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mercoledì 2 marzo 2016

LA POVERTA' IN ITALIA



             UNA  SOCIETA’ E  UNA  POLITICA  SANE  E  GIUSTE  PRODUCONO  RICCHEZZA  E  BENESSERE  PER  TUTTI  I  CITTADINI                      

                                         LA  POVERTA’  IN  ITALIA


E’ vergognosamente  inconcepibile , scandaloso ,  che in una Società “ civile “ , come l’Italia , in cui  il  71 %  in media fra  nord  e  sud  delle  famiglie  sono  proprietarie di casa e dove sono in circolazione circa 37 milioni di autovetture ,  vi siano ancora  persone  costrette a vivere in condizioni di “ povertà assoluta “  ( circa 4,5 milioni ) .



La cosa più scandalosa e assolutamente non più sopportabile , è il  fatto che persista pervicacemente il mantenimento  di troppo elevati emolumenti economici e nella specie dei vitalizi ancor più scandalosi ,  che continuano  ad essere attribuiti e regolarmente fruiti da parlamentari  , come anche i casi di troppo elevati emolumenti , fra  stipendi e indennità varie , percepiti cumulativamente sia da parlamentari  che da altre persone che ricoprono cariche politico-istituzionali  , mentre la  povertà  in  Italia  aggredisce  milioni  di persone , che  sono ridotte allo stremo , le quali devono la loro sopravvivenza solo a quelle altre persone , fortunatamente non poche , ma sempre insufficienti ,  che danno loro , volontariamente , singolarmente , in modo  personale spontaneo ,  oppure in strutture onlus , una qualche assistenza ,soprattutto alimentare oltre che di natura psicologica e possibilmente di una relativa, limitata e provvisoria sistemazione , come riparo dagli agenti esterni.

E’  vergognosamente colpevole quel Governo  che  non riesce , perché non vuole o perché non è capace , a reperire  le risorse economiche necessarie , che possono ricavarsi dalle fonti finanziarie più ricche  e dai redditi più elevati  di quella parte della collettività che è più  agiata ,  per consentire a chi  è in  condizioni di povertà , o addirittura  di “povertà assoluta “ ,  di poter fruire gratuitamente di una abitazione umanamente dignitosa , e di una  assistenza socio-sanitaria , oltre che di una minima basilare fonte di reddito individuale. Negli 8.101  comuni d’Italia  è  enorme il numero delle abitazioni e degli immobili ad uso commerciale e terziario non utilizzati, vuoti e sfitti. (Quasi cinque milioni in Italia, possono essere nuovi beni comuni ).
. Da quando è stato abolito il servizio di leva obbligatorio, centinaia di caserme dismesse sono state abbandonate al degrado e all'incuria e  che potrebbero essere utilizzate per fare fronte all'emergenza abitativa, per i cittadini privi di una abitazione.
Oggi la Chiesa in Italia possiede circa 100 mila immobili, tra i quali vi sono 9 mila scuole, 26 mila tra chiese, oratori, conventi, campi sportivi e negozi e 5 mila tra cliniche, ospedali e strutture sanitarie e di vario genere. Più difficile capire quanti siano hotel, residence e strutture ricettive in genere, perché per la maggior parte sono di proprietà di ordini di frati e suore, e non delle diocesi.
Si tratta comunque di molte migliaia di imprese, perché tali sono, e  Papa Francesco oggi prova a scongiurare l'avanzata della componente ecclesiale più orientata al business che alla carità di cui c'è sempre più bisogno.

                                Note  sulla  “ povertà “ in  Italia
Considerando che nella popolazione italiana ( circa 60 milioni  e 700.000 ) vi sono  circa  4 milioni  e centomila  di  persone  in povertà assoluta , (circa  il  6,8  %  ) e  altri 6 milioni  ( circa il 10 % ) in povertà relativa . 

