizi segreti italiani, americani e israeliani. Questo giallo a tinte fosche nasce nel solco della inchiesta, che è poi sfociata in un processo senza precedenti al tribunale di Caltanissetta, che vede tra i principali imputati Antonello Montante, già numero due di Confindustria nazionale. Il quale sarebbe finito al centro di un sistema di potere sapientemente ordito, tra gli altri, dalle alte sfere dei servizi segreti italiani, forse anche con l'appoggio di altre entità straniere.
·         Tra le stelle più brillanti di questo firmamento c'è Banca Nuova, l'istituto di credito siciliano filiato direttamente in terra di Trinacria dalla Banca popolare di Vicenza per espressa volontà dell'allora presidente Gianni Zonin, oggi a processo per il crac dell'istituto di via Framarin, finito, come Veneto banca, in uno dei più imponenti tracolli bancari italiani degli ultimi tempi. Un tracollo che ha visto poi i brandelli dei due istituti fagocitati da Banca intesa.
·         Durante la puntata, come peraltro era stato anticipato a Vicenzatoday.it dall'autore Paolo Mondani  si è parlato lungamente di Zonin. Secondo l'ex direttore generale di Banca Nuova Adriano Caoduro, intervistato da Mondani, quando proprio Zonin molti anni fa decide di sbarcare in Sicilia «diviene inviolabile». Tanto che in quella puntata, densa di fatti, circostanze e testimonianze «pesanti», vengono menzionati i rapporti con la politica ai più alti livelli, con le istituzioni, con il gotha della Sicilia che conta. 
·         Si tratta di uno scenario per molti aspetti ancora da chiarire in relazione al quale proprio il senatore Morra ha promesso che attiverà la commissione antimafia. In questo contesto basterà ricordare alcuni passaggi principali della puntata quando si parla di Banca nuova come di una creatura dei servizi segreti, delle vicinanze tra la mafia di Bagheria ed alcuni ambienti prossimi a Banca nuova, dei prestiti di quest'ultima ad imprenditori di primo piano della regione isolana, a partire dai nomi più altisonanti della editoria locale, fino ad arrivare alla vicenda, per certi versi ancora oscura, del passaggio della popolare di Trapani alla galassia della BpVi. Trapani peraltro è da tempo conosciuta come la città delle cosiddette logge irregolari. Una di queste poche settimane fa è pure finita al centro di un maxi scandalo che riguarda tra i tanti, politici, poliziotti, professionisti e imprenditori i quali erano venuti illecitamente a conoscenza su una serie di indagini che li riguardavano e nel novero delle quali si parla anche di giudici di obbedienza massonica.
·         Non va poi dimenticato che Caoduro non è nuovo a dichiarazioni shock. Nel luglio del 2017, intervistato da La Verità , descrisse un roveto circostanze inquietanti nella gestione della galassia BpVi-Banca nuova identificando proprio in quest'ultima un grumo di interessi poco trasparenti che arrivavano a lambire una serie di ambienti che contano, ma pure ambienti riferibili al mondo sindacale bancario, Fabi in primis. Se a tutto ciò si aggiungono le parole del conduttore di Report Ranucci il quale parla apertamente di una banca in cui si intersecavano le vicende della mafia e quelle del movimento antimafia nonché di uno Stato che deve avere il coraggio di processare sé stesso anche in ragione del fatto che la puntata è stata lì lì dallo sfiorare alcuni tra i patti più inconfessabili sui quali si regge la storia più o meno recente della penisola, è facile intuire quanto, in questo mosaico, abbiano pesato le tessere che per anni hanno viaggiato lungo l'asse Vicenza-Roma- Palermo-Trapani-Caltanissetta.

