“ La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni
umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine."
[Giovanni Falcone]
Una cosa è la definizione giuridica di mafia e di associazione mafiosa, un'altra cosa è il suo profilo morale , la sua natura malefica , che è presente e reale , come associazione criminale , ma anche e soprattutto come comportamenti e mentalità nell' ambito sociale e individuale . Probabilmente nessuna sentenza potrà mai condannare una persona come mafiosa solo per il suo modo di essere arrogante e violento , ma ciò non vuol dire che non sia qualificabile mafiosa e condannabile sotto l'aspetto morale ed umano.
Autoriciclaggio e
le Mafie
Le varie “ mafie “ non
potranno mai essere debellate sino a quando le loro risorse economiche e
finanziarie troveranno coperture e complicità da parte di istituti finanziari o
società finanziarie , nel “ riciclaggio “ del denaro “sporco “ ;
sino a quando lo Stato , attraverso i suoi Organi Politici ( Parlamento
e Governo ) , continuerà a non
emettere e rendere operative
determinate leggi , che siano
veramente efficaci al fine di colpire in
modo definitivo e radicale al cuore ogni tipo di mafia . Cioè , non solo individuando le vie e le
coperture che consentono il deposito e
l’accumulo di ingenti somme di denaro “ sporco “ , ma fondamentalmente utilizzando sino in fondo gli
strumenti giuridici del
Sequestro e della
Confisca di tutti
i loro beni economici e finanziari .
Per
tali motivi , è estremamente importante
l’emissione di una chiara legge sullo “ Autoriciclaggio “ che contempli
pene severe nei confronti di
chi commette tale reato.
: la mappa
dei clan
Mafia, ‘ndrangheta,
camorra: la mappa dei clan
Dal traffico di droga agli affari sugli
appalti. Dalle estorsioni all'usura. Nel nostro Paese è ancora fitta la rete di
famiglie e cosche dedite alle peggiori attività illecite. Soprattutto al Sud.
Ecco l'elenco dei gruppi criminali attivi in Sicilia, Calabria, Campania,
Puglia e Basilicata. Comune per comune
Traffico
illecito di armi e droga, estorsioni ad imprenditori e
commercianti, riciclaggio e reinvestimento di denaro sporco, affari su
piccoli e grandi appalti pubblici. In diverse aree del nostro Paese la criminalità
organizzata continua ad esercitare un controllo più o meno
stringente del territorio, in particolare nelle regioni meridionali,
storicamente più colpite dal fenomeno. L’ultimo (ennesimo) allarme arriva dalla
relazione semestrale del ministero dell’Interno sull’attività
svolta e i risultati conseguiti dalla Dia, Direzione Investigativa Antimafia
(organo investigativo del Viminale). Il rapporto, diffuso la scorsa
settimana e relativo al primo semestre 2014, ci consegna ancora una
volta una mappa dettagliata delle centinaia di clan e famiglie
di mafia, ‘ndrangheta e camorra che operano in Sicilia,
Calabria, Campania, Puglia e Basilicata, e che
spesso estendono fino al Nord il loro raggio di azione. Ecco quali, provincia
per provincia.
LA MAFIA
PALERMO
– Nella provincia di Palermo – descrive la relazione del ministero dell’Interno
– Cosa Nostra è impegnata in una costante opera di consolidamento
della sua struttura, sia sotto il profilo militare che economico,
autofinanziandosi soprattutto attraverso la gestione di traffici illeciti,
il riciclaggio e il reinvestimento di denaro sporco. Sarebbe,
quella attuale, una fase di riorganizzazione legata all’arresto di alcuni
vecchi capi mandamento e capi famiglia e derivante dal fatto che non tutti i
nuovi reggenti dei gruppi criminali sembrano possedere l’autorevolezza
necessaria. Stando a quanto riporta la Dia, si registrano dunque nell’area
difficoltà a compattare le nuove leve e ad attuare le strategie criminali,
spesso rimesse in discussione dall’arresto o dalla scarcerazione di alcuni
boss. Il territorio provinciale risulta ora diviso in 14 mandamenti, 8
dei quali in città, e 79 famiglie, di cui 34 in città.
Tra le
attività principali della mafia palermitana vengono segnalate, oltre al riciclaggio,
la frode nella distribuzione di carburanti e il traffico e la produzione
di stupefacenti. In particolare, il narcotraffico risulta essere
una delle maggiori fonti di finanziamento. L’approvvigionamento
verrebbe garantito dalla joint venture con associazioni criminali radicate in Calabria
e in Campania e dirette referenti dei fornitori. Non sono mancati,
infine, episodi di contiguità tra mafia e politica che hanno
determinato lo scioglimento di alcuni consigli comunali.
AGRIGENTO
– Cosa Nostra agrigentina, articolata su 7 mandamenti, ha
confermato un ruolo di rilievo nei confronti di altre consorterie criminali
nella provincia, riuscendo anche a mantenere un ruolo di rispetto nella gerarchia
mafiosa della regione. Come a Palermo, però, anche ad Agrigento continua una
ricerca di nuovi equilibri, che scaturisce dagli arresti degli anni scorsi e
dalle scarcerazioni di vecchi capi. L’organizzazione è comunque verticistica
e unitaria, ed interessata prevalentemente al traffico di stupefacenti
ed all’acquisizione di denaro pubblico, con un forte predominio
territoriale esercitato attraverso l’attività estorsiva. Il pizzo
viene imposto ad imprenditori attivi in svariati settori. I proventi vengono
poi reinvestiti, attraverso insospettabili prestanome, in attività
apparentemente legali, con lo scopo di sottrarre gli illeciti guadagni
all’azione di sequestro e confisca da parte dello Stato. Si
registrano anche intimidazioni nei confronti di amministratori ed
esponenti politici, ovvia dimostrazione un forte e costante interesse a condizionare
le decisioni di carattere politico-amministrativo.
TRAPANI
– La provincia di Trapani rimane feudo del super ricercato Matteo
Messina Denaro, considerato esponente di spicco dell’intera cupola di Cosa
Nostra. Nell’area nel primo semestre 2014 – dice il rapporto del Viminale – non
sono emersi mutamenti dell’organizzazione e della struttura mafiosa, che resta
articolata in 4 mandamenti e 17 famiglie. La Dia registra
un’operatività di sodalizi mafiosi della provincia caratterizzati da basso
profilo di esposizione, e interessati a perseguire una sorta di strategia
dell’inabissamento. Messina Denaro, capo del mandamento di Castelvetrano
può vantare una fitta rete di protezione e favoreggiamento, anche
attraverso interposizioni nella gestione di beni e affari. Gli interessi,
invece, sembrano focalizzati sul controllo delle attività imprenditoriali e
degli appalti pubblici, nel racket delle estorsioni, con relativi atti di
danneggiamento, nel traffico di droga e in attività di corruzione per la
penetrazione nella pubblica amministrazione.