  Del  totale della popolazione italiana
Il 20% più ricco (  circa 12  milioni  di persone )  detiene il 61,6% della ricchezza  , e  anche nella fascia più ricca, la distribuzione è nettamente squilibrata a favore del vertice. Infatti , Il 5%  (  circa 3 milioni di persone ) più ricco della popolazione detiene  il 32,1% della complessiva  ricchezza nazionale . 
Mentre   il 20%   ( 12 milioni di persone )  è  appena al di sotto del 20,9% della  ricchezza .
 Il restante 60%  ( 36  milioni  di  persone ) si deve accontentare del 17,4% della ricchezza nazionale,  e  dei  quali   il 20%  ( 12 milioni di persone ) più povere ,  ha  appena  lo 0,4 %  della ricchezza.



                                MISURE  CONTRO  LA  POVERTA’  IN  ITALIA
www,lamiavoce37.blogspot.com
Gli ultimi dati Istat sono un nuovo monito sulla crescita della povertà in Italia. Nello stesso giorno della loro pubblicazione, la Camera ha approvato il disegno di legge delega che prevede l’istituzione del reddito di inclusione.
Recentemente l’Istat ha comunicato che nel nostro paese sono oltre 8,3 milioni le persone in condizioni di povertà relativa (ossia quando una famiglia di due componenti spende meno della singola persona media), mentre sono 4,5 milioni quelle in povertà assoluta
Il  reddito  di  inclusione  è  una misura strutturale di lotta alla povertà, il disegno di legge delega, che dopo varie modifiche è stato approvato proprio il 14 luglio 2016 dalla Camera dei deputati.
Il disegno di legge, centrato attorno al cosiddetto reddito di inclusione, è caratterizzato da tre aspetti importanti, finora trascurati nel sistema di lotta alla povertà in Italia: universalità, efficienza e complementarietà a un reinserimento nel mercato del lavoro e nel contesto sociale di appartenenza. Il reddito sarà universale rivolgendosi, uniformemente su tutto il territorio nazionale, a tutti coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà assoluta; l’assegnazione avverrà a livello di nucleo familiare e sarà basata sull’indicatore della situazione economica equivalente (Isee). In attesa dei decreti attuativi, il governo sostiene che l’ammontare elargito arriverà fino a 320 euro al mese.
Una delle critiche maggiori al Ddl è la limitatezza della platea a cui si rivolge. Con lo stanziamento di soli 1,6 miliardi per i primi due anni, la misura non raggiungerà tutti coloro che versano in condizioni di povertà; secondo l’Alleanza contro la povertà il provvedimento potrà raggiungere al massimo il 30 per cento degli indigenti, ovvero circa 1,3 milioni di persone. In particolare, il reddito darà la priorità ai nuclei familiari con figli minori, con disabilità grave, con donne in stato di gravidanza accertata o con persone con più di 55 anni di età in stato di disoccupazione. Il Ddl rimane poi vago sullo stanziamento a regime, menzionando che partirà da un miliardo e verrà esteso in base alle risorse contingenti. La proposta originale dell’Alleanza contro la povertà, invece, prevedeva uno stanziamento graduale del reddito d’inclusione ma con un costo a regime di circa 7,1 miliardi annui. Le risorse arriveranno dal Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, istituito con l’ultima legge di stabilità, e coperto dalla fiscalità generale, in quanto le economie derivanti dal riordino delle prestazioni di natura assistenziale, sebbene destinate al fondo, sono considerate eventuali. L’Italia si colloca agli ultimi posti in tutta l’Unione Europea per quanto riguarda l’efficacia delle misure di contrasto alla povertà. Nel 2014 i trasferimenti sociali e gli interventi di sostegno nel loro complesso hanno diminuito la percentuale di popolazione a rischio di povertà del 5,3 per cento contro la media europea dell’8,9 per cento; solo Grecia e Romania hanno fatto peggio di noi. Un intervento strutturale e organico nel contrasto alla povertà, ispirato a principi universalistici, e un riordino del sistema assistenziale, ora frammentato e inefficiente, potrebbero finalmente migliorare queste statistiche in un momento in cui la coesione sociale è sempre più a rischio.