·         L'ALLARME DEL PRESIDENTE

·         Ed è alla luce di tutto ciò che il presidente Morra fa riferimento ad una situazione di grave rischio per la democrazia in cui, senza nominarla esplicitamente, evoca gli spettri della loggia P2. «Il caso Montante - rimarca il senatore - lascia sgomenti per la capacità di infiltrazione nelle istituzioni, ma ancora di più lascia sgomenti il silenzio che si vuole far calare su questo processo e le continue e devastanti rivelazioni che stanno venendo a galla». Secondo lo stesso Morra (in foto) la puntata di Report realizzata da Mondani continua a produrre squarci di verità di commistioni tra apparati dello Stato, imprenditoria e personaggi in odore di mafia. A questo, secondo l'esponente del M5S, è doveroso ricordare i risultati cui è giunta la relazione firmata da Claudio Fava, presidente della «Commissione antimafia della Assemblea regionale siciliana» che parla di un vero e proprio governo parallelo . «Ecco nonostante tutto - conclude Morra - tutto tace». Si tratta di parole che pesano come pietre e che valgono per le istituzioni e per la società civile, in Sicilia, nel Veneto e ovviamente anche a livello nazionale.

·         I PRECEDENTI

·         In realtà Morra aveva già lanciato un grido d'allarme in relazione alle connivenze tra mafie e sistema bancario. E lo aveva fatto, unico tra i relatori, durante un lungo convegno organizzato a Verona a metà marzo. La bacchettata del senatore era dovuta al fatto che le istituzioni all'epoca poco o nulla dissero dopo un'altra puntata di Report, era il 12 novembre 2018, firmata sempre da Mondani, nella quale si erano poste le basi per le conclusioni alle quali Rai tre è giunta pochi giorni fa.
·         Tra i silenzi che dopo la prima puntata di Report sull'affaire Montante colpirono di più e che oggi si sono mantenuti tali, c'è quello della Confindustria berica alla cui presidenza siede oggi Luciano Vescovi. Il quale durante l'era Zonin ricopriva peraltro la carica di presidente di Banca nuova.
·         Anche gran parte della stampa, sia nazionale sia veneta, all'epoca non diede riscontro rispetto agli scenari descritti da Report. Tuttavia a novembre dello scorso anno, nonostante una serie di silenzi generalizzati ci fu qualcuno che prese una posizione netta. Si tratta di Enzo Guidotto, presidente dell'Osservatorio veneto sul fenomeno mafioso. Il quale non solo segnalò alla magistratura i fatti raccontati da Rai tre affinché potesse vagliare eventuali profili di rilevanza penale.
·         Di più, alla emittente siciliana «La prima tv» Guidotto rilasciò una lunga intervista durante la quale si chiese se dietro alla campagna di stampa contro l'ex giudice vicentino Cecilia Carreri, tra le poche toghe che secondo Guidotto cercò di veder chiaro sul sistema Zonin, ci fosse lo zampino dei servizi di sicurezza . In quell'occasione Guidotto si lamentò anche del silenzio che la politica aveva fatto calare sul caso. Un silenzio denunciato giustappunto anche da Morra e, nella recente intervista rilasciata a Vicenzatoday.it, denunciato pure dallo stesso Mondani.

·         TIMORI PER IL PROCESSO

·         Frattanto a Vicenza vanno avanti i procedimenti giudiziari che riguardano il tracollo dell'istituto di via Framarin. L'altro giorno, i quotidiani del Gruppo Espresso hanno diffuso la notizia per cui i pubblici ministeri che gestiscono l'inchiesta (sono il dottor Gianni Pipeschi ed il dottor Luigi Salvadori) hanno chiesto l'archiviazione per una ventina di indagati. Tra queste richieste di archiviazione figurano Giovanna Dossena, Franco Miranda, Andrea Monorchio, Roberto Zuccato, Giovanni Zonin, Giuseppe Zigliotto, Marino Breganze, Giorgio Tibaldo, Gianfranco Pavan, Nicola Tognana, Giovanni Fantoni, Fiorenzo Sbabo, Maurizio Stella, Vittorio Domenichelli, Alessandro Bianchi, Maria Carla Macola e Paolo Angius. Oltre a loro i pm hanno chiesto al gip di mandare in archivio anche le posizioni di tre componenti del Collegio sindacale: Giovanni Zamberlan, Giacomo Cavalieri e Laura Piussi.