CALTANISSETTA
– A Caltanissetta e provincia Cosa Nostra appare articolata in 4
mandamenti e risulta interessata soprattutto alle estorsione,
all’infiltrazione negli appalti pubblici (con pressioni esercitate sugli
amministratori) ed allo spaccio e traffico di droga esercitato non
necessariamente attraverso canali di rifornimento e personaggi propri, ma anche
provenienti da altri territori. Nell’area, a differenza della maggior parte
delle province, si registra una presenza significativa della Stidda,
organizzazione mafiosa ben distinta da Cosa Nostra, con influenza in
particolare dei comprensori di Gela e Niscemi. E si conferma,
inoltre, la propensione della Stidda all’accordo sistematico con le famiglie di
Cosa Nostra attive nello stesso territorio, per un’equa ripartizione dei
proventi delle attività illecite.
ENNA
– Accade qualcosa di diverso, invece, ad Enna, nella cui provincia, a
causa dell’assenza di una guida mafiosa costante e univoca, si vivono fasi
alterne di prevalenza della componente nissena o di quella etnea. La Dia,
ad esempio, nel periodo tra gennaio e giugno 2014 ha rilevato, nel comune di Catenanuova,
l’operatività, al fianco delle storiche famiglie di Cosa Nostra ennesi (ora
prive di personaggi dotati di carisma criminale) di un gruppo di diretta
emanazione del clan Cappello di Catania. Per quanto concerne le attività
illecite svolte, invece, anche quest’area si mostra in linea con il trend della
regione, con il traffico di droga diventato negli ultimi due anni la fonte
principale di reddito.
CATANIA
– A Catania i rapporti di forza tra sodalizi criminali sembrano non
essere mutati. La Dia riferisce di una convivenza pacifica tra le
famiglie e di equilibrio tra due schieramenti egemoni. Come a Trapani e in
altre province, anche in quest’area i gruppi mafiosi sono bene attenti a
mantenere ultimamente un basso profilo, privilegiando l’obiettivo a farsi
impresa. Accanto alle tradizionali attività illecite, come estorsioni, usura
e traffico di stupefacenti, l’organizzazione investe e ricicla, anche nei
circuiti finanziari. Per quanto riguarda la commercializzazione della
droga, essa risulta in mano prevalentemente al clan Cappello, che contende una
cospicua fetta di guadagni al clan rivale Santapaola. A Catania
il fenomeno dello spaccio sembra aver raggiunto un’elevatissima pervasività con
interi isolati, se non quartieri cittadini, che vivono di questo
tipo di attività illecita. Vista la perdurante crisi economica, i clan
non hanno particolari difficoltà ad arruolare nuova giovane manovalanza,
attratta da facili guadagni. Ovviamente nemmeno a Catania viene trascurato
l’affare dell’infiltrazione nella pubblica amministrazione e della
gestione di denaro pubblico attraverso l’aggiudicazione di appalti, subappalti,
forniture e servizi.
SIRACUSA – Nella provincia di Siracusa
l’organizzazione mafiosa continua ad essere asservita alle logiche e alle
strategie di Cosa Nostra catanese. Anche qui, come ad Enna, mancano
personalità carismatiche in grado di assumere ruoli di comando. Si registra una
situazione di convivenza apparentemente pacifica tra i gruppi
criminali attivi nell’area. Principali attività sono quella estorsiva e il
traffico di stupefacenti, che sembra comunque essere limitato all’approvvigionamento
dalla piazza catanese.
RAGUSA
– Gli influssi dei sodalizi catanesi (e di quelli nisseni) si
fanno sentire anche nel territorio ragusano, specialmente nel versante
occidentale, a Vittoria, Scicli, Comiso. Ancora una volta
si registra, come a Caltanissetta, il peso della Stidda, alla quale è
affiliato il clan Dominante-Carbonaro. È legato a Cosa Nostra,
invece, il clan Piscopo. I capi mafiosi sembrano comunque dotati di scarso
spessore criminale, ma riescono tuttavia, tra una detenzione e l’altra, a
compattare intorno a sè estemporanei sodalizi per la gestione degli
affari illeciti.
MESSINA
– Nella provincia di Messina lo scenario mafioso è notoriamente
caratterizzato dalla presenza di gruppi delinquenziali privi dello spessore dei
sodalizi palermitani o catanesi. Si registra però l’influenza della ‘ndrangheta,
in ragione della vicinanza geografica alla Calabria.
A dominare
la fascia tirrenica è il clan dei Barcellonesi, molto radicato e
in grado di esercitare un forte condizionamento. Il sodalizio è caratterizzato
da una solida organizzazione con ripartizione delle competenze tra famiglie e
metodi operativi omologhi a quelli di Cosa Nostra palermitana, con la quale
rimane in rapporti nella gestione degli affari. Oltre alle consuete attività
estorsiva, di traffico di stupefacenti, e di gestione degli appalti, nel primo
semestre 2014 la Dia ha rilevato nella provincia un nuovo interesse per lo sfruttamento
della prostituzione. Sono comunque attivi nel territorio anche soggetti
che operano in autonomia avvalendosi dei metodi mafiosi.
LA N' DRANGHETA
REGGIO
CALABRIA – Per
quanto concerne la Calabria - spiega la relazione del ministero – la ‘ndrangheta
ha dimostrato nel primo semestre 2014 una crescente capacità di infiltrarsi
nella sfera politico-amministrativa degli enti locali. La regione
detiene un primato del numero di provvedimenti di scioglimento di comuni
per infiltrazione mafiosa, e le ‘ndrine hanno dimostrato capacità di
penetrare nelle realtà politico-amministrative anche lontano dal territorio di
origine (lo testimoniano le note recenti inchieste sulla mafia al Nord). A Reggio
Calabria la dislocazione delle cosche è caratterizzata dall’esistenza di un
organismo direttivo, denominato Provincia, e 3 mandamenti
a competenza areale: il mandamento Tirrenico, il mandamento Centro e il
mandamento Ionico. Per quanto riguarda il mandamento Tirrenico, il porto
di Gioia Tauro si conferma luogo di transito della cocaina
proveniente dal Sud America. Sulla base dei dati in possesso della Dia,
i sequestri operati nello scalo portuale hanno permesso di intercettare 980 kg
di cocaina e circa 10 tonnellate di tabacchi di contrabbando. Nell’area di
Gioia Tauro si segnala l’influenza della cosca Molè, un tempo alleata
con i Piromalli. Mentre nel comprensorio di Rosarno e San
Ferdinando è attiva la cosca Pesce-Bellocco.
Sulla
città di Reggio Calabria, nel mandamento Centro, si segnala ancora la
posizione di supremazia delle storiche cosche cittadine De Stefano, Condello,
Libri e Tegano. A Sud del capoluogo opera, invece, la cosca
Ficara-Latella. Nei rioni Modena e Ciccarello si
registra l’attività del sodalizio Borghetto-Caridi-Zindato e
Rosmini. Nel quartiere di Santa Caterina, infine, è attiva la cosca Lo
Giudice.