Note  da  Rapporto  Svimez   2015
Sulla  situazione economica del Mezzogiorno d’Italia
.Pil negativo per il settimo anno consecutivo, con una crescita che dal 2001 al 2013 è stata meno della metà di quella della Grecia. Divario record al 53,7% del Pil pro capite rispetto al resto del Paese. Investimenti che continuano a cadere. Industria al tracollo, con un valore aggiunto precipitato del 38,7% dal 2008 al 2014. Donne e giovani fuori dal mercato del lavoro. Nascite al minimo storico da 150 anni, che preannunciano uno «tsunami demografico». E un rischio su tutti: «Il depauperamento di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire al Mezzogiorno di agganciare la possibile nuova crescita e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente».
Performance di gran lunga peggiore della Grecia
Dal 2001 al 2014 il tasso di crescita cumulato della Grecia è stato pari a -1,7%. La performance più negativa dell’intera eurozona, ma mai quanto il Meridione d’Italia: -9,4%, contro il +1,5% del Centro-Nord.
Il malessere del mondo produttivo
Colpiscono le cifre sull’industria, per quel già citato crollo degli investimenti del 59,3% dal 2008 al 2014, oltre il triplo del calo pesante registrato al Centro-Nord (-17,1%), e per la flessione del 35% del valore aggiunto, a fronte del -17,2% nel resto d’Italia. Nello stesso periodo calano anche le costruzioni (-47,4% gli investimenti, -38,7% il valore aggiunto) e i servizi (-33% gli investimenti, -6,6% il valore aggiunto). Non va meglio per l’agricoltura: investimenti -38%. Negative anche le esportazioni: nel 2014 sono calate del 4,8% contro la crescita del 3% al Centro-Nord. E si sono dimezzate al Sud le agevolazioni alle imprese sul totale nazionale: erano il 63,5% nel 2008, sono diventate il 33,2% nel 2013. Il pericolo, per Svimez, è quello già denunciato nel Rapporto 2014: una «desertificazione industriale».
Il lavoro che non c’è: nel 2014 occupati sotto i 6 milioni
Inevitabili i riflessi sull’occupazione. Negli anni della crisi nel Mezzogiorno è caduta del 9%, oltre sei volte più che al Centro-Nord. Delle 811mila persone che hanno perso il lavoro tra il 2008 e il 2014, ben 576mila sono residenti al Sud. Che concentra il 26% appena degli occupati d’Italia ma il 70% delle perdite determinate dalla recessione. Nel solo 2014 il Meridione ha perso 45mila posti, arrivando a 5,8 milioni di occupati, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni e raggiungendo il livello più basso almeno dal 1977, l’anno da cui sono disponibili le serie storiche dell’Istat. Una prova - spiega la Svimez - «del processo di crescita mai decollato» e del «livello di smottamento del mercato del lavoro meridionale».
Allarme donne e giovani
C’è un allarme specifico che riguarda le donne (lavora soltanto il 20,8% contro una media Ue del 51%) e i giovani: tra il 2008 e il 2014 il Sud ha perso 622mila posti tra gli under 34 (-31,9%) mentre ne ha guadagnati 239mila tra gli over 55. Per gli under 24 nel 2014 il tasso di disoccupazione ha sfiorato il 56%, contro il 35,5% del Centro-Nord. Parla da solo il dato sui neet (quelli che non studiano e non lavorano): nel 2014 in Italia sono aumentati del 25% rispetto al 2008, arrivando a 3,5 milioni. Quasi due milioni sono meridionali.
In arrivo «tsunami» demografico
A tutto ciò si aggiunge il calo delle nascite, che non accenna a fermarsi (persino gli stranieri iniziano a fare meno figli), e la migrazione verso il Centro-Nord che dal 2001 al 2014 ha interessato oltre 1,6 milioni di persone. «Un intreccio perverso», lo definisce la Svimez. «Il Sud sarà interessato nei prossimi anni - avverte il rapporto - da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, a fronte di una crescita di 4,6 milioni nel Centro-Nord».
Una persona su tre a rischio povertà
Il risultato è la povertà: dal 2011 al 2014 le famiglie assolutamente povere sono aumentate in Italia del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord. Ma nel 2013 una persona su tre nel Mezzogiorno era a rischio povertà, contro una su dieci al Centro-Nord. Sicilia e Campania le regioni dove il pericolo è più elevato. Quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord. Ennesima faccia di un Paese «sempre più diviso e diseguale».



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