·         I magistrati, detto in soldoni, ritengono che questi manager non fossero informati della condotta scriteriata che la pubblica accusa ritiene invece abbia caratterizzato l'operato di Zonin e degli altri top-manager finiti a processo. Questa notizia però, a Vicenza come nel resto del Veneto, è stata vista «con una certa inquietudine» non solo dalla cosiddetta platea degli azionisti azzerati. Ma anche da una parte di quel mondo, specie dei professionisti, che per ovvie ragioni sta seguendo, più o meno direttamente i risvolti giudiziari del tracollo delle ex popolari venete.
·         L'avvocato vicentino Renato Ellero, già docente di diritto penale all'università di Padova ed ex componente della Commissione parlamentare antimafia quando sedeva sugli scranni di palazzo Madama, dice: «Leggo in queste ore delle tante richieste di archiviazione planate sul procedimento relativo al cosiddetto crac BpVi. Il cielo non voglia che ci sia qualche legame col ginepraio di interessi inconfessabili svelato da Report nell'ambito dell'affaire Montante-Banca Nuova».
·         Peraltro in passato nel Veneto l'ombra dei servizi si era già allungata su una inchiesta penale in pieno svolgimento. Basti pensare, come scrisse Padovaoggi.it , a quanto accadde nel 2014 con l'affaire Mose-Galan.
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ZONIN E LA BANCA DEI SERVIZI SEGRETI – E’ SICILIANA E SI CHIAMA “BANCA NUOVA”,
ZONIN E LA BANCA DEI SERVIZI SEGRETI – E’ SICILIANA E SI CHIAMA “BANCA NUOVA”, E’ CONTROLLATA DALLA POP VICENZA, E FINO AL 2014 GESTIVA I FONDI DEGLI 007 DALL’UNICA FILIALE DI ROMA – L’EX PRESIDENTE L’AVEVA FONDATA NEL 2000, DOPO AVER ACQUISTATO UN VIGNETO DALLE PARTI DI CALTANISSETTA

Adriano Santini, Giorgio Piccirillo, Giovanni De Gennaro, Arturo Esposito, Bruno Branciforte, Enrico Savio. E poi una serie di altissimi funzionari, 12 per la precisione, abituati a gestire con la massima riservatezza fondi per decine di milioni. Se uno vuole imbattersi nei vertici dei servizi segreti italiani dal 2008 al 2015 ci sono due strade: o si prova a entrare nella sede di Dis, Aise, Aisi e si vanno a guardare le foto appese alle pareti delle anticamere dei rispettivi direttori, oppure ci si reca a Banca nuova, gruppo Banca popolare di Vicenza, filiale 0805 di via Bissolati numero 8 a Roma. È qui, a 50 metri dalla sede del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), che fino a tutto il 2014 erano custoditi i conti bancari delle nostra intelligence, insieme a larga parte dei soldi gestiti dalla presidenza del Consiglio dei ministri.
120.000 SOCI SUL LASTRICO
DE GENNARO
I governi avevano un rapporto stretto con Gianni Zonin e la sua banca sicula, quella che l’ ex presidente della Popolare vicentina più aveva nel cuore perché la considerava la sua creatura e la vera origine del proprio potere, e ha tagliato questo legame solo quando la Bce di Mario Draghi ha alzato il velo sui giochi di prestigio vicentini. Ma intanto oggi si può dire che le amicizie del Grande vignaiolo di Gambellara non si limitavano a magistrati, ispettori di Bankitalia, ufficiali dei carabinieri e della Gdf, ma si estendevano ai servizi segreti e alla presidenza del Consiglio.