Relativamente
al mandamento Ionico, la Dia segnala l’attività, nel comune di Monasterace,
ed in quelli limitrofi di Stilo, Riace, Caulonia e Camini,
della cosca Ruga, Metastasio, Leuzzi, legata alla cosca
Gallace, attiva a Guardavalle, in provincia di Catanzaro.
Nel
comune di Caulonia opera la cosca Vallelonga. A Gioiosa Jonica è
attiva la cosca Scali-Urbino, federata con i Costa-Curciarello
di Siderno.
CATANZARO – Nessuna novità per quanto
riguarda la mappatura della Dia relativa alla provincia di Catanzaro.
Unica novità di rilievo del primo semestre 2014 sarebbero – dice il rapporto
del Viminale - due operazioni che hanno disarticolato le cosche Giampà
e Torcasio.
COSENZA – Sono sostanzialmente immutate
rispetto al secondo semestre 2013 anche le zone di influenza dei gruppi
criminali ‘ndranghetisti della provincia di Cosenza.
CROTONE – Per quanto riguarda l’area di Crotone
la Dia sottolinea il maggior peso della famiglia Grande Aracri, la
stessa dall’operazione della scorsa settimana che ha condotto ad arresti di
politici e imprenditori in Emilia Romagna. In particolare la cosca avrebbe
assunto il controllo di tutte le attività illecite nella parte più a Nord della
regione.
VIBO
VALENTIA – Nella provincia di Vibo Valentia, infine, conserva un ruolo
egemone la cosca Mancuso di Limbadi, nonostante negli ultimi anni
sia stata colpita da diverse attività investigative. Relativamente alle
conflittualità tra sodalizi non sembrano essere sopiti i contrasti tra i
cosiddetti piscopiani della frazione Piscopo e i Patania
di Stefanaconi, sostenuti dai Mancuso.
LA CAMORRA
NAPOLI
– Anche in Campania vengono sostanzialmente confermati assetti criminali
consolidati e di ricerca di nuovi equilibri tra clan colpiti da operazioni di
polizia. Ma – come sottolinea il ministro dell’Interno nella relazione
semestrale – novità potrebbero arrivare dall’area casertana. Il clan dei Casalesi,
infatti, sembra in difficoltà operativa alla luce della decisione del super
boss Antonio Iovine di collaborare con la giustizia. Il pentimento del
capo clan potrebbe avere ripercussioni sugli equilibri del sodalizio. Per quanto
concerne invece la redditività delle attività illecite, per la criminalità
organizzata campana quella più vantaggiosa è ancora rappresentata dal traffico
di stupefacenti. Si tratta del settore nel quale vengono operati i maggiori
investimenti per gli ingentissimi guadagni che ne derivano. Va
ricordato, in tal senso, quanto accaduto nell’area a Nord di
Napoli, centro nevralgico per l’approvvigionamento della droga, dove la fine
del predominio assoluto del clan Di Lauro negli anni scorsi ha generato
scontri tra gli altri gruppi che ne hanno in parte occupato lo spazio.
Nella zona
centrale del capoluogo campano rimane fitta la rete di clan camorristici
operanti. Nel rione Forcella, a causa di tensioni tra il clan
Mazzarella ed un gruppo discendente dello storico clan Giuliano,
intenzionato ad assumere il controllo dello spaccio di stupefacenti, si vive
una situazione di instabilità. Del gruppo criminale in ascesa farebbero
parte giovani delle famiglie Stolder-Ferraiuolo-Brunetti-Sibillo,
che potrebbero contare sull’appoggio del clan Rinaldi di San Giovanni
a Teduccio, che è attivo nella zona orientale della città ma sta estendendo
la sua influenza anche nel quartiere Mercato, alle Case Nuove, zona
storica del gruppo Caldarelli, a sua volta satellite del clan Mazzarella.
Nei quartieri Vasto e Arenaccia, nella zona Ferrovia e a Poggioreale,
intanto, continua l’egemonia incontrastata del clan Contini, dotato di
ottima capacità militare e politica di alleanze, come quella con il gruppo
Mallardo di Giugliano in Campania, i Licciardi di Secondigliano
e i Bidognetti della provincia di Caserta. I Contini sembrano aver
trovato un equilibrio con lo storico rivale clan Mazzarella. Nei quartieri
Spagnoli, invece, sono attivi i clan Mariano e Ricci,
quest’ultimo legato al gruppo D’Amico, operante nella zona orientale
della città, e due clan di recente formazione, Esposito e Saltalamacchia.
La Dia segnala che alcune sparatorie e intimidazioni sono sintomatici di
frizioni tra i gruppi Elia del Pallonetto a Santa Lucia, Lepre
del Cavone e Mariano, da una parte, ed Esposito e Saltalamacchia
dall’altra. Nella zona centrale di Napoli, inoltre, si segnala il ritorno di
esponenti delle famiglie Tolomelli e Vastarella, storicamente
legate ai Licciardi e feroci antagoniste del clan Misso. Famiglie che hanno l’ambizione
di riprendere il controllo di parte del quartiere Sanità, cercando
appoggi con i Contini. Il quartiere Sanità, infatti, dopo la disarticolazione
del clan Misso, è diventato teatro di accesa conflittualità per la perdita dell’egemonia
da parte degli storici gruppi camorristici. Ora si registra l’attività del clan
Lo Russo del quartiere Miano e del gruppo Savarese-Sequino,
in cerca di alleati e intenzionato ad accordi con le nuove generazioni della
famiglia Giuliano. A Poggioreale, intanto, la dissoluzione del clan
Sarno ha condotto ad uno scontro tra un gruppo di ex affiliati, ora legati
al sodalizio criminale Casella, ed al clan Cuccaro di Barra,
federato con la famiglia De Micco. A San Ferdinando, invece, nella zona
Chiaia, è attivo il clan Piccirillo, legato al gruppo Licciardi e
Strazzullo, e presente anche nella zona Posillipo, considerata a sua
volta territorio franco per il riciclaggio di clan della zona nord orientale
del capoluogo e di Napoli centro, in particolare dei gruppi Licciardi,
Mazzarella e Calone. Al Pallonetto a Santa Lucia, infine, è in corso una
lotta per il predominio tra famiglia Ricci dei Quartieri Spagnoli e gli Elia
di Santa Lucia.