E forse anche la storia di quei conti riservati, che La Verità ha ricostruito, può aiutare a capire come sia stato possibile che la popolare vicentina abbia scavato una voragine da oltre 6 miliardi di euro, azzerando i risparmi di 120.000 soci. Una crisi nata da una serie di pratiche scorrette, denunciate già all’ inizio degli anni Duemila da diversi soci e dall’ ex direttore generale Giuseppe Grassano, e sulle quali il magistrato Cecilia Carreri è stata fermata con metodi poco ortodossi dai suoi stessi colleghi, dopo una micidiale «spiata» su una sua presunta falsa malattia. Perché solo ipotizzare di mandare a processo Zonin era follia.
Banca Nuova, che oggi ha un centinaio di sportelli tra Sicilia e Calabria, nasce nel 2000 e l’ anno dopo compra la Banca del popolo di Trapani, che nel 2001 verrà fusa per incorporazione. È la sfida più ambiziosa di Zonin, che nel 1997 aveva comprato una splendida tenuta, chiamata Principi di Butera, in provincia di Caltanissetta. Poco lontano, nel 2002, scenderà a comprare vigne anche il suo grande amico Paolo Panerai, editore di Class-Mf. Ma Zonin stringe rapidamente amicizia anche con Mario Ciancio Sanfilippo, proprietario della Sicilia, monopolista delle affissioni e sotto inchiesta dal 2007 per concorso esterno in associazione mafiosa, e con gli Ardizzone, che invece possiedono Il Giornale di Sicilia.
AMICI A PALERMO
Per gli affari importanti, Zonin capisce ben presto che il fulcro della Sicilia è Trapani, a cominciare dall’ aeroporto, per il quale si affida all’ avvocato Paolo Angius, ex consigliere della Vicenza. Per la politica e i poteri dello Stato, invece, l’ epicentro è Palermo. E allora ecco i rapporti stretti con Totò Cuffaro, ex presidente della Regione poi condannato per mafia, con Renato Schifani, le cui due nuore hanno lavorato per Banca nuova, con Raffaele Lombardo (l’ ex moglie Rina era promoter di Banca nuova), con l’ ex sindaco di Palermo Guido Cammarata (figlia assunta in banca) e con una serie di comandanti dell’ Arma e della Finanza, tra i quali spunta perfino il caso di un generale padrone di casa di una filiale dell’ istituto nella Sicilia orientale.
Tra gli imprenditori, ecco poi i rapporti stretti con Francesco Ginestra, ex presidente Snai e scopritore del mitico cavallo Varenne, e con il «re della sicurezza» Rosario Basile, presidente di Ivri e Ksm security. Per i soldi, invece, bastava e avanzava il Veneto, che infatti è stato ampiamente tosato, mentre dalla sicula Banca nuova, misteriosamente, non si è praticamente levato un lamento. Anche qui sono state fatte delle «baciate», ma c’ erano dei patti di riacquisto delle azioni Bpvi che hanno funzionato. E nessuno si è fatto male. L’ abilità di Zonin in Sicilia è confermata anche dal fatto che, a parte per un mese e mezzo all’ inizio, lui non è mai figurato negli organi sociali dell’ istituto, dove invece ha piazzato per quasi tre lustri il fidatissimo Marino Breganze alla presidenza.
Tornando ai nostri servizi segreti, va detto che avevano storicamente i loro conti principali alla Bnl. Ma quando l’ ex Banca del lavoro finisce nelle mani di Paribas, devono ovviamente migrare in un istituto non solo fidato, ma italiano. Intorno ai primi mesi del 2007, la presidenza del Consiglio, e a ruota l’ intelligence, cominciano a spostare i soldi. Al governo c’ è Romano Prodi, sottosegretario Enrico Letta e la delega ai servizi è affidata a Enrico Micheli, ex direttore generale dell’ Iri. Il governo di centrosinistra cade a maggio del 2008 e a Palazzo Chigi tornano Silvio Berlusconi e Gianni Letta. Ed è con loro che Zonin, che è stato anche vicepresidente di Bnl, piazza il colpo vincente, grazie anche ai buoni rapporti con un altro nisseno, Nicolò Pollari, capo del Sismi (oggi Aise) dal 2001 al 2006.
Banca nuova possiede a Roma una sola filiale, quella di via Bissolati, ma è un’ agenzia «pesante» e non solo perché sorge a due passi dall’ ambasciata Usa e ospita i conti di decine di funzionari americani. La Verità ha potuto consultare l’ anagrafica dei conti della presidenza del Consiglio dei ministri e dei servizi segreti, oltre alla loro movimentazione. Si tratta di conti istituzionali e, per quello che è stato possibile controllare, usati per fini normali. C’ è il conto «1.384.xxx» intestato all’ Aise dove potevano operare il direttore Adriano Santini e il suo capo dell’ amministrazione a partire dal 23 febbraio 2010. Il rapporto è stato aperto il 16 gennaio 2009 e ha due importanti caratteristiche: è esente dalla registrazione antiriciclaggio e dalla segnalazione all’ anagrafe tributaria.
GIORGIO PICCIRILLO
Ma in questo i conti dei servizi si somigliano tutti. L’ Aisi aveva un conto a Banca nuova almeno dal febbraio 2009, e potevano operarvi il capo, Giorgio Piccirillo (un tempo grande amico di Zonin), e cinque collaboratori. Per il Dis, ecco il conto intestato all’ allora direttore Gianni De Gennaro il 16 gennaio 2009, con due delegati a operare. E poi ecco quelli di Arturo Esposito, capo dell’ Aisi dal 2012 al 2016 (e comandante dei carabinieri in Sicilia dal 2004 al 2008) e dei suoi dirigenti di fiducia. Conti a Banca nuova anche per Bruno Branciforte, l’ ammiraglio che ha guidato l’ Aise dal 2006 al 2010, e per svariati suoi collaboratori. E sui conti di via Bissolati compare anche la firma di Enrico Savio, uomo di fiducia di De Gennaro e oggi vicedirettore del Dis.
Fonte : DAGOSPIA
BANCA NUOVA (BANCA POPOLARE DI VICENZA) E I SERVIZI SEGRETI
Silenziato chiunque tocchi Gianni De Gennaro e i servizi segreti. Dalla condanna di Massimo Ciancimino allo scandalo sui conti riservati dei servizi subito stroncato 
Foto: Dagospia
Mentre tutta l’Italia era distratta a discutere e discernere sulla morte di Salvatore Riina (il capo dei capi dei pupazzi, cioè il nulla) e sui soliti scandali giudiziari che hanno colpito gli eletti siciliani all’ARS (il sequestro di Genovese è l’ultimo della serie iniziata il giorno dopo le votazioni), le vere notizie passavano inosservate. Come sempre, la nostra attenzione viene sapientemente deviata e noi nemmeno ce ne accorgiamo.
Le notizie della settimana scorsa sono state due, anzi tre. Il filo conduttore, i servizi segreti e Gianni De Gennaro: chi tocca i fili muore. Eccole:
1. 16 novembre: La condanna di Massimo Ciancimino per calunnia ai danni del potente Gianni De Gennaro e del funzionario del Sisde/Aisi Lorenzo Narracci: una condanna a una pena esemplare, 6 anni, nonostante l’assenza di prove, nonostante l’inconsistenza delle accuse fosse stata provata dalla validissima difesa dell’imputato, gli avvocati Roberto D’Agostino e Claudia La Barbera;
2. 15-17 novembre: La pubblicazione di vari articoli, il primo su La Verità, a firma Francesco Bonazzi, e gli altri a ruota nei giorni successivi su Il Sole 24 Ore, a firma Nicola Borzi, di cui riporto i link, interessantissimi da leggere. Negli articoli si svelano i rapporti tra Banca Nuova del gruppo BPVi di Zonin e i servizi segreti e vengono fuori i nomi di potentissimi, tra i quali spicca proprio quello di Gianni De Gennaro con tanto di foto sulla Verità. Chi osa nominare l’Intoccabile e Innominabile?