Per
quanto riguarda la zona settentrionale di Napoli, nei quartieri Vomero
ed Arenella domina il clan Cimmino, controllando sia la zona Arenella-Conte
della Cerra sia la zona Rione Alto. Ma si registra
contemporaneamente anche la presenza dei Polverino di Marano di
Napoli, impegnati nel riciclaggio in attività commerciali. A Secondigliano
e Scampia, Rione Berlingieri, Miano, Piscinola e San
Pietro a Patierno, gli equilibri non sono stabili. Come afferma la
relazione del ministero dell’Interno, la geomorfologia appare fluida per la
rapidità con cui si creano rapporti di alleanza e forte antagonismo. Nei
suddetti quartieri l’attività di spaccio è molto intensa e redditizia. Si
segnala, dunque, la presenza in tutta l’area dei gruppi camorristici Amato-Pagano,
Di Lauro, Vanella-Grassi, Bocchetti, Licciardi,
Lo Russo e Abete-Abbinante-Aprea-Notturno.
L’area
orientale della città comprende i quartieri San Giovanni a Teduccio,
Ponticelli e Barra. A San Giovanni a Teduccio si contrappongono
lo storico clan Mazzarella, che conta sull’appoggio delle famiglie Formicola-Silenzio
e D’Amico ed il cartello composto dai gruppi Reale, Rinaldi
e Altamura. A Barra, invece, e nel rione Lotto Zero di
Ponticelli, dopo anni di egemonia del sodalizio Cuccaro-Aprea è
in atto un tentativo di conquista di spazio da parte del gruppo Amodio-Abrunzo,
formato da pregiudicati usciti dal suddetto clan e sostenuti dagli Abete-Notturno-Aprea
e De Micco, già legati ai Cuccaro. A Ponticelli è attivo il gruppo De
Micco, forte di una ampia disponibilità di armi e diventato referente per la
fornitura di stupefacenti di una gran parte dell’area orientale. Ai De Micco si
contrapporrebbe il clan D’Amico, formato da esponenti del dissolto clan
Sarno.
Per quanto
concerne, poi, l’area occidentale di Napoli si rileva un’elevata
frammentazione delinquenziale che ha determinato faide provocate dalla
necessità di evitare sconfinamenti da parte di gruppi rivali. Come riporta il
rapporto del Viminale, A Soccavo opera la famiglia Grimaldi,
legata ad esponenti della malavita di Pianura e del Rione Traiano.
L’antagonista sarebbe il gruppo Vigilia, formato da alcuni fuoriusciti
dal clan. A Fuorigrotta, intanto, opera il gruppo Zazo, al quale
si sarebbero aggiunti i pochi elementi liberi del clan Bianco, non più
attivo. Il gruppo Zazo è impegnato nel traffico di droga e nella contraffazione
e risulta legato alla famiglia Mazzarella. Nel Rione Traiano, invece,
altra zona dove è intenso lo spaccio di droga, si registra l’egemonia del clan
Puccinelli, favorito dall’assenza dalla scena dei suoi antagonisti, ovvero
i capi del contrapposto gruppo Leone-Cutolo, detenuti in
esecuzione di pesanti condanne. A Pianura sembra ridimensionato il clan
Lago, che ha ceduto spazio al gruppo Marfella. A Bagnoli, Agnano
e su parte della zona di Cavalleggeri d’Aosta permane, infine, la
presenza del clan D’Ausilio, anche se ridimensionato da arresti e
collaborazioni. Nella stessa area ha comunque acquistato spazio il gruppo scissionista
Esposito, originario di Secondigliano e legato alla famiglia Licciardi.
Nel versante
occidentale della provincia si registra l’egemonia dei Polverino
a Quarto. Mentre a Bacoli e Monte di Procida opera il clan
Pariante, dedito allo spaccio e legato agli Amato-Pagano di Secondigliano.
Per quanto concerne invece la zona settentrionale della provincia,
a Casavatore è attivo il gruppo Vanella-Grassi e il clan
Ferone. A Qualiano e Villaricca, invece, gruppi locali sono
interessati all’acquisizione di appalti pubblici, alle estorsioni, al
riciclaggio e al traffico di droga mediante importazione dall’estero di ingenti
quantitativi, ma d’intesa con altri clan. A Marano di Napoli persiste
l’egemonia del clan Polverino, presente anche a Quarto e Villaricca
e caratterizzato da una forte vocazione imprenditoriale, che si manifesta, ad
esempio, con l’interesse nell’edilizia residenziale e nelle attività
turistico-alberghiere. Il clan Mallardo, alleato con i Bidognetti e i
Contini, opera incontrastato a Giugliano in Campania. Afragola è
invece il comune di origine del clan Moccia, egemone incontrastato per
la gestione e il controllo di tutte le attività illecite anche a Casoria,
Caivano, Arzano, Cardito, Crispano, Frattamaggiore
e Frattaminore, e proiettato anche in altre regioni e all’estero. Ad Acerra
e dintorni si ritiene disarticolato il clan Crimaldi, così come i clan
De Sena e Di Falco-Di Fiore. Pertanto, nella vasta area tra i
comuni di Casalnuovo, San Felice a Cancello e Santa Maria a
Vico opererebbero gruppi criminali non aventi connotazione tipica dei clan
e dediti prevalentemente ad estorsioni, spaccio e rapine.
Nell’area
vesuviana e nolana si registra il controllo delle attività illecite
soprattutto da parte dei clan Cava, originario di Quindici,
nell’Avellinese, dei Fabbrocino di San Giuseppe Vesuviano e dei Moccia
di Afragola, che hanno assorbito altre compagini criminali locali
facendole diventare proprie strutture satellite. Si conferma la forte vocazione
imprenditoriale del clan Fabbrocino, le cui ingenti disponibilità economiche
avrebbero contribuito al rafforzamento del vincolo di omertà dei suoi
consociati. Ma non solo. la relazione del ministero descrive che le capacità
imprenditoriali di molti affiliati hanno consentito al gruppo camorristico di
penetrare nel settore dell’abbigliamento e del commercio di alimenti in alcune
regioni del Centro e del Nord del Paese, come Lombardia, Emilia Romagna, Umbria
e Marche. Intanto, a Pomigliano d’Arco, Castello di Cisterna, Brusciano
(dove opera il clan Ianuale, presente anche a Mariglianella), Marigliano,
Pollena Trocchia, San Sebastiano al Vesuvio, Somma Vesuviana
e Sant’Anastasia opera il clan Castaldo-Anastasio. Nella stessa
zona sono però attivi anche pregiudicati di riferimento del clan Mazzarella,
insediatisi nella zona di Marigliano. A Somma Vesuviana, intanto, si segnala
l’infiltrazione dei clan Cuccaro e Rinaldi di Barra attraverso pregiudicati
locali.
Infine,
la fascia costiera a Sud di Napoli, la provincia meridionale. A Portici
e San Sebastiano al Vesuvio il clan Vollaro detiene l’egemonia
assoluta delle estorsioni, del traffico di droga, del lotto clandestino e
dell’usura. Ad Ercolano, invece, si registra l’attività, in
contrapposizione, degli Ascione-Papale e dei Birra-Iacomino.
A San Giorgio a Cremano opera il clan Abate, con proiezioni in
Emilia Romagna. A Torre del Greco i clan Falanga e Di Gioia.
A Torre Annunziata sono attivi i Gionta. Il sodalizio Gallo-Limelli
Vangone è presente sia a Torre Annunziata che nei comuni di Boscoreale,
Boscotrecase e Trecase. A Castellammare e nei comuni
vicini, infine, agiscono i clan D’Alessandro e Cesarano.
CASERTA
– Come già detto, il clan dei Casalesi, che domina gli affari illeciti
nella provincia di Caserta, deve fare i conti con la collaborazione con
la giustizia del super boss Antonio Iovine. Il gruppo criminale sta
quindi vivendo una difficile fase di transizione già affrontata qualche anno
addietro, all’indomani della cattura dei un altro esponente al vertice del
sodalizio camorristico, Michele Zagaria, in manette nel 2011. Tuttavia,
non va dimenticato che i Casalesi sono già riusciti in passato a rigenerarsi
reclutando nuove leve da affiancare a vecchi sodali, nonostante siano stati
oggetto negli anni di un’efficace attività di contrasto. Dunque, il clan
casertano, sembra in questa fase intenzionato a rafforzare la propria presenza
nelle aree di influenza, invece che estendersi in altre zone della provincia,
zone in cui però si sta rafforzando la forza criminale delle organizzazioni non
federate nel cartello.
La
fazione Bidognetti a quanto pare ha ripreso a compiere estorsioni nei
comuni di Parete, Teverola e Castel Volturno. Il gruppo
Schiavone, invece, risulta sempre molto forte militarmente. Mentre il gruppo
Zagaria viene considerato pericoloso soprattutto per la capacità di infiltrazione
in diversi settori dell’economia, in particolare nella gestione dei servizi
pubblici e negli appalti (come ha dimostrato la recente operazione sulle gare per i lavori in un ospedale casertano). Nella provincia, oltre ai gruppi
federati ai Casalesi operano, nella zona di Marcianise, il clan
Belforte e il gruppo Piccolo. I due clan mantengono con i Casalesi
un rapporto di non belligeranza.
SALERNO
– Nella provincia di Salerno le organizzazioni camorristiche
sembrano caratterizzate da una struttura di tipo orizzontale, con diversi
centri decisionali e orientata prevalentemente al raggiungimento di obiettivi
immediati di finanziamento e non medio-lunghi. Nell’area si registra una disaggregazione
di vecchi cartelli criminali e la coagulazione di nuovi gruppi sia in città che
lontano dal capoluogo. Nel dettaglio, a Bracigliano e a Mercato San
Severino si registra la presenza del clan Graziano, originario di
Quindici, in provincia di Avellino. A Salerno città si conferma la
ripresa dell’egemonia del gruppo Panella-D’Agostino. Nell’agro
nocerino-sarnese, in seguito alle azioni di contrasto degli anni scorsi, lo
scenario delinquenziale appare in fase di assestamento. La gestione del traffico
e dello spaccio di droga avviene attraverso alleanze con i gruppi dell’area
napoletana, in particolare di Castellammare di Stabia e Torre Annunziata. A Pagani
è attivo il sodalizio Fezza-D’Auria. A Nocera Inferiore e Nocera
Superiore, invece, accanto allo storico clan Mariniello, si registra
l’operosità di gruppi formati da giovani pregiudicati già legati a sodalizi del
vicino comune di Pagani. È lo stesso che avviene ad Angri. A Cava de’
Tirreni, oltre a soggetti criminali già legati al clan Bisogno, operano
pregiudicati che fanno riferimento al gruppo Celentano. Infine, nella
parte Sud della provincia, nella Piana del Sele, risultano
attivi gruppi criminali emergenti dediti sia alle estorsioni che
al traffico di stupefacenti.
BENEVENTO
– Situazione stabile in provincia di Benevento, dove si conferma
l’egemonia del gruppo camorristico Sperandeo, alleato con il clan
Pagnozzi originario di San Martino Valle Caudina, in provincia di Avellino,
ma presente anche a Montesarchio, Airola e paesi limitrofi. Il
clan Pagnozzi agisce, tra l’altro, in sinergia con il gruppo Saturnino-Bisesto
di Sant’Agata de’ Goti e con il sodalizio Iadanza-Panella
attivo a Montesarchio Bonea, Bucciano, Castelpoto, Campoli
del Monte Taburno, Tocco Caudio, Cautano e Forchia.
Anche qui gli interessi variano dal traffico di droga all’usura, dalle
estorsioni alle infiltrazioni nell’affare degli appalti pubblici.
AVELLINO – Nell’Avellinese viene
confermato il predominio del clan Cava di Quindici, storico
rivale dei Graziano, originario dello stesso comune. Al momento non
vengono registrati episodi di conflittualità tra i due gruppi camorristici, ma
la scarcerazione di qualche esponente di spicco dell’uno o dell’altro clan
potrebbe rompere gli attuali equilibri. I Cava negli ultimi anni hanno
approfittato dell’indebolimento del clan Russo di Nola, in provincia di
Napoli, per proiettarsi in un nuovo territorio attraverso gruppi satellite come
i clan Giugliano e Sangermano (quest’ultimo di San Paolo
Belsito, Napoli). Nel comune di Avellino, intanto, sembra riorganizzarsi la
famiglia Galderi, mentre sono ancora in carcere gli elementi di spicco del gruppo
Genovese .
BARI – Per quanto concerne la Puglia,
la Dia rileva che il fenomeno criminale, grazie all’azione di contrasto e alla
collaborazione con la giustizia di alcuni affiliati alla Sacra Corona Unita,
appare oggi non unitario, ma disgregato e disomogeneo. La regione, infatti è
dunque caratterizzata dalla presenza di una pluralità di gruppi mafiosi,
caratterizzati da continui mutamenti, spesso legati anche a delle faide. A Bari
e in provincia, ad esempio, si registrano tensioni legate alla
ridefinizione degli equilibri criminali e delle posizioni di vertice, che a
volte degenerano in scontri cruenti. A restare operative sono soprattutto giovani
e ambiziose leve, che risultano però nello stesso tempo anche inesperte e
pericolose. I quartieri maggiormente interessati alle faide sono San
Paolo (dove emergono contrasti tra il clan Montani-Telegrafo
e il gruppo Mercande-Diomede), San Girolamo (teatro di uno
scontro tra i Lorusso e i Campanale) e Libertà (dove hanno
luogo contrasti interni al clan Mercante). Situazioni invece stazionarie
si registrano nei quartieri di Carbonara e Ceglie del Campo (tra
i clan Di Cosola e Strisciuglio), nel Borgo Antico (tra
i Strisciuglio e i Capriati), nel quartiere Madonnella
(dove si registra la presenza del clan Di Cosimo-Rafaschieri), e,
infine, nel quartiere Japigia (dove operano i clan Parisi e Palermiti).
Le attività illecite più diffuse sembrano essere quelle del traffico e dello
spaccio di stupefacenti e delle estorsioni ai danni dei commercianti.
Per quanto
concerne la provincia di Bari, poi, la Dia segnala la
contrapposizione tra clan Conte-Cassano e Cipriano
nella città di Bitonto, il contrasto tra elementi del gruppo La Selva
e del gruppo Panarelli a Conversano, e, in ultimo, l’egemonia del
sodalizio Zonno a Toritto
BARLETTA-ANDRIA-TRANI
– La provincia di Barletta-Andria-Trani si caratterizza
dalle altre per la diffusione di una specifica attività criminale: le rapine
agli autotrasportatori, spesso realizzate su strade trafficate con
tecniche paramilitari che possono prevedere anche il sequestro lampo dei
conducenti dei tir. In ogni caso si segnala la presenza dei gruppi criminali Miccoli
e Gallone-Carbone a Trinitapoli e del sodalizio Pistillo-Pesce
ad Andria.
FOGGIA – A Foggia e provincia
le organizzazioni criminali sono state ridimensionate da numerose inchieste
giudiziarie e da severe condanne. Ma solo in parte sono stati fermati gli
episodi di sangue, visto che la forte crisi economica favorisce la
costituzione di un serbatoio nell’ambito della criminalità comune dal quale
attingere manovalanza. Nel rapporto del Viminale si segnala la presenza del
clan Sinesi-Francavilla in città, in contatto con la criminalità
organizzata di San Severo.
LECCE - I gruppi criminali della provincia
di Lecce erano un tempo legati alla Sacra Corona Unita. Ora, dopo
un’efficace azione di contrasto attuata negli anni, i sodalizi non sono più
organizzati in maniera verticistica, limitandosi ad operare in sinergia,
preferendo un profilo basso, una strategia di inabissamento. Si segnala
comunque la presenza in città del clan Rizzo, capeggiato da uno
storico boss della S.C.U. leccese. Il
gruppo è egemone soprattutto nel traffico di stupefacenti e nelle estorsioni.
La maggiore influenza viene esercitata nel rione Castromediano. In
provincia controlla invece i territori dei comuni di Cavallino, Lizanello,
Melendugno, Merine, Vernole, Caprarica, Calimera
e Martano.
BRINDISI – Sembra statico il contesto
criminale anche nella provincia di Brindisi, che negli ultimi
anni ha subito un incisivo contrasto investigativo grazie alla
collaborazione con l’autorità giudiziaria della frangia brindisina e mesagnese
della Sacra Corona Unita. Nessuno dei fatti di sangue verificatisi
nell’area sembra comunque essere riconducibile a contrasti tra cosche.
Anche qui le principali attività illecite sono rappresentate da traffico di
stupefacenti ed estorsioni, quest’ultime esercitate perlopiù
attraverso pretese di piccole somme di denaro. Ma si registrano anche usura e
gestione degli apparecchi elettronici.
TARANTO – Gli assetti sono immutati anche a
Taranto e provincia, dove i gruppi criminali ricavano i maggiori
introiti dal traffico di droga, esercitato in sinergia con pregiudicati
calabresi o baresi.
Molto
diffusa l’attività estorsiva ai danni ai danni di imprenditori,
commercianti e artigiani, spesso vittima di attentati dinamitardi o incendiari.
POTENZA E
MATERA – In Basilicata
viene rilevata la presenza residuale di gruppi criminali che, dopo essere stati
disarticolati nel tempo dalle censure penali, non manifestano segnali palesi di
vitalità. Questa situazione agevola l’attività di gruppi omologhi provenienti
dalle regioni limitrofe. L’attività prevalente del traffico di droga
riguarda soprattutto l’area tirrenica, confinante con Calabria e
Campania. A Potenza si registra la presenza dei clan Cassotta, Di
Muro, Martucci, Rivezzi, Martorano e Stefanutti.
nella provincia di Matera, invece, si segnala nel primo semestre 2014 la
presenza dei clan Scarcia, Mitidieri-Lopatriello e Zito-D’Elia.
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NOTA – La relazione del Ministero dell’Interno al
Parlamento sull’operato e i risultati conseguiti dalla Dia nel primo semestre
2014 non riguarda solamente famiglie e clan della criminalità
organizzata siciliana, calabrese, campana, pugliese e lucana,
ma anche le organizzazioni criminali straniere che operano sul
territorio nazionale (quella albanese, nordafricana, centrafricana,
sub sahariana, cinese, sudamericana, romena, russa).
Non mancano, inoltre, informazioni relative alle proiezioni extraregionali
ed internazionali delle cosche italiane.
MAFIA CAPITALE
IL RICICLAGGIO
CRIMINALE
Dopo la droga e le armi, il
traffico illecito di opere d’arte è il terzo mercato più lucroso per le
organizzazioni criminali .
Un mercato
da circa 78 milioni di euro, che nel 2012 si è impennato del 39% rispetto al
2011. Dopo armi e droga il traffico illecito di opere d’arte è stimato come il
terzo mercato criminale più lucroso, con profitti globali stimati intorno agli
8 miliardi di euro. «L’investimento o il reinvestimento di capitali illeciti in
arte è uno dei più sicuri perché non perde valore ed è semplice da sottrarre
all’aggressione patrimoniale Una catena criminale che va dal furto, alla
falsificazione, fino all’opera dei cosiddetti “tombaroli”, cioè coloro che
effettuano abusivamente scavi archeologici. Le opere rubate o falsificate
vengono immesse sul mercato clandestino , anche utilizzando il web .
Un business per le organizzazioni
come ’ndrangheta, cosa nostra e camorra, oltre ad almeno altre tre o quattro
organizzazioni criminali nel mondo. Lo stesso ex procuratore nazionale
Antimafia Pietro Grasso non ha esitato nel dire che il «traffico di opere
d’arte è tra i principali guadagni delle mafie». Soldi sporchi a spasso
per il globo, che transitano per gli immancabili paradisi fiscali e difficili
da stanare .
Investire in arte per le mafie, chiaramente
ben consigliate da esperti del settore, è conveniente e sicuro: prima di tutto
le pene previste nel caso in cui si venisse scoperte sono irrisorie per chi è
abituato a ben altri pericoli del codice penale.
Riguardo a
tutto ciò la legislazione è insufficiente» Pene troppo leggere, che non spaventano chi
mercanteggia illegalmente opere d’arte, e una legislazione che rende non
facile l’aggressione patrimoniale e le indagini. Secondo gli investigatori i
limiti dell’attuale codice dei Beni Culturali non permettono di svolgere
appieno le attività d’indagine, anche perché, spiegano, ormai quelli che operano
nell’illegalità con le opere d’arte utilizza sistemi ben sofisticati .
LA MAFIA
LA N' DRANGHETA
Allarme Dia: in Lombardia la
‘ndrangheta prospera, oltre 30 i clan attivi, mai così tanti. Ecco la mappa
8 ORE
Una parte
della cartina delle famiglie di 'Ndrangheta presenti in Lombardia. Dalla
Relazione di Attività secondo semestre 2018 della Dia
Trenta
Locali (cioè cosche) di ‘ndrangheta sono attive oggi, ora, mentre scriviamo, in
Lombardia. Lo certifica la Relazione sul secondo semestre 2018 di attività
della Dia (Direzione Investigativa antimafia).
Era dal 1994
– cioè da
prima dello spartiacque epocale che fu l’indagine “Crimine-Infinito, che a
partire dal 2003 sancì ufficialmente la presenza della ‘ndrangheta nella
principale regione del Nord Italia – che non si registrava un numero tanto
elevato di famiglie in piena attività criminale.
A Milano,
nella sua provincia e nel resto della Lombardia la ’ndrangheta ha consolidato
il suo radicamento attraverso la stretta interconnessione tra le “locali”
presenti e la “casa madre” del “Crimine” reggino. Se prendiamo una cartina
politica (criminale) della regione più industrializzata d’Italia, troviamo:
- le locali di Milano città
(4), Bollate, Bresso, Cormano, Corsico, Pioltello, Rho, Solaro e Legnano;
- quelle di Como città, Erba,
Canzo-Asso, Mariano Comense, Appiano Gentile, Senna Comasco, Fino Mornasco
e Cermenate;
- Monza-Brianza città, Giussano,
Desio, Seregno, Lentate sul Seveso e Limbiate;
- Lecco e Calolziocorte;
- Locale di Lumezzane (Brescia);
- Locali di Pavia e Voghera
- Locali di Varese e Lonate
Pozzolo.
Si tratta di
nuclei che agiscono in modo autonomo tra loro – ma non rispetto alle
rispettive “case madri calabresi” –, coordinate a livello locale da un
organo chiamato “La Lombardia”, retto dal capo della famiglia più autorevole
(fino a poco fa, i Barbaro, originari di Platì (RC)).
Una
‘ndrangheta in piena salute, quindi, nonostante l’imponente attività di
contrasto portata avanti dalla Dia da una parte e dalla DDA, Direzione
Distrettuale Antimafia, dall’altra.
Tanto che “per
la prima volta nella storia delle relazioni DIA compare la cartina della
Lombardia”, sottolinea preoccupato il presidente della Commissione
Antimafia del Comune di Milano, David Gentili, “È un salto culturale.
Non sono indicate le famiglie (nella mappa, ndr), ma mai era comparsa, come
invece è tradizione che siano presenti le cartine delle province Calabre, di
Napoli, della Campania e dei mandamenti siciliani”.
Un dato per
tutti spiega la situazione: la Lombardia è al quarto posto per numero di
immobili confiscati (dopo Sicilia, Campania e Calabria) e al quinto per
il numero di aziende confiscate (dopo Sicilia, Campania; Lazio e Calabria).
“Allo stato
attuale, in Lombardia, sono in corso le procedure per la gestione di 1.796
immobili confiscati, mentre altri 1.141 risultano già destinati.
Sono, altresì, in atto le procedure per la gestione di 269 aziende, a
fronte delle 83 già definite”.
Tra questi
troviamo alberghi, ristoranti, attività immobiliari, commercio all’ingrosso,
attività manifatturiere ed edili, terreni agricoli, appartamenti, ville,
fabbricati industriali, negozi (dati dell’Agenzia nazionale per
l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla
criminalità organizzata). La classifica dei sequestri per provincia
recita: Milano, Monza Brianza, Varese, Pavia, Brescia, Bergamo, Como,
Cremona, Lecco, Mantova, Sondrio e Lodi.
Per gli
investigatori, oggi, “la penetrazione del sistema imprenditoriale lombardo appare
sempre più marcata da parte dei sodalizi calabresi, ma anche le mafie di
estrazione siciliana e campana si mostrano in grado di esprimere la stessa minaccia”,
mentre appare “meno significativa” la criminalità organizzata pugliese,
“che si manifesta episodicamente, nella quasi totalità dei casi per reati
connessi al traffico di sostanze stupefacenti e contro il patrimonio”.
L’attività
investigativa ha dimostrato “una tendenza sempre maggiore di tentativi di
infiltrazione nel settore degli appalti pubblici e nel rilascio delle
autorizzazioni, licenze e concessioni pubbliche. In particolare, i settori
commerciali con più provvedimenti prefettizi, nel semestre (2018), risultano
quelli della ristorazione, giochi e scommesse, costruzioni, autotrasporto di
merci, autodemolizioni, commercio auto”.
Bergamo è l’eccezione (in negativo)
Ma se questi
dati confermano (ancora una volta) tendenze già in parte note, del tutto nuovo
è il fenomeno – assai preoccupante – che ha caratterizzato le cosche
bergamasche, la cui infiltrazione è stata tutt’altro che “silente”.
All’ombra di
Città Alta, infatti, le nuove generazioni di ‘ndranghetisti “blasonati” “non
sembrano manifestare la tipica propensione imprenditoriale e la capacità di
“mimetizzarsi”, propria di altri gruppi calabresi stanziati in Lombardia”.
Queste nuove leve, infatti, pur non disdegnando le attività illecite più
“sofisticate” (riciclaggio e reimpiego di capitali), “sembrano privilegiare
strategie “militari” di controllo del territorio che – per quanto meno
evolute nel profilo economico-criminale – creano tuttavia un diffuso allarme
sociale, proprio per la pratica della violenza e della intimidazione”.
Insomma, i nipoti dei vecchi boss non tengono il profilo basso professato dai
capi, ma uccidono, gambizzano, taglieggiano in pieno giorno. Davanti
all’intera comunità, la quale non ha mai denunciato. Anzi.
Milano
città, il reame dei Barbaro-Papalia
Nel semestre
in esame, sono state numerose le operazioni portate a termine e gli arresti. Il
che è un bene, se si considera l’attenzione delle istituzioni per il fenomeno,
un male se la si guarda dalla parte della diffusione capillare del “mercato
dell’illegalità” gestito dalle varie Locali.
La cattura del boss Rocco Barbaro a
Platì (Rc) nel maggio del 2017. Foto dei Carabinieri
Tra le varie
indagini, possiamo ricordare:
- A luglio 2018 l’operazione “Red
Carpet”, che ha portato in carcere 23 persone accusate di associazione
finalizzata al traffico di stupefacenti, corruzione, trasferimento
fraudolento di valori, ricettazione, riciclaggio, intercettazioni illegali
e lesioni. Le indagini hanno riguardato due gruppi criminali interconnessi
attivi nei quartieri della Comasina e Bruzzano. A gestire il
traffico di droga, uomini del clan Flachi, attivo in Lombardia sin
dagli anni ’90;
- Ad ottobre, con l’operazione “Quadrato”,
i Carabinieri hanno arrestato 14 soggetti per associazione finalizzata al
traffico e allo spaccio di cocaina al Quadrato di Corsico. Un bar,
riconducibile al clan Trimboli di Platì (RC), era uno dei tre esercizi
pubblici in cui veniva gestito lo spaccio. Tra i promotori
dell’associazione anche un appartenente di spicco del clan Barbaro, sempre
di Platì (RC). Questa famiglia, che da decenni regna incontrastata a
Corsico, è l’epicentro nella gestione ‘ndranghetista della regione. Il 10
ottobre 2018, il Tribunale di Milano ha condannato il 54enne Rocco
Barbaro a 16 anni, riconoscendolo colpevole di associazione di tipo
mafioso, nonché effettivo proprietario del bar Vecchia Milano di corso
Europa, intestato fittiziamente ad un prestanome (condannato anche il
nipote, Antonio Barbaro). Il processo ha indicato Rocco – figlio
del patriarca “Cicciu u Castanu” – come il reggente de “la
Lombardia”, nonché vero cervello del narcotraffico internazionale in
Italia. Nell’autunno 2016, con rito abbreviato, era stato condannato a 8
anni anche il figlio di Rocco, Francesco.
- Tra ottobre e novembre, gli
ultimi arresti dell’operazione “Miracolo” – in carcere finiscono
“39 soggetti dediti al traffico internazionale di stupefacenti” – sono
importanti perché hanno dimostrato “l’estrema capacità dei gruppi di
entrare in connessione tra loro per il raggiungimento di un obiettivo
comune”. In una prima tranche erano stati arrestati gli affiliati al
gruppo Cilione (cosca di Melito di Porto Salvo (RC)), che
detenevano il monopolio dello spaccio nel quartiere di Bonola e a Robbio
(PV), nonché gli affiliati al gruppo Cademartori-Ponzo, “contiguo
ad alcuni sodalizi mafiosi etnei, in particolare ai clan
Pillera-Puntina, Laudani, Cursoti (che si occupavano di
organizzare l’importazione dello stupefacente), e del napoletano (Gionta)”.
In una seconda tranche, vengono arrestati gli uomini legati ai gruppi Luongo
di Manfredonia (FG) e, naturalmente, ai Barbaro, protagonisti
dello spaccio di droga anche nel quartiere di San Siro.
Ma se a
Milano città va male, in provincia è anche peggio: grazie all’operazione
“Linfa” finiscono in manette 10 persone. Tra questi spicca il nome di G.
M., 58 anni, originario di Rosarno (RC), che dalla sua residenza in Svizzera,
ogni giorno raggiungeva Rodano (MI) e Casorate Primo (PV) per gestire le
partite di stupefacenti per conto dei Bellocco e dei Pesce, clan della
Piana di Gioia Tauro, nel Reggino. L’altro nome grosso è quello del 47enne Francesco
Cicino, di Guardavalle (Cz), già braccio destro di Carmelo Novella,
il boss reggente della ‘Ndrangheta in Lombardia, ucciso in un agguato a San
Vittore Olona il 14 luglio 2008 perché “reo” di aver cercato di rendere le
locali lombarde indipendenti dalla Calabria. Nel blitz vengono sequestrati
anche 149 chili di marijuana, 6 chili di cocaina e 40mila euro in contanti.
L’attività investigativa ha anche dimostrato come alcuni imprenditori lombardi
si rivolgessero scientemente agli ‘ndranghetisti per riscuotere crediti vantati
nei confronti di altri imprenditori.
A novembre,
con l’operazione “Pineapple” è stata bloccata un’associazione criminale,
composta per lo più da calabresi, attiva tra Milano, Busto Arsizio (VA)
e territori limitrofi, specializzata nel traffico internazionale di cocaina,
tra Repubblica Domenicana e Italia. Sette gli arresti totali.
Il summit dei 23 boss delle Locali
della Lombardia riuniti nel circolo “Falcone e Borsellino” il 31 ottobre 2009.
Nel restante
territorio regionale, invece, siamo messi anche peggio. “La posizione
privilegiata nei rapporti commerciali con le province limitrofe e con la
Svizzera, la provincia di Como ricade inevitabilmente nelle mire delle
organizzazioni criminali e della ’ndrangheta in particolare, tanto da far
registrare, nel tempo, la presenza delle locali di Como, Erba, Canzo-Asso,
Mariano Comense, Appiano Gentile, Senna Comasco, Fino Mornasco e Cermenate”.
Presso il Tribunale di Como sui è celebrato il processo di primo grado
dell’inchiesta “Ignoto 23”, che ha portato alla condanna di Fortunato
Calabrò.
Un processo
importante, perché ha dato un volto al 23° partecipante – l’unico sfuggito per
oltre 5 anni alla giustizia – al summit tenuto presso il centro anziani
“Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano, il 31 ottobre 2009 che
scelse Pasquale Zappia come referente delle cosche al Nord
Italia in sostituzione di Carmelo Novella.
Nello stesso
procedimento erano “state indagate 13 persone, tra cui il nipote del boss della
cosca africese Morabito, per associazione di tipo mafioso, estorsione in
danno di alcuni esercizi commerciali, detenzione e porto abusivo di armi,
lesioni aggravate e danneggiamento, con l’aggravante del metodo mafioso. Gli
imputati sono ritenuti al vertice della locale di Limbiate (MB) ed in
stretta correlazione con la locale di Mariano Comense (CO)”. Nel
fascicolo erano entrati anche una serie di “eclatanti atti criminali, quali
gambizzazioni, spari con armi da fuoco in pieno centro abitato e lanci di
bottiglie incendiarie”, registrati a Cantù.
Le presenze
della ‘ndrangheta sono riscontrate anche negli altri territori, come in
provincia di Mantova, dove a un imprenditore edile originario della
provincia di Crotone, ma da anni residente a Curtatone (MN) – già condannato
per usura -, sono state confiscate quote di società immobiliari per oltre 5
milioni di euro a causa della sua contiguità con le cosche della Lombardia
orientale.
A Monza,
invece, il sequestro ha colpito società, immobili e conti correnti, per un
valore complessivo di circa 2 milioni, di un imprenditore originario di Santa
Caterina dello Jonio (CZ), ritenuto contiguo alla locale di Giussano (MB)
e organico alla cosca del catanzarese Gallace-Ruga-Leotta. Per i
pm, “l’uomo si occupava della custodia delle armi e manteneva i contatti con i
familiari degli affiliati ristretti in carcere, garantendo loro anche
l’assistenza economica”.
Le cosche
Chindamo-Lamai e Ferrentino di Laureana di Borrello (RC) avevano invece
scelto l’Oltrepò pavese e il Vogherese “per aprire imprese edili
che permettessero di mascherare attività criminali, che comprendevano anche il
traffico di armi e di stupefacenti”. Il 17 ottobre le condanne per i 12
inquisiti hanno superato complessivamente i 100 anni di carcere.
LA CAMORRA