Altra foto a illustrare l’articolo sul quotidiano: Zonin insieme a Giorgio Napolitano.
L’articolo di Francesco Bonazzi del 15 novembre scorso
Il succo: Dal 2009 al 2014 i servizi segreti italiani hanno avuto un rapporto particolare con Banca Popolare di Vicenza e in particolare con la controllata siciliana Banca Nuova, quella Banca Nuova il cui presidente era Marino Breganze (vicino a Zonin) e il cui direttore generale fino allo scandalo del 2012 è stato Francesco Maiolini, legato al fior fiore del potere siciliano, con amicizie importanti tra magistrati tra i quali ricordiamo due procuratori della Repubblica dell’epoca che avevano le inchieste più importanti: Francesco Messineo (Palermo) e Sergio Lari (Caltanissetta), quest’ultimo così legato a Maiolini da partecipare al suo matrimonio e dal ritenere di doversi astenere dalle indagini sul suo conto.

Ma i rapporti con i potenti in Sicilia erano anche diretti dello stesso Zonin che pare debba la scelta del suo istituto bancario da parte dei servizi che cercavano chi potesse prendere il posto di BNL, al legame con il nisseno Niccolò Pollari (che per fortuna sua, Massimo Ciancimino ha appena lambito con le sue dichiarazioni fermandosi in tempo se avesse avuto qualcos’altro da dire). Come risulta dall’articolo della Verità, tra fine anni ’90 e inizi 2000, quando fonda Banca Nuova, Zonin intesse rapporti con Mario Ciancio e gli Ardizzone, i più potenti editori siciliani.
E poi si parla dei legami con Totò Cuffaro, Renato Schifani, (appartenente anche alla “comitiva” delle amicizie di Maiolini), Raffaele Lombardo, Rosario Basile patron della KSM security (di recente coinvolto in uno scandalo e difeso inizialmente oltre che dall’avv. Caleca anche dall’ex pm Ingroia, cosa che suscitò non poche perplessità in molti).
Il pref.Gianni De Gennaro
La Verità e il Sole 24 Ore hanno svelato che i servizi segreti avevano i loro conti riservati nella filiale romana di Banca Nuova, unica filiale romana, che si trova in via Bissolati guarda caso a pochi passi dall’ambasciata americana e dalla sede del DIS all’epoca diretto dal pref. Gianni De Gennaro. Parliamo degli anni in cui Massimo Ciancimino rendeva le sue dichiarazioni all’AG di Palermo e Caltanissetta.
Negli articoli si trovano tutti gli interessanti dettagli sui conti e sulle operazioni finanziate a cui rimando .
Segnalo che viene riportata anche l’esistenza di un conto intestato allo stesso direttore del DIS De Gennaro con due delegati a operare. E poi leggiamo che “sui conti di via Bissolati compare anche la firma di Enrico Savio, uomo di fiducia di De Gennaro e oggi vicedirettore del Dis”.
Ovviamente non troviamo traccia delle “operazioni bagnate”, le operazioni sporche, almeno non in chiaro, quelle avvengono in contanti, ma ci sono pagamenti a uomini dello spettacolo e della TV, funzionari del CSM, ufficiali dei Carabinieri, etc.
Nicola Borzi ricostruisce il filo tra Padova, Roma e Palermo. In particolare scrive: «Via Cusmano, a Palermo: qui c’è la direzione generale di Banca Nuova, l’istituto di credito controllato da BpVi dove finivano — o forse iniziavano — molte delle connessioni tra l’ex Popolare di Vicenza e i Servizi. L’istituto è stato costituito a Palermo nel 2000 nell’ambito del “Progetto Centro Sud” del gruppo BpVi. Nel 2001 ha acquisito la Banca del Popolo di Trapani e nel 2002 l’ha incorporata. È qui che da Roma, transitando per Padova, conducevano partite finanziarie apparentemente minori per importo, ma assai rilevanti per significato. D’altronde Banca Nuova è un salotto che conta, nell’isola ma non solo. C’è chi afferma che proprio l’analisi del traffico telefonico di Banca Nuova, se condotta sin dai primi anni 2000, potrebbe rivelare sorprese. Un caso: il 5 novembre 2003 nella filiale 810 di Banca Nuova a Palermo veniva aperto un conto intestato a un cliente, sebbene il suo cellulare proprio in quel momento agganciasse una cella molto lontana dallo sportello
Veniamo ora alla terza notizia silenziata:
3. 17 novembre: la procura di Roma su ordine del procuratore Giuseppe Pignatone invia la GdF negli uffici dei due giornalisti sequestrando loro tutto il materiale e i computer. Ipotesi a carico degli ignoti che hanno passato le notizie ai giornalisti: “violazione  del segreto di Stato “
  Gravissimo attacco alla libertà di informazione, ma anche questo, come la notizia del silenziamento del superteste della trattativa e come la notizia dello scandalo sui servizi segreti, non fa notizia, anche se almeno in pochi la riprendono, tra cui il Fatto Quotidiano. Lo scandalo su Banca Popolare di Vicenza e Banca Nuova invece no, ignorate da tutti .
Così come Massimo Ciancimino, subissato di accuse e processi, era stato messo nell’impossibilità di andare avanti mentre le sue dichiarazioni già agli atti venivano depotenziate con processi e campagna mediatica micidiale (chissà su quei conti se si trova qualche traccia……), così oggi i due giornalisti autori dell’inchiesta si vedono tappata la bocca, sia per il sequestro del materiale e sia per l’effetto intimidatorio che l’azione della magistratura di fatto ha avuto. Altro che la testata del fascista/mafioso di periferia che tanto ha ammorbato per giorni il dibattito, sempre deviato dai veri temi!

CHI ERA  IL PADRONE DI PALERMO ( Anno 1996 )
PALERMO – Un costruttore siciliano che è rinchiuso all’Ucciardone per mafia riceve ogni mese qualche miliardo di lire dal ministero di Grazia e Giustizia, dal Comune di Palermo, dalla Provincia, dalle Usl, dall’ Inps, dall’ Enel e anche dalla Telecom. Tutti soldi di affitti, gli affitti dei suoi 64 palazzi sparsi per la città. E’ un detenuto molto fortunato Vincenzo Piazza, 65 anni, imprenditore edile della borgata dell’Uditore, ex garzone in un’officina meccanica e amico di grandi boss di Cosa Nostra. Fortunato, almeno fino a ieri, fino all’ udienza preliminare sulla confisca dei suoi beni già sequestrati. La Finanza ha stimato il suo “tesoro” in 1100 miliardi, i consulenti della Procura dicono però che quello è un calcolo per difetto e, precisano, che il suo patrimonio si aggira sui 2000 miliardi. E’ la storia di uno degli uomini più ricchi di Palermo che nel 1992 ha dichiarato al fisco di guadagnare 17 milioni e 899 mila lire. E’ la storia di un impero che fa odore di mafia e che è nascosto sotto decine di prestanome: figli, cugini, zie, ex dipendenti, pensionati nullatenenti e ragazzini. Sfiorato 15 anni fa dalle prime indagini di Giovanni Falcone, indicato dai pentiti Nino Calderone e Francesco Marino Mannoia come “un imprenditore a disposizione degli amici”, rinviato a giudizio per associazione mafiosa nell’ autunno scorso, il costruttore Vincenzo Piazza è entrato nel mirino degli accertamenti del “Gico”, il gruppo speciale della Finanza che si occupa dei beni di Cosa Nostra.